In Salento succede di tutto

Il maltempo che ha flagellato il Salento nei giorni scorsi ha fatto esondare nelle campagne i bacini idrici di Ugento. Nel ritirarsi, l’acqua ha lasciato nelle pozzanghere e nel fango una miriade di pesci. Pesci rossi che popolavano i bacini e adesso muoiono, man mano che le pozze si asciugano. L’allarme è stato lanciato dall’associazione Lo sportello dei diritti, che pone una questione: non c’è soltanto il problema della triste sorte di queste bestiole, ma anche quello dell’anomalia rappresentata dalla grande abbondanza di questo tipo di pesce nei bacini. E’ una specie, come si dice in gergo, aliena e potrebbe minacciare gravemente, se non l’ha già fatto, l’intero ecosistema della zona. Come ha fatto questa moltitudine di pesci a colonizzare queste acque? E chi si occuperà di riportare la soluzione alla normalità?
La riflessione nasce spontanea: in Salento succede di tutto. Non bastavano la mafia, l’avvelenamento delle falde acquifere, le discariche, il proliferare delle morti per cancro. Ora ci sono anche i pesci rossi, vivi e morti, nelle campagne. In quale altro paese la terra produce un raccolto del genere?

 

di Thomas Pistoia

Il mare più bello del mondo.
E l’olio. E i pomodori.
E l’uva, il vino.
E le frise. I pasticciotti e i rustici. Il caffé Quarta.
E Leuca. E Porto Selvaggio, Badisco, Cesareo e a seguire tutte le marine.
Gli scogli, la sabbia. E il sole e il vento. E questo dialetto che musica e danza, mentre ti spaparanzi e ti abbronzi.

E i pesci rossi in campagna, nell’erba a morire, a morire di cancro, no, aspetta, quelle sono persone, uomini, donne e bambini.

E i pesci rossi in campagna, nell’erba a morire.
Burgesi, pbc, metalli pesanti e chissà quante altre schifezze nelle falde acquifere, nella terra, nell’aria.
Polmoni, intestini e vesciche, sfatti, già andati.
Lo senti da qui l’odore di disinfettante, per le scale dell’ospedale di Tricase; nella trasparenza dei tubi di ossigeno e flebo, immagini l’urlo della carne tagliata. Poi il Fazzi di Lecce, tuo padre ha un sasso nel cranio. Gagliano del Capo, l’ultima tappa, la dottoressa più buona che abbraccia tua madre.
Il mare più bello del mondo non conta, non basta.
La crostata della nonna paterna, da bambino ne mangiavi a quintali, mentre lei raccontava di Santa Cesarea e dell’Arcangelo Gabriele (che era il più fico, perché lui aveva un cane che spaventava i coccodrilli).
La casa di tufo dei nonni materni, a due passi dal mare. Con scarpe di gomma giocavi e saltavi, perennemente in costume da bagno. Il nonno fumava e giocava alle bocce, oppure andava “alla chiazza”. La nonna, ai fornelli, ti faceva la zuppa di scorfano.
La sera, il calzone fritto comprato al bar del corso. Torre San Giovanni, il faro. Mamma, a che serve? A fare strada alle navi. E i fiori nell’acqua si chiamano alghe.
Al benzinaio, un banchetto vendeva fumetti di Zagor.

E i pesci rossi in campagna, nell’erba a morire, a morire di mafia, no, aspetta, quelle sono persone. Persone sui camion.

E i pesci rossi in campagna, nell’erba a morire.
Il viavai del profitto nasconde la morte là, sotto terra. Il branco di lupi sevizia gli agnelli. Li avvelena. Con soldi sporchi di sangue crea aziende corrotte che danno loro lavoro. Gli agnelli, per questo, osannano i lupi, non hanno altra speranza.
Anche tu, unica voce fuori dal coro, non smetti di parlare, di scrivere, di lanciare l’allarme. Ma quando cammini per strada, quando entri in un negozio, quando ti siedi al bar o al ristorante, presto o tardi, scopri che stai usando roba loro. Il caffé che stai bevendo, il pesce che stai mangiando, il tavolo, la sedia su cui sei seduto… E’ già loro. Il locale è loro. La città è loro. TU sei loro.
Ah, no.
Il mare più bello del mondo si incazza.
Sfascia le barche del porto, demolisce le coste, inonda i bacini e con le onde manda via tutto, anche i pesci. Ritirandosi, li lascia prigionieri di pozzanghere sporche e malate come certi paesi dalle cui finestre senti gli spari. Provengono da quelle stesse strade che hai percorso ragazzo per andare a sudarti un diploma, quando ancora potevi fumare e ascoltare il tuo rock. E Titire tu patulé recubans sub tegmine fagi. E omega con iota sottoscritto, che raffigura benissimo la metafora verso cui stavi andando con tutta questa gente.
Poi lupare bianche. E angeliche bambine sepolte. E Renata.
A Lecce, nell’università, c’erano studenti pieni di speranza. Son diventati dottori e hanno inventato la Xylella, oppure l’hanno scoperta senza capirci un cazzo. Chissà se gli alberi ce l’hanno un’anima.
Chissà se ce l’hanno i pesci rossi nell’erba a morire.
Una volta nei campi raccoglievi patate o pomodori e i pesci rossi li vincevi al luna park, lanciando bene una pallina.
Che terra straordinaria che è questa, nel bene e nel male.
C’è chi la vuole consumare e distruggere. C’è chi la vuole tutta per sé.
C’è chi la vuole proteggere, ma non fa in tempo e muore di cancro, anche lui, ma forse è lo stesso, perché così tanto tempo non lo avrebbe avuto mai. La guerra è eterna, non se ne vede la fine.
Il sole sta asciugando le pozze, i pesci rossi muoiono asfissiati. Muoiono soli, mentre quelli ancora vivi boccheggiano straniti nell’acqua lurida, ma in realtà non sanno e neanche si chiedono cosa sta succedendo. Si adeguano. Aspettano.
Non fanno niente e aspettano, dannazione, siamo noi, siamo noi.
In campagna, nell’erba a morire, come pesci da fiera, pesci rossi e coglioni

siamo noi

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