Un gregge da rimorchio

di Idrusa_stregadelbosco

È un tranquillo pomeriggio prenatalizio. Ora della siesta, per molti ma non per tutti, mai manco per sbaglio per la Strega Madre, giacché nelle Terre di Mezzo le ore della parentesi postprandiale sono sicure come la spoletta usurata di una bomba a mano dimenticata nella tasca del giubbotto. Il protocollo del momento prevede, errore gravissimo, pausa riflessiva sul divano di fronte al camino, con libri di studio e taccuino per appunti, un’operazione che per produrre vero apprendimento richiede massima concentrazione e un’anima rilassata. La Strega Madre poggia dunque le chiappe in posizione relax col parco pranzo sullo stomaco, fuori un silenzio quasi irreale. Siamo al dispiego del rapporto tra l’opera d’arte e la comunicazione di Gilles Deleuze, dotta ma semplice conferenza tenuta dal sommo nel 1987 agli studenti dell’école national supérieure des métiers de l’image et du son, quando si fa strada verso le orecchie della Strega Madre, dapprima vago, poi sempre più solido, cadenzato e insistente, un tintinnìo al trotto di campanelli festosi, accompagnato da un ruminare di fondo in un fruscìo energico e una specie di muggito alternato. Nella mente incline alla narrativa della Strega Madre si accende una lampadina da 1250 lumen luce calda. È la slitta di Babbo Natale in avvicinamento, scampanellando dal fronte sudovest della proprietà! Adesso Babbo Natale scende, chiama la Strega Madre, chiede che gli si riempia la borraccia, parcheggia le renne a brucare nell’uliveto a fianco, abbandonato. Il tempo di far brillare quell’intuizione di strenne e merletti e luccichio fiabeschi, cioè quei due, tre secondi mentali di quiete innevata e norvegese, che i cani della casina nel bosco, sprofondati nel sonno pomeridiano, scattano all’impazzata ai quattro punti cardinali. Inferno acustico, principio di nevrosi, i gatti di casa schizzano sotto i divani a scopo cautelativo. La Strega Madre lascia il camino a scoppiettare paziente ed esce di casa sospirando. I cani domestici stanno producendosi a gara nel salto dello stambecco, stampagnandosi contro la recinzione laterale, in uno spreco spropositato di energie prenatalizie. Davanti a loro, dall’altre parte, sfilano seraficamente una trentina di pecore e agnellini brucando nell’erba senza cane né padrone, scampanellando effettivamente in modo regolare, una slitta lenta, magica, senza regali.

La Strega Madre, come sempre nei momenti di difficoltà, si schiarisce la voce e inizia a spiegare ai cani in tono solenne l’innocuità delle pecore in quanto tali, a parte la voracità immonda che però è un altro argomento e lo prendiamo in considerazione in un’altra puntata, che non è il caso di dargli addosso ora che mangiano tranquille e guardate, bambine, quanto sono belle, non fanno mica niente di male, passano e basta. In quel momento arriva Ernesto, il pastore tedesco che quando alla casina nel bosco non c’erano animali e neanche la recinzione, bussava alla porta della Strega Madre reclamando un pezzo di pane, con la dolcezza e la regalità del viandante e del guerriero in sosta da un lungo cammino. Ciao Ernesto, fa la Strega Madre, anche se dovesse chiamarsi poi Ugo o Jack o Aron o Zagor (forse più Zagor) e nel lancio dell’affronto di questa confidenza al forestiero i cani della casina nel bosco partono alla carica con tutta l’artiglieria armata. Ernesto, da bravo cane da pastore, se nde futte e si parcheggia a guardare lo spettacolo, mentre un sibilo lontano chiede senza successo l’armistizio, presumibilmente l’arbitro divino delle Terre di Mezzo o magari il fischio del pastore. La Strega Madre, nello strascico dell’incanto ovino che procede ordinato nel suo tragitto, nota un gesto a braccio alzato che da lontano cerca di attirare la sua attenzione. È il pastore nella supplenza attuale, il figlio.

Nel tragitto che la separa dal pastore, la Strega Madre viene catapultata al di là del cancello, lei sì in un balzo, in un tranquillo primo pomeriggio di dicembre di un paio di anni addietro.La Strega Madre è intenta a tirare fuori l’automobile dal cancello per andare a una riunione. Le pecore di Enzo il pastore padre sono a passeggio come quasi tutti i giorni nel fondo incolto di fronte, a un centinaio di metri di distanza. I cinque cani da pastore ingaggiano la solita simulazione di giochi di guerra con quelli della Strega Madre, quelli di là e questi di qua dalla recinzione. Paola, la Strega numero due che ha appena pranzato con la Strega numero uno e che qualche Dio ha mandato nelle Terre di Mezzo per condividere i momenti di vero panico, reca con sé un bicchiere di latta pieno di croccantini con l’intento di distrarre i cani, all’epoca in formazione ridotta, della Strega Madre, dalla tentazione di scappare durante l’operazione. Quando la Strega Madre apre il cancello il diversivo funziona con Cloe, molosso femmina subspecie anarco-insurrezionalista, ma non con Bambi, trovatello maschio timido e piagnone e tuttavia fortemente attaccabrighe e territoriale, il quale in un attimo aggira i crocchini e va, puntando dritto verso i cani da pastore. La Strega Madre, lasciando l’auto in moto fuori dal cancello e chiudendo in un baleno Paola e Cloe in zona sicurezza si sgola in un urlo chiamando Bambi. Nelle Terre di Mezzo pochi istanti eletti donano la certezza che sta per scoppiare il putiferio. La Strega Madre si getta nella rincorsa, solcando i campi in stivali da camoscio e brandendo uno scettro di plastica avanzato dall’ultimo incendio all’impianto di irrigazione di quella che fu un’azienda agricola. I cani del pastore, civili come pochi cani al mondo mica come i nostri, al brandire dell’arma improbabile si allontanano, ma Bambi, non propriamente allineato sulla strategia pacifista della sua padrona, li fomenta e loro, incuriositi, ritornano. Paola, che nel frattempo teneva Cloe a bada dentro al cancello, nasa al volo la malaparata e accorre con la velleità di accalappiare Bambi col suo laccio-portachiavi rosso a mo’ di collare e guinzaglio due-in-uno mentre la Strega Madre tiene a bada i cinque cani del pastore col trofeo di plastica trovato per strada che neanche Don Chisciotte con la spada contro le pale a vento. La Strega Madre guarda Ernesto, il capobranco. Ernesto guarda la Strega Madre. Gli altri quattro pastori guardano Ernesto che guarda un po’ le pecore, un po’ Bambi e un po’ la Strega Madre che guarda un po’ Bambi, un po’ le pecore e un po’ Ernesto. A un certo punto le pecore guardano la Strega Madre. La Strega Madre guarda le pecore. E mentre la Strega Paola giunge sul posto, dal cancello di casa non si sa come scappa anche Cloe in assetto di guerra, la quale raggiunge Bambi in velocità con il machete tra i denti e parte contro il primo cane da pastore azzannandolo al culo. Scende una pioggia di Padreterni a coreografia della tragedia imminente. Bambi parte alla carica. Cloe parte alla carica. La Strega Madre e la Strega Paolo partono alla carica, urla e strepiti. Le pecore ci guardano ormai a dieci metri da noi. Noi guardiamo le pecore. Alle nostre urla e all’ennesima aggressione di Cloe i cani da pastore si allontanano un poco, nella saggezza del monaco zen abituato a disarmare il conflitto. Le pecore, invece, stranamente si avvicinano. È in quel momento che alla Strega Paola viene il colpo di genio di urlare a Cloe per attrarne l’attenzione, di mettersi a correre e di farsi inseguire in direzione di casa e la cosa incredibilmente funziona. La Strega Madre d’istinto le segue e inizia a correre anche lei. Anche Bambi inizia a correre e a seguire disordinatamente le Streghe in direzione salvezza. Noi Streghe corriamo a perdifiato verso casa. Dietro di noi Cloe e Bambi. I cani da pastore si sono allontanati. Ma le pecore… Le pecore no. Riconoscendo in Cloe il nuovo capobranco anche le pecore corrono dietro di noi. Tutto il gregge di ottanta pecore ci corre dietro in direzione cancello della casina nel bosco. Non c’è altro da fare che guadagnare il cancello prima possibile. Le Streghe corrono, i cani della casina nel bosco corrono, le pecore corrono. Anche Enzo il pastore, accortosi finalmente di quello che sta accadendo, inizia a correre dietro alle pecore che corrono dietro a noi. Corriamo senza più fiato, abbracciamo il sole e il vento secco di dicembre in enfisema, ce la possiamo fare a guadagnare quel cancello. Quando il decesso da polmoni stampagnati alla campagna amara sta per prenderci ai polpacci si spalancano le porte della visione, le Streghe si catapultano nello spazio tempo del cancello, sono salve. Loro, Cloe e Bambi. Stremati.

La Strega Madre giunge a piedi al cancello, il figlio del pastore la sta aspettando con la sua faccia buona mentre si guarda il cellulare. I cani la seguono nella solita casciara contro il forestiero che bussa alle porte del bosco.

“Ciao, scusami sai che non mi ricordo il nome, volevo chiamarti [urlando] ma ho pensato che non stavi a casa”. Perché che è successo? “No che l’altro giorno la cane tua, quella nera [indicando Olivia, il corso-rottweiler più incline alla catastrofe sociale che mai casina nel bosco annoveri tra le adozioni domestiche], ha saltato il cancello mi ha raggiunto e ha accerchiato le pecore.” Sula? “Sì iddra e ddr’autra marrone (indicando Cloe, che pesa quanto un bisonte e manco una catapulta medievale si presterebbe a spararla fuori dal cancello). Signurìa sì sicuru? Ca quiddra nu la face cu scavalca, non è abituata. “Siii, callora. Ce ne siamo dovuti scappare!” Olivia abbaia come una forsennata con la bava alla bocca, pestando saltuariamente i piedi della Strega Madre coi suoi ottimi quaranta chili di qua dalla rete, uno dei rari momenti in cui sembra davvero un rottweiler. La Strega Madre lancia uno sguardo rapido alla quadrupede Sara Simeoni delle Terre di Mezzo, la quale, quando viene indagata dallo sguardo di fuoco chitammorta inizia a gemere senza ritegno sfoderando lo sguardo della vittima di genocidio in paese di guerra. Cloe fa la faccia di una che non muoverebbe un arto se non in operazioni logistiche strettamente necessarie. E lu cane? (stavo per dire Ernesto). “No, il cane mio al guinzaglio lo tenevo, che se no…” Ernesto mi guarda con una faccia appena a qualche metro da questo teatro, dove tra scampanellio in dissolvenza, abbaiamenti e ringhiate dei cani e dialoghi ad alto volume stiamo vincendo l’oscar per la crisi otorinolaringoiatrica. SENTI MI DISPIACE MOLTO, HO UN PROBLEMA CON IL CANE CHE SALTA, DEVO RINFORZARE LA RECINZIONE, MA NON E’ CATTIVO SAI, COMUNQUE SI CHIAMA OLIVIA, SE LA CHIAMI PER NOME LEI TI FA LE FESTE E BASTA. “No, ma pure che non è cattivo la dovevi vedere con le pecore”. Giustamente, vogliamo mica correggere così su due piedi il trattato teorico e pratico del comportamento animale. SENTI, A SIGNURIA, SCAMBIAMOCI I NUMERI DI TELEFONO COSÌ SE C’È QUALCHE PROBLEMA MI AVVISI. I due si scambiano il numero, i nomi e tutto. La Strega Madre saluta cortesemente, guarda Olivia, richiama un’ultima inutile volta i cani. Olivia, dobbiamo fare un discorso da uomo a uomo, vieni qua un attimo?

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