Ex Ilva, Peacelink: rischio salute inaccettabile. Polveri sottili non diminuiscono, prima in Italia per CO2

Una ricerca di Peacelink mette ArcelorMittal con le spalle al muro: coprire i parchi minerali non è una cura bastevole a liberare la città di Taranto e in particolare il quartiere Tamburi dall’inquinamento. La vera minaccia viene dalla cosiddetta area a caldo. La salute dei cittadini resta alla mercé delle polveri sottili, mentre i padroni dell’Ex Ilva fanno orecchie da mercante.

Di Gabriele Caforio

Da ottobre 2018 ArcelorMittal, colosso mondiale della siderurgia, ha preso le redini dell’Ex Ilva di Taranto dopo un travagliato accordo siglato al Ministero dello Sviluppo economico tra sindacati, azienda e commissari, alla presenza dell’allora vicepremier e ministro Luigi Di Maio.

Tra gli impegni in campo ambientale che il nuovo gruppo lussemburghese si è assunto c’è la copertura dei parchi minerali dello stabilimento tarantino entro la fine del 2019. Un’opera mastodontica (due strutture lunghe 700 metri, larghe 250 e alte 70 metri circa) affidata al Gruppo Cimolai per un costo di circa 300 milioni di euro, che punterebbe a ridurre la quantità di polveri sottili, in particolare PM10 e PM2,5, che si levano dallo stabilimento e finiscono sulla città e nei polmoni dei tarantini.

Lo stato di avanzamento dei lavori, ad oggi, può dirsi a buon punto. Il parco minerale di ferro è stato coperto completamente e la copertura del parco carbone è a metà. Ciò vuol dire, in teoria, che la quantità di polveri sottili provenienti dallo stabilimento dovrebbe essersi ridotta.

L’associazione PeaceLink ha raccolto, elaborato e diffuso i dati delle centraline di rilevamento polveri del quartiere Tamburi di Taranto per il periodo che va da ottobre 2018 (inizio della gestione ArcelorMittal) ad ottobre 2019. Una relazione contenente tutti i dati è stata consegnata lo scorso 21 ottobre al Ministro della pubblica istruzione Lorenzo Fioramonti, molto sensibile ai recenti movimenti del Friday For Future.

I primi due grafici di seguito mostrano l’andamento del PM10 rilevato attraverso due tecnologie differenti (ENV e SWAM) e il terzo mostra l’andamento del PM2,5 nel periodo della gestione ArcelorMittal rilevato dalle centraline del quartiere Tamburi, quello più vicino ai parchi.

Come si legge dai dati, in realtà, non si nota una costante diminuzione delle polveri, come invece ci si aspetterebbe con l’avanzare dei lavori, ma una serie di alti e bassi che seguono gli andamenti produttivi. I picchi delle polveri sottili sembrano non essersi arrestati. Come mai?

La risposta sta nel fatto che i parchi minerali non sarebbero la sorgente primaria delle polveri sottili e la vera sorgente, afferma PeaceLink, sia negli impianti dell’area a caldo. Ovvero in tutti quei processi ad altissima temperatura che sono il cuore della produzione: area ghisa, cokerie, sinterizzazione, altoforni, convertitori e GRF.

Le polveri dei parchi minerali, più pesanti, sono quelle che i tarantini trovano sui loro balconi, che ricadono al suolo per gravità.

Le polveri più sottili, invece, quelle dell’area a caldo, sono anche più pericolose perché vengono respirate in quanto “galleggiano” nell’aria.

Quindi la gestione ArcelorMittal, riporta la relazione consegnata al Ministro, non sarebbe stata più virtuosa della gestione commissariale e la copertura dei parchi non ha avuto l’effetto sperato sulla riduzione delle polveri.

Un climate monster

La Commissione Europea, recentemente, ha diffuso un elenco delle principali fonti europee di emissione di anidride carbonica (CO2) sulla base degli elementi forniti dagli stati membri. Lo stabilimento tarantino è al 42° posto in Europa e al 4° posto in Italia con 4.700.000 tonnellate/anno. Preceduta dalle centrali di Civitavecchia e Cerano e da una raffineria non specificata.

Tuttavia, sempre secondo i conti di PeaceLink, l’impatto delle emissioni dell’Ex Ilva di Taranto risulta maggiore se si aggiungono anche i dati delle emissioni delle due centrali termoelettriche (CET2 e CET3) asservite al ciclo siderurgico dell’impianto. Le emissioni delle due centrali, dai dati forniti sui siti istituzionali delle stesse, ammonterebbero a 5.988.650 tonnellate/anno. Sommando le emissioni delle centrali e dello stabilimento il totale supera i 10 milioni di tonnellate all’anno, (10.688.650 per essere precisi) portando, con questi numeri, l’Ex Ilva ad essere la prima fonte di emissioni di CO2 in Italia, un triste primato.

Chiaro e diretto l’appello all’azione che l’associazione fa al governo e ai decisori politici ma al quale, al momento, non è giunta risposta. ArcelorMittal, invece, precisa che in merito alle emissioni di CO2 “il rapporto tra emissioni e quantità di acciaio prodotta dallo stabilimento di Taranto è pari a 2,29 ed è in linea con quello degli altri stabilimenti europei”.

Rischio per la salute non accettabile

Sull’ultimo numero di “Epidemiologia&Prevenzione” (rivista scientifica dell’Associazione italiana di epidemiologia) è stata pubblicata una ricerca che definisce “non accettabile il rischio per la salute a Taranto con l’attuale produzione di 4,7 milioni di tonnellate/anno di acciaio”.

Peacelink rilancia, “viene smentita la leggenda metropolitana secondo cui a 6 milioni di tonnellate anno di acciaio”, livello autorizzato dall’Autorizzazione Integrata Ambientale, “la popolazione di Taranto sarebbe stata al sicuro e avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Si agisca di conseguenza alla luce delle nuove informazioni scientifiche disponibili, ottenute con la valutazione preventiva del danno sanitario”.

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