L’amore preso a spranghe

Tutti lo conoscono come parcheggio Capoccia, un posto desolato tra San Cesario e Maglie. Ma per molti è il luogo dell’amore. E’ qui che si incontrano coloro che non hanno il coraggio o non possono vivere la loro sessualità alla luce del sole e liberamente. Nel 2017 le cronache registrarono diversi episodi di violenza inaudita nei confronti delle coppie che si appartavano lì, senza però andare a fondo, senza spiegare con chiarezza che la violenza era rivolta soprattutto alle coppie gay che al parcheggio Capoccia si incontrano per sesso o per amore. Un altro caso di censura. Come se la violenza contro le persone LGBT fosse una violenza di serie B. MLM

Di Thomas Pistoia

Anche oggi è arrivato il tanto sospirato messaggio. Il cellulare si è illuminato mentre Andrea era ancora in ufficio. Un contatto indicato come “corriere” ha scritto che l’articolo 2245 è stato spedito. Andrea ha risposto solo “grazie mille”, ma il suo cuore, per un millesimo di secondo, ha perso un battito.
Un cuore che sobbalza nel petto resta invisibile agli altri. Il corpo, sì, si muove, lo accompagna, ma è un moto impercettibile, come quando un breve brivido attraversa la schiena; difficile che un collega o un familiare lo possano cogliere.
Il messaggio che l’uomo ha ricevuto è in codice. Articolo 2245 indica che l’amore suo lo attende alle ventidue e quarantacinque al solito posto. La risposta “grazie mille” significa che anche lui ci sarà.
Il luogo dell’appuntamento è quello in cui, una sera d’autunno di quasi tre anni fa, i due si sono conosciuti.

Andrea aveva accostato l’auto in uno spiazzo a cui si accede dalla Lecce-Maglie, da entrambi i sensi di marcia. Non era un caso che fosse lì. Se un immaginario regista avesse potuto inquadrare la zona con un campo lungo leggermente dall’alto, gli immaginari spettatori avrebbero assistito a uno strano e curioso carosello.
Decine di veicoli.
Alcuni fermi, altri in movimento. Quelli fermi, accostati lungo i bordi del parcheggio, con le luci accese: quella dell’abitacolo, o quelle di posizione, o le quattro frecce, come quando si segnala un’emergenza.
Le altre vetture a passo lento, come in una giostra. E, a fine corsa, uno stop improvviso, ma studiato e parallelo, accanto a una delle auto in sosta. Uno sguardo, un cenno, oppure qualche parola scambiata attraverso i finestrini aperti, poi la partenza all’unisono, verso il buio delle siepi.
Il sesso.
Sì, il sesso come lo fanno le bestie, direbbe qualcuno. Ma, risponderebbe Andrea, sarebbe un giudizio affrettato, o meglio un pregiudizio, lo stesso figlio della maldicenza di paese che costringe alcuni a tutto questo andirivieni, a questo girotondo clandestino.

E’ il sesso dei diversi, di quelli che, per motivi diversi, non possono farlo alla luce del sole. Andrea vorrebbe non essere giudicato, anche se sa bene che lui e l’amore suo costituiscono un’eccezione. La sera in cui si conobbero non si aspettavano certo che sarebbero arrivati a questo punto.
Si parlarono, ma non si toccarono neanche. Forse accadde quello che accade in quasi tutte le storie d’amore; un saluto, uno sguardo, il tempo che si ferma, il colpo di fulmine, chissà… Fatto sta che quello che doveva essere solo carsex, divenne qualcos’altro.
Sì, carsex, lo chiamano così, per indicare genericamente quei posti fuori dal mondo in cui i cosiddetti diversi si incontrano e consumano rapporti scomodi, spesso dentro le auto. Sono angoli di un’altra dimensione, zone aliene illuminate da fari e lampioni, sparse ovunque.

Questo spazio anomalo tra Lecce e Maglie è uno dei tanti non luoghi, una macchia fioca nel buio della notte. Nessuna prostituzione, qui vige solo il baratto, il libero scambio, tra l’attivo e il passivo.
Andrea ha sempre pensato che, prima di essere sesso, tutto questo è solitudine. La solitudine di uomini, giovani e anziani, che si vergognano, si nascondono, eppure se ne fregano. Chissà poi perché. Perché un uomo sposato dovrebbe venire qui? A cercare cosa? E perché dovrebbe venirci uno studente universitario, o un avvocato di Bari, o un camionista?

La risposta è un’altra domanda: c’è un altro modo? Sì, un altro modo ci sarebbe, ma in un mondo ideale, in cui ognuno può essere quello che è; bello, brutto, alto, basso, giovane, vecchio, uomo, donna, travestito o trans. Così, semplicemente, naturalmente, senza problemi, purché maggiorenne e consenziente. Ma non è facile. Non lo è mai

Giunto l’orario convenuto, l’auto di Andrea raggiunge il parcheggio e si ferma al solito posto, vicino alle siepi. Anche stasera la sua non è la sola vettura presente, ma nessuno gli si accosta, nessuno tenta di abbordarlo, di proporgli qualcosa. Perché nei luoghi in cui si pratica il carsex si creano poi dei gruppi di habitués, è come stare in un piccolo paese, ci si conosce tutti. Nessuno si avvicina a quel bell’uomo sulla quarantina, alto, magro, ben educato. Tutti sanno che lui aspetta una sola persona. Una e soltanto quella.
Li chiamano “gli ziti“, i fidanzati, perché è così strano quel loro puntuale incontro d’amore in un luogo che altri considerano di perdizione.
Luigi arriva cinque minuti dopo. La sua Panda è inconfondibile, con quella carrozzeria color Pozzi Ginori e il fanalino posteriore spento. Si ferma e fa salire Andrea. Dopo la chiusura dello sportello, la luce dell’abitacolo, prima di spegnersi, fa appena in tempo a illuminare un bacio sulle labbra.

Qui, in questo parcheggio sulla Lecce-Maglie, i due non devono fingere, né nascondersi, nessuno si interessa a loro, sono un vezzo, una cosa curiosa, sono speciali, ma non possono certo fermare la giostra. Gli astanti dedicano loro appena un battito di ciglia, poi riprendono a girare.
Andrea e Luigi stasera non faranno sesso. Non lo fanno ogni volta, non è detto che un loro incontro debba per forza svolgersi così. Sono una coppia, devono parlare, fare progetti, affrontare problemi. Le coppie “normali” si confrontano in un tinello o in un soggiorno, loro lo fanno qui, dentro un’auto. Luigi ha proposto ad Andrea di andare via. In altre nazioni, un amore come il loro può essere vissuto liberamente. In Italia no, quantomeno non sempre, non bene, soprattutto nei paesi qui intorno.

L’altra sera, proprio in questo parcheggio, è arrivata un’auto nera dalla quale sono scesi alcuni uomini armati di bastoni e spranghe. C’è stato un fuggi fuggi generale, ma qualcuno non ce l’ha fatta a scappare e ha subito la dolorosa punizione dei “normali”, o di coloro che si credono tali e si divertono così.
Gli ziti sono scampati al raid, ma in Luigi è scattato qualcosa. Non rivendica il suo diritto di amare Andrea, va oltre, rivendica il diritto di non essere picchiato. Sarà quest’atmosfera di violenza che impregna tutto da un po’ di tempo in qua. E’ come se qualcuno avesse aperto i recinti, come se qualcuno avesse dato licenza di odiare.
Sì. E’ un odio che viene da lontano, mai del tutto sopito, acuito dagli slogan odierni, imbevuto di ferocia. Ma la soluzione non è la fuga.
Andare via no, dice Andrea. Non noi.
Se ne devono andare loro.

E, in quel “loro”, l’uomo non comprende soltanto la teppaglia armata di spranghe; in quel “loro” ci siamo tutti noi, ogni volta che indichiamo col dito e facciamo una risata, ogni volta che mormoriamo, ogni volta che usiamo le parole frocio, ricchione, culattone e tutti gli altri numerosi sinonimi.
In quel “loro” ci siamo noi, fuori dal parcheggio, fuori dalla giostra, con la nostra presunzione, da quest’altra parte della strada, mentre guardiamo girare a vuoto la solitudine, la paura di esistere che noi stessi causiamo.
Luci.
Qui, da qualche parte sulla Lecce-Maglie.
In entrambi i sensi di marcia.
Andrea e Luigi sono laggiù, in quell’auto.
Stanotte hanno deciso che non se ne andranno e che forse smetteranno di nascondersi, forse usciranno finalmente dal parcheggio.
Chissà.
Per adesso si abbracciano in silenzio.
E, in una Panda color Pozzi Ginori, attendono l’alba.

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