Memoria collettiva
Quest’estate, durante un laboratorio incentrato sul passare del tempo, ho chiesto ai miei allievi di raccontarci un evento che li avesse segnati in particolar modo e che fosse qualcosa di pubblico, parte di una memoria collettiva.
Su 22 studenti, almeno 19 hanno parlato dell’attentato alle torri gemelle.
Tutti sanno esattamente dove erano e cosa stavano facendo la mattina di martedì undici settembre 2001.
Memoria personale
Io ero a Tuoro sul Trasimeno, la compagnia con la quale lavoravo ai tempi stava allestendo un nuovo spettacolo. Un collega irruppe in sala invitandoci ad andare subito a vedere cosa stesse accadendo.
Ci ritrovammo ancora una volta nella stessa cucina, riuniti davanti alla stessa TV dove nemmeno due mesi prima avevamo assistito inermi agli eventi di Genova 2001. In quel caso eravamo inorriditi e incazzati. Stavolta invece fissavamo lo schermo della TV a bocca aperta, senza parole. Masako piangeva in silenzio. Io passavo in rassegna la lista di tutti gli amici che si trovavano a New York in quel momento. Facebook non esisteva ancora. Nemmeno WhatsApp. Tutto era più lento e più difficile per chi, come me, cercava notizie sui propri cari.
Quella mattina gli occhi di tutto il mondo erano puntati sulle stesse immagini in diretta. Scene irreali, apocalittiche, qualcosa di simile si era visto solo nei film, ma adesso la realtà superava di gran lunga la finzione. Più passavano le ore, più cresceva la consapevolezza che quell’attentato segnasse l’inizio di una nuova era. Una nuova guerra.
Ci sentivamo tutti improvvisamente fragili, tutti sotto attacco. L’Occidente non era più un posto sicuro.
La sensazione di pericolo, di fragilità e d’impotenza nata in noi tutti in quell’estate maledetta ha cambiato il corso delle nostre vite.
A un tratto, manifestare e partecipare attivamente alla politica era diventato terrificante, vivere in una grande città come Milano pericoloso e prendere la metro per spostarsi oltremodo rischioso.
11 settembre 2019
Al presente vivo in una piccola città di provincia, più sicura. Probabilità di attacchi terroristici pari a zero. Qui tutti conoscono tutti, qui vive gran parte della mia famiglia, qui controllare le frequentazioni e gli spostamenti dei nostri figli dovrebbe essere più facile.
La campagna, i tempi più dilatati, il cibo a chilometro zero, la bellezza della natura, una vita lontano dall’inquinamento… o no?
Peccato che in Puglia e Basilicata risultano esserci più scorie radioattive che in un una zona con centrali atomiche, peccato che la scu abbia nascosto rifiuti tossici in ogni dove, sotto la nostra terra, peccato che il numero di tumori infantili in questa zona continui a crescere, peccato che in tutto questo, gli scavi dell’inutile, dannoso e adesso anche pubblicamente irregolare gasdotto TAP continuino imperterriti e siano arrivati qui, a 200 metri da casa
L’estate è finita, turisti e amici tornano al nord e qui restano i disperati e gli eroi.
Intanto in tutta Italia si continua a morire sul lavoro, la stampa continua a parlare di femminicidio come fosse una ‘stupidaggine’, un gesto di ‘troppo amore’, il Belpaese è tornato ad avere un governo di ‘meno peggio’ e a casa Toma fervono i preparativi per l’inizio di una nuova stagione.
Urge sbrigarsi a finire tutti i compiti delle vacanze e comprare tutti i materiali didattici necessari. Devo ancora trovare una nuova ragazza alla pari, sono ingrassata e mi si chiudono gli occhi, che ancora una volta sto scrivendo di notte.
Necessito un cambio. Ho bisogno di fare una lista di cose benefiche.
Una cena che riunisce intorno a un tavolo, anzi due, molte delle persone che ami, rassettare, fare le spese e cucinare per il piacere di accogliere. Un amico che guida per 300 chilometri solo per farti una sorpresa, le coccole, tornare a respirare dopo un’apnea infinita tra il digitare il pin del bancomat e la ricevuta di pagamento effettuato, quei rari momenti in cui senti di aver fatto la cosa giusta con tua figlia, una proposta di lavoro allettante e inaspettata, il profumo della campagna dopo un temporale estivo, la macchina finalmente tirata a lucido, sapere che qualcuno ti aspetta, sognare ad occhi aperti, spuntare tutto l’elenco della lista di incombenze, scrivere, perdersi in un libro, riuscire a citarne a memoria interi passi, tornare a studiare, mettere in ordine il cassetto dei sogni, ammirare la luna piena nel silenzio del giardino, il lusso di avere qualcuno con cui poter essere totalmente te stessa, sapere che hanno oscurato i siti e le pagine social di Casapound, commuoversi.
Come quando inaspettatamente, grazie allo sguardo di un altro, riesci a vedere il bello di te.
Non capita spesso, di solito siamo tutti intenti a combattere con il nostro stesso giudizio, sempre troppo severo, ma ogni tanto, a sorpresa, qualcuno ci descrive in modo molto diverso da come ci percepiamo. E, così come fa male, tanto male, sentirsi dire qualcosa di negativo che sappiamo essere vero, così diventa estremamente toccante quando invece ci fanno notare qualcosa di positivo che avevamo dimenticato, o a cui avevamo smesso di dare peso, ma che è vero, è parte di noi, ed è dannatamente bello.
Ed è stato così che quest’estate, una sera qualsiasi, al ritorno in hotel dopo aver bevuto qualcosa con i miei allievi, mi sono ritrovata a piangere commossa.
Pensavo: “Devo aver fatto qualcosa di buono anch’io se i miei allievi continuano a cercarmi e a fare chilometri per tornare a studiare con me, anche dopo 5, 10, 20 anni! E devo essere riuscita a toccare nel profondo, se dei ragazzi così giovani hanno piacere a parlare e confrontarsi con me”.
Quando ho conosciuto Tommaso e Janiki che ancora oggi chissà come cavolo si scrive) erano due ragazzini di appena 17 anni.
Io dirigevo un teatro nella periferia di Milano e loro si erano avvicinati solo ed esclusivamente per i prezzi abbordabili dei laboratori, niente più. Ma non sono mai più andati via… hanno studiato con me, hanno seguito le stagioni da me curate, hanno creduto in un futuro nel teatro e, nel frattempo, uno di loro si è diplomato in accademia e ha già il suo primo ingaggio come attore.
Che bello vedermi con il loro sguardo affettuoso di giovani uomini intelligenti e impegnati.
Vedermi con lo sguardo che avevo anch’io, alla loro età, nel 2001.
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