Io sono una fatalista, ho sempre creduto che le cose, se devono accadere, accadono.
Non bisogna insistere troppo quando non è così, perché vuol dire che non è così che doveva essere.
Lavorare con la coreografia ti insegna che è bene trovare un giusto equilibrio tra la capacità di difendere con forza le tue idee e la capacità di rinunciare a qualcosa per restare a servizio dello spettacolo.
Scartare tutto ciò che non aiuta lo spettacolo, anche una bellissima idea, una sequenza geniale o una scena che ami tanto, è fondamentale.
Se bene sia tuo
il materiale coreografico che crei
a volte sa meglio di te cose fare
bisogna imparare ad ascoltarlo
E così nella vita: a volte bisogna combattere, altre invece bisogna mettersi in ascolto di ciò che ci accade e affidarsi agli eventi…

Oppure bisogna prendere delle decisioni difficili ,e saper rinunciare a qualcosa, per il bene del quadro d’insieme.
Ecco, tutto questo, e molto altro ancora, passa per la mia testa mentre mi accingo ad accettare l’ennesimo compromesso.
In questi giorni ho preso una decisione importante per il mio lavoro, ho scelto di cambiare una consuetudine, ho mollato l’osso. Ho messo fine a un progetto che amo molto. Ma che, evidentemente, deve trovare forma in modo diverso e in un altro momento. Non è stato facile, anzi.
Ma una mia cara amica diceva sempre: ‘se senti anche solo un po’ di sollievo, allora è la scelta giusta’. Beh, speriamo sia vero.
Arrendersi a volte è un bene. Arenarsi mai.
E poi è di nuovo tempo di calendari e accordi per gestire il mio complicato nucleo famigliare…
Non ho mai raccontato quanto sia difficile, per una matta come me, con un’esagerata fobia dell’abbandono, vivere una vita da single con due figlie di due padri diversi. Ma, vi assicuro, è roba folle.
Se tutte le volte che il gatto esce ho paura che non ritorni, vi lascio immaginare cosa significhi per me gestire due affidi condivisi!
Ogni volta che una delle mie figlie mi lascia, per andare a passare del tempo con suo padre, io soffro come se mi lasciasse per sempre.
Ovviamente resto calma e, sopratutto, consapevole dei miei limiti.
Ricordo a me stessa il perché sia importante rinunciare alla loro presenza, ogni tanto, la causa che giustifica tutto: la loro felicità, il loro benessere. E, quindi, il benessere di tutta la famiglia.
E allora, anche se dentro sento il petto comprimersi sotto un peso insopportabile, preparo le loro borse, sorrido e le saluto felice.
Perché è giusto e normale che sia così. E perché per amore si fa questo ed altro.
Ma, appena resto sola, scoppio a piangere disperata. Senza ritegno.
E bene si, faccio così, lo ammetto.
Sono una fottuta orfanella traumatizzata e chi vive con me deve fare i conti anche con questo.
Se mi chiami al telefono rispondo sempre con un preoccupatissimo:’ Che è successo?!’
E se vai via, per un giorno o per un anno è lo stesso, devo stringerti forte e guardarti bene, per memorizzare ogni tuo piccolo particolare, perché potrebbe essere il nostro ultimo saluto.
Il momento del distacco per me è molto difficile. Poi, subito dopo, mi riprendo e, anzi, magari mi godo la mia solitudine in pace!
Ma ci sono giorni in cui mi pesa molto vivere questa casa da sola, senza bimbe.
E torno ad essere grata al mio lavoro; che mi ha insegnato l’importanza del saper rinunciare a qualcosa di prezioso e mi ha dà la capacità di osservare le cose da fuori, per analizzare gli eventi col giusto distacco.
Alle mie figlie auguro di crescere spiriti liberi e felici di andare.
Tanto io sono sempre qui, pronta ad accoglierle.
Già. Perché, come si dice: sono carne della mia carne, pezzi de core!
E penso a quelle mamme a cui vengono letteralmente strappati via i figli.
Penso a tutti quei bambini qui, in Italia, vittime di un sistema che non riesce a tutelarli. Che vivono lo strazio del distacco forzato e non possono tornare a casa, dalla mamma.
Penso alle madri curde, partigiane e combattenti, oggi sotto attacco, e a tutti i bambini in fuga dalla Syria in questo momento…
Penso a tutte quelle madri che scappano e imbarcano i loro piccoli su barconi della speranza,
e a tutte le madri che sopravvivono ai propri figli.
Al dolore nei loro petti,
ai loro cuori infranti,
alla indicibilità di un distacco così atroce.
Mia figlia Mirta, a 8 mesi, era sempre con me, viveva in braccio a me, si nutriva dal mio seno e non riusciva a dormire se non sul mio petto. Era bella cicciotta e aveva grandi occhi celesti che mi fissavano con fiducia e amore, dipendeva da me, oggi come allora, non conosceva altro porto sicuro oltre il mio abbraccio e, quando le accarezzo il volto mentre dorme, sorride…

L’altra notte 13 donne e 8 bambini sono naufragati a largo di Lampedusa.
Un uomo, che era sul barcone con loro, ha cercato di salvare una bimba di 8 mesi naufragata con lui. Racconta che teneva stretta la sua manina, ma tanti altri intorno a lui cercavano di salvarsi dal mare e chiedevano aiuto e…a un certo punto ha sentito quella manina scivolare via dalla sua e sparire, giù, nel profondo nero di un mare grosso e senza pietà.
A 8 mesi non sei nemmeno una bambina, ma una neonata.
Non hai un nome, non hai un volto,
e sei sparita per sempre nel profondo del mare,
dove, probabilmente, è finita tua madre, prima di te.
Chissà se qualcuno ti piange, chissà se qualcuno ti pensa.
Se avevi un padre che ti amava o se eri figlio di uno stupro…
…sicuramente sei anche figlio mio
lo siete tutti, e io prego per voi
e per noi che permettiamo tutto questo.
Ti chiedo scusa per l’ignoranza di chi esulta per tutto questo e per la totale assenza di qualche rappresentante del mio, amato e odiato, Paese al tuo funerale.
E rendo grazie agli dei onorando i miei privilegi e sorridendo alla vita, e all’idea che le mie cucciole, domani, torneranno qui, da me, a casa.
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