Scu, l’apocalisse delle donne: boss sottomesse

Brindisi. Sono facenti funzioni, ma obbediscono ai mariti in carcere. Fanno le contabili, le vedette, prendono le decisioni, hanno potere, ma sanno stare “un passo indietro”. Il nuovo complesso volto della Scu a Brindisi, nel clan Romano-Coffa

di Stefania De Cristofaro

BRINDISI – Non solo mogli, sorelle e madri: le donne erano “reggenti del clan Romano-Coffa”, in qualità di facenti funzioni degli uomini ristretti in carcere, nei ruoli di direzione al punto da intervenire anche per tenere alto il nome e il conseguente onore dei consorti, tenuta della contabilità e dispensatrici di armi, stando alla ricostruzione della piramide di stampo mafioso consegnata ai pm della Dda di Lecce dall’ultimo aspirante pentito della Sacra Corona Unita di Brindisi città, che di quel gruppo ha confessato di essere stato affiliato.

Le donne del nuovo clan

Il collaboratore si chiama Roberto Leuci, 43 anni. Venne arrestato il 29 febbraio 2018 dalla Guardia di Finanza, nel blitz chiamato Exodus, scaturito dalla denuncia di un ambulante finito nella spirale delle estorsioni. Leuci, in carcere, ha maturato la decisione di recidere ogni legame con il gruppo che per la Dda era di stampo mafioso, con a capo il tandem Andrea Romano e Alessandro Coffa. Del “clan facente capo a Romano” ha ammesso di essere stato “luogotenente con il grado di settima”. A Romano e a Coffa l’ordinanza di arresto del gip del Tribunale di Lecce è stata notificata in carcere lo scorso 12 febbraio, nell’ambito dell’inchiesta Synedrium, partita all’indomani dell’omicidio di Cosimo Tedesco, avvenuto la mattina del primo novembre 2014, nell’appartamento di Romano, in una palazzina del rione Sant’Elia.

L’inizio dell’apocalisse

Romano, “ancora latitante”, dopo l’omicidio “ribadiva chiaramente il suo intento di manifestare la propria caratura criminale nella città di Brindisi, viaggiando spudoratamente a bordo di un’autovettura di provenienza furtiva per le strade della città e della provincia”. Lo sostiene il gip, descrivendo la caratura dell’indagato: “Adesso inizia l’apocalisse a Brindisi, capito? Adesso comincio a fare bordello e i ragazzi di adesso li devo mettere da parte”. Mai pensava, Romano, di essere intercettato. Alla “sua” donna raccomandava di non parlare al telefono, ma anche lei è stata intercettata.

Leuci, condannato in primo grado per estorsione alla pena di quattro anni di reclusione (con rito abbreviato, dopo aver preso atto dell’atteggiamento collaborativo dell’imputato), di recente ha ultimato il periodo dei 180 giorni previsti dalla legge per le dichiarazioni. E’ il primo dichiarante a conoscenza dei segreti interni al gruppo di stampo mafioso scardinato con l’inchiesta Synedrium. Sodalizio che per Leuci “altro non è, se non una frangia del clan facente capo a Francesco Campana”, a sua volta costretto a fare i conti non solo con una condanna non definitiva al “fine pena mai per omicidio di stampo mafioso di Toni D’Amico”, fratello dell’ex uomo tigre della Scu, Massimo D’Amico, ucciso mentre pescava sulla diga di Brindisi, la sera del 9 settembre 2001, ma anche con il pentimento dei fratelli Sandro e Antonio.

Il clan

Secondo la ricostruzione contenuta nell’ordinanza, se Andrea Romano e Alessandro Coffa (cognato), erano “promotori, dirigenti e organizzatori”, fidatissimi erano Francesco Coffa, classe 81, fratello di Alessandro Coffa; Alessandro Polito, cognato di Alessandro Coffa; Giuseppe Prete e Cosimo Remitri, uomini di Romano e principale anello di collegamento tra quest’ultimo e Alessandro Coffa e gli altri.

In parallelo, c’erano le donne: Angela Coffa, moglie di Andrea Romano; Annarita Coffa, compagna di Polito; Rosaria Lazoi, madre di Alessandro, Annarita, Angela e Francesco Coffa; Maria Petrachi, moglie di Alessandro Coffa; Marika Stasi, compagna di Francesco Coffa, classe 1981; Lorenza Maggio, zia di Alessandro Coffa e madre di Francesco Coffa, classe 1983, alias il Pacione.

Gli altri partecipi del sodalizio mafioso, così com’è stato contestano nell’ordinanza sono: Vito Simone Ruggiero, Francesco Coffa classe 1983, come più stretti collaboratori di Alessandro Coffa; Cosimo Andriulo, Marcello Campicelli, Luigi Carparelli, Nicola Pierri, Francesco Soliberto, Burim Tatati, detto Claidi, Salvatore Mario Volpe.

Il ruolo della moglie

Il clan stando a quanto emerge dalla lettura dei verbali riportati nel provvedimento di arresto, appare come il risultato di un’intesa tra uomini e donne che per la prima volta sono in posizioni equivalenti, sebbene, anche da reggenti, le donne rispondano agli ordini dei loro mariti, i boss in carcere. E’ lo stesso Leuci ad aver consegnato agli inquirenti, per la prima volta, i nomi di alcune donne in relazione a compiti ritenuti di primo piano: “Riconosco nella foto numero 41, l’effigie di Annarita Coffa, sorella di Sandro e Francesco Coffa, moglie di Sandro Polito, che unitamente ai due figli spaccia cocaina nella zona di Sant’Elia e piazza Raffaello”. Annarita Coffa è finita in carcere con l’accusa di associazione di stampo mafioso.

Nel verbale c’è scritto: “Il clan Romano è così composto: al vertice vi è Andrea Romano, suo consigliere e finanziatore di tutte le attività illecite è il cognato Sandro Coffa, marito di Maria Petrachi, poi vi sono Francesco Coffa e Sandro Polito. Sullo stesso livello ci sono la moglie di Andrea Romano, Angela Coffa, sorella di Sandro e Francesco Coffa, nonché cognata di Sandro Polito. Preciso che Angela Coffa attualmente è la reggente del clan poiché gli uomini facenti parte della famiglia sono tutti detenuti”. Reggente, non semplice complice. Una reggente che aveva un autista, a sentire Leuci. “L’autista di Angela Coffa è Marcello Campicelli, inserito a tutti gli effetti all’interno del clan, ma non affiliato”. Sia Angela Coffa che Marcello Campicello sono stati arrestati e condotti in carcere, per associazione mafiosa. “Preciso – si legge sempre nel verbale – che nessuna donna è formalmente affiliata al clan, ma di fatto ne gestiscono tutte le attività in assenza dei mariti detenuti”. E poi: “La stessa risulta essere la persona alla quale il marito detta gli ordini su tutte le attività illecite poste in essere dal clan e in particolare estorsioni, droga e usura”.

La sorella

Fatta questa precisazione, è stato messo a verbale anche altro. Altri nomi di donne: “Unitamente ad Angela Coffa, vi è la sorella Annarita che la coadiuva nella direzione delle attività illecite. Entrambe si servono di Gianluca e Mario Volpe, nipoti di Angela e figli di Annarita, per il controllo sul territorio di Brindisi dei vari spacciatori e per la raccolta di tutti i proventi”. Una gestione familiare, quindi, che ha trovato riscontri nei risultati delle indagini dei carabinieri.

La madre

“Tra le donne vi è anche la mamma di Angela, Annarita, Francesco e Sandro Coffa, di cui non ricordo il nome”. Nome consegnato successivamente: “Rosaria Lazoi è la mamma di tutti i Coffa, in particolare era dedita alla custodia della sostanza stupefacente all’interno della propria abitazione quando abitava a Sant’Elia, mentre nell’abitazione ubicata nelle favelas del rione Cappuccini, deteneva due pistole calibro 9 per 21”. Lazoi è indagata a piede libero.

La contabile

Da Leuci, ancora un nome di donna: “Tengo a precisare che la contabile del clan Romano, è attualmente Maria Petrachi, moglie di Sandro Coffa che svolge tali mansioni in assenza del marito che è detenuto”. Anche Petrachi è rimasta a piede libero.

Le intercettazioni che incastrano le donne

Quanto al ruolo delle donne, emblematiche per il gip sono una serie di intercettazioni perché “emerge non solo lo stabile e continuativo apporto che le stesse forniscono alla vita del sodalizio e allo svolgimento delle attività illecite, ma anche la piena consapevolezza e la volontà di essere stabilmente a disposizione dell’organizzazione”.

La madre di Alessandro, Annarita, Angela e Francesco Coffa, Rosaria Lazoi, “partecipa attivamente alle discussioni sulla ripartizione dei proventi per il sovvenzionamento degli affiliati detenuti e liberi”. L’11 novembre 2014, ad esempio, “Alessandro Coffa discuteva con la madre delle percentuali per il fratello Francesco, detenuto e per i cognati latitanti Andrea Romano e Alessandro Polito e delle sue sorelle loro consorti, Angela e Annarita Coffa”. Il figlio, stando alla lettura data dal gip, voleva effettuare una ripartizione equa, mentre la madre cercava di favorire i generi latitanti. Il successivo 26 novembre Alessandro Coffa riferisce alla madre di aver prelevato 1.200 euro dal denaro del gruppo e le chiede di informare la sorella, “verosimilmente Angela”. Ma la madre esprime il suo disappunto perché sostiene che il denaro serve per i latitanti: “Questi ragazzi devono essere aiutati”, dice. Non solo. “Spesso svolgeva la funzione di vedetta per garantire la sicurezza degli incontri”, come è successo il 5 dicembre 2014, quando Alessandro Coffa chiede alla madre di appostarsi alla finestra, mentre lui cede droga. Di interesse anche la conversazione del 20 dicembre 2014, delle ore 19,02 tra Alessandro Coffa, la sorella Annarita e il nipote Gianluca Volpe, “per la gestione dell’attività di spaccio, a cui partecipa Polito tramite la moglie”. Mentre “Alessandro e Annarita Coffa discutevano del prezzo di acquisto della cocaina pattuito con i fornitori, facevano più volte riferimento a quanto il marito di Annarita, Sandro Polito, aveva detto, continuando a comunicare con pizzini”.

Ancor più determinata appare Angela Coffa, perché le indagini hanno dimostrato che più di qualche volta ha “esortato il fratello a estromettere alcuni sodali dalla suddivisione del denaro del gruppo” e ha “affermato che non si potevano estorcere ai negozianti cifre esigue perché questo avrebbe inciso negativamente sulla caratura delinquenziale del gruppo facente capo al marito Andrea Romano, facendolo passare per un criminale di poco conto”. “Mica puoi andare per cento euro”, dice il 16 dicembre 2014, attorno alle 20. E’ un’intercettazione ambientale: “Il suo nome si infanga, poi dicono questo per cento sta venendo, non puoi andare alla macelleria, non ci andrei neppure io, me per il nome suo stesso, capito? E questo così si è ridotto? Si fa un brutto nome”. Seguendo questa tesi, sempre quella sera, riferisce che lo stesso Polito aveva rimproverato Gianluca Volpe per essersi fatto consegnare 50 euro da un negoziante.

Anche Annarita Coffa si fa “portavoce del marito” e si lamenta del fatto che il denaro provento delle attività nel rione Paradiso di Brindisi non le stava arrivando. C’era, infatti, una divisione in base alla quale ad Alessandro Polito toccavano gli incassi dello spaccio al Paradiso e ad Alessandro Coffa quelli del rione Sant’Elia. “Che ci dobbiamo fare le scarpe, l’uno con l’altro”, dice lei. E, poi, in un’altra occasione si lamenta della modalità con la quale era stata divisa una somma di denaro, sostenendo che era stato leso l’interesse del marito: “Sono arrivati quattromila euro, e un pacchetto di sigarette per Sandro non è uscito. Un mozzone per mio marito non è mai arrivato”.

Il pizzo? Camuffato da lotteria

Somme di denaro in formato mini, secondo il dichiarante Leuci, il clan ne avrebbe incassate dagli ambulanti del mercato settimanale del rione Sant’Elia di Brindisi, arrivando alla riscossione – ogni giovedì – di duemila euro. Il pizzo era stato pensato e di fatto organizzato sotto le mentite spoglie di una “lotteria mediante l’acquisto forzato di un biglietto forzato da cinque euro”. Ed è andato avanti, sino a quando il gruppo non ha avuto una soffiata: una voce amica, aveva confidato che alcuni ambulanti volevano sporgere denuncia. Troppo rischioso proseguire, per stessa ammissione del collaboratore: “Tale riscossione è durata un mese circa, nel quale raccoglievamo la somma totale di duemila euro ogni giovedì, poiché gli stessi commercianti avevano espresso l’intenzione di denunciarci alla polizia”.

Leuci ha fatto mea culpa e ha confessato di aver riscosso il pizzo nel verbale firmato lo scorso anno (è datato 15 febbraio 2019): “Dato che le bancarelle del mercato settimanale sono numerose, io per conto del clan Romano, Davide Di Lena per conto del clan di Luca Ciampi e ….omissis, passavamo il giovedì a ritirare le somme che ogni commerciante poteva dare per poi sostenere le famiglie dei detenuti dei rispettivi gruppi criminali”, ha detto Leuci. Quanto al sistema, il gruppo aveva deciso di procedere con una “lotteria mediante l’acquisto forzato di un biglietto da cinque euro da parte di tutti gli ambulanti del mercato settimanale”.

La cocaina tagliata con la creatina e la telecamera nella plafoniera

Sempre Leuci ha ammesso di aver “personalmente tagliato la cocaina, di ottima qualità, con la creatina”. E ancora, sempre nel verbale: “Visto il grande volume d’affari che avevo creato con lo spaccio della cocaina di Coffa, installai una telecamera all’interno della plafoniera della luce per vedere chi erano i soggetti che suonavano alla porta, se clienti o forze dell’ordine che volevano controllarmi”.

Per la fornitura di “coca” da Coffa, Leuci ha pure confessato di aver progettato una rapina in gioielleria, mentre era ai domiciliari, per saldare il debito pari a quattromila euro, maturato nei confronti di Coffa per la fornitura di cocaina: “Nell’aprile 2018, prima rapinai una Fiat Panda ultimo tipo a dei ragazzi, mediante l’uso di una pistola calibro 6,35 priva di caricatore, e il giorno dopo la dovevo usare per la rapina nella gioielleria Balestra di Brindisi, ma fui arrestato dai carabinieri per il furto dell’auto”.

L’ultimo verbale leggibile, sia pure con alcuni nomi cancellati, risale a sette mesi fa. Non sono escluse, di conseguenza, ulteriori scosse interne alla nuova Scu esistente a Brindisi città.

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