Il forte vento potrebbe aver scaraventato in mare Cosimo Massaro, al lavoro sullo stesso argano da cui precipitò nel 2013 Francesco Zaccaria, anche lui operaio del siderurgico ex Ilva
Di Rosaria Scialpi
A Taranto la chiamano “la gru maledetta”, e maledetta sembra quasi esserlo davvero.
Su quella gru dell’ex Ilva nel 2013 un uomo, Francesco Zaccaria, aveva perso tragicamente la vita, scaraventato in acqua a causa del mal tempo che si era abbattuto con foga mentre lui era al lavoro.
A distanza di sei anni, l’episodio si ripete. Un temporale investe l’intera Puglia e così colpisce anche Taranto. Uno di quei temporali estivi, durante i quali le nonne chiamano disperatamente i nipoti, invitandoli a cercare immediato riparo, e che vengono descritti come brevi ma crudeli. Effettivamente questo temporale si abbatte come una furia cieca su Taranto, l’avvolge nella sua interezza e nemmeno il più piccolo dei paesi della provincia riesce a sfuggirvi.
In pochissimo tempo la città si allaga. Diventa tutto un fuggi-fuggi di gente che cerca riparo nei negozi o che si precipita in automobile per tornare al più presto a casa, al sicuro.
Il cielo sembra essere investito da una cavalleria di nuvole, pronte a scagliarsi contro la terra, come se gli dei olimpici volessero scendere fra i mortali per dichiarare loro guerra.
In questo pomeriggio di tuoni e tempesta, un operaio di 31 anni dell’ex Ilva, Cosimo Massaro (detto Mimmo) si trovava sulla stessa gru su cui è morto Zaccaria.
L’uomo, che pare si trovasse nell’abitacolo della gru, sospeso sul quarto sporgente dello stabilimento nell’area portuale, potrebbe essere stato scaraventato in mare dal vento mentre stava compiendo il suo dovere.
Sul posto sono accorsi immediatamente i vigili del fuoco e i familiari del disperso che manovrava la gru.
I sindacati uniti intanto proclamano uno sciopero di 24 ore, al grido di “Per noi la fabbrica è chiusa da oggi!”
Una gru già malandata e che aveva causato la morte di Zaccaria sei anni prima. Una gru che non avrebbe più dovuto essere un mezzo di lavoro per alcun operaio e che invece continua ad essere utilizzata. Una gru mortifera e maledetta, l’incarnazione della cupa mietitrice che fa precipitare nel profondo del mare le sue vittime.
Una gru, quella dello stabilimento siderurgico, che genera disgrazie e dolore e che mai dovrebbe essere usata durante le giornate temporalesche, in cui il turbinio del vento è così forte che le sue raffiche sembrano schiaffi.
Utilizzare ancora quella gru, sperando che agli operai non accada nulla di grave, è come assemblare un’auto da corsa con pezzi da ricambio e di scarso valore e sperare che riesca a sconfiggere la Ferrari. Utopia di un folle che non si rende conto che l’automobilista andrà incontro a morte certa.