Taranto, se i diritti umani non sono per tutti

Nella giornata internazionale dei diritti umani sindacati e cittadini in corteo a Roma e Taranto, per chiedere da una parte la continuità produttiva, dall’altra la chiusura delle fonti inquinanti. E il Tribunale impone la chiusura dell’altoforno2

Di Daniela Spera

È partita ieri, 10 dicembre, la mobilitazione dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil che hanno manifestato a Roma contro il piano aziendale presentato al Mise (Ministero dello sviluppo economico) da ArcelorMittal, la multinazionale che ha acquisito alcuni rami dello stabilimento ex Ilva, nel 2017. Il colosso dell’acciaio ha, però, presentato un mese fa un atto di citazione presso il tribunale di Milano per il recesso del contratto di affitto . Nel mese di maggio è prevista la prima udienza della causa civile. Dopo aver annunciato un programma di spegnimento degli impianti, l’azienda, dietro invito dello stesso tribunale di Milano, è ritornata sui suoi passi per continuare a garantire la produzione. Almeno per il momento. Nel frattempo il governo si è mostrato aperto ad aprire un tavolo di confronto.

Il 4 dicembre scorso ArcelorMittal ha presentato un nuovo piano industriale che è stato respinto da tutte le associazioni sindacali.

Secondo l’amministratore delegato e presidente di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, si prevedono alla fine del 2019 perdite pari a un miliardo di euro. Da qui la necessità di chiudere l’altoforno 2, il cosiddetto Afo2, nel 2023. Al suo posto un forno elettrico che comporta un taglio degli investimenti da 2,4 a 2 miliardi, con una limitazione della copertura dei parchi a 500 metri. I lavoratori impiegati passerebbero dal 10.798 a 6.098 nel 2023. Sono proprio gli esuberi a destare preoccupazioni nella maggior parte delle sigle sindacali che comunque sostengono la continuità produttiva. L’unico sindacato che va oltre la semplice richiesta di garanzie occupazionali è l’Usb (Unione sindacale di base), che fa pressione con quella parte di cittadinanza che chiede con forza la chiusura delle fonti inquinanti, bonifica e riconversione con tutela dei posti di lavoro attraverso un accordo di programma. Per questo motivo per l’Usb ‘Mittal se ne può andare’, lasciando intendere che lo Stato deve assumere le redini dell’azienda programmandone la chiusura.

L’ex Ilva ormai da tempo rappresenta un modello industriale non più sostenibile. E, in verità, non lo è mai stato. Le scelte politiche hanno a lungo rimandato decisioni prioritarie per tutelare la salute dei cittadini e quella degli operai. Oggi a Taranto si continua a perpetrare la violazione dei diritti umani fondamentali alla salute e alla vita, nonostante una sentenza della Corte europea abbia condannato l’Italia per non aver protetto la salute dei tarantini.

E proprio ieri, in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani, operai e cittadini hanno scelto di manifestare con un presidio davanti all’ingresso della direzione ex Ilva. A Taranto, simbolo nazionale dell’eterno conflitto tra salute e lavoro. È la seconda iniziativa messa in campo, dopo la manifestazione del 29 novembre, per compattare quella parte di cittadini e operai che chiedono la chiusura dell’azienda. Intanto, ieri sera, il giudice del dibattimento del Tribunale di Taranto Francesco Maccagnano ha rigettato l’istanza avanzata dai Commissari di Ilva, che è in amministrazione straordinaria, di prorogare lo spegnimento dell’altoforno 2 (Afo2), richiesta per la quale la Procura di Taranto aveva espresso parere favorevole. Si prevedono nuovi colpi di scena mentre a Taranto si continua a morire sotto la cappa dei veleni industriali.

Il presidio di operai e cittadini di fronte all’ingresso della direzione dell’ex-Ilva

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