I sogni spezzati di Francesco, un guerriero sconfitto dalla malattia a soli vent’anni

Taranto, ennesima giovane vittima al Quartiere Tamburi. Francesco Vaccaro aveva vent’anni, ma da 14 combatteva contro una serie di malattie

Di Rosaria Scialpi

Vent’anni e gli occhi pieni di sogni, vedere Parigi e salire sulla Tour Eiffel. Una grande passione: la fotografia, che l’aiutava ad immortalare quanto di bello la vita possa offrire e di cui spesso non ci accorgiamo, troppo indaffarati a farci trascinare dal caotico ritmo quotidiano. Ma con la macchina fotografica Francesco riusciva a catturare i dettagli, quei dettagli che fanno la differenza e che lui, persona dotata di spiccata sensibilità, era in grado di cogliere anche nelle persone sconosciute, in una manciata di secondi, instaurando con loro un dialogo come solo due amici di vecchia data potrebbero fare.

Era questa, l’empatia, una delle doti del giovane Francesco Vaccaro, un ragazzo del Quartiere Tamburi di Taranto scomparso a soli vent’anni. Un lungo calvario, iniziato 14 anni fa, e proseguito fino al suo ultimo giorno, il 29 maggio 2019.

Francesco Vaccaro con il riconoscimento donatogli dall’associazione Make a Wish

Nonostante la sofferenza, Francesco ha lottato strenuamente per sé e per gli altri, aggrappandosi alla vita che tanto amava e rispettando il suo motto, diventato poi anche il titolo del suo fotolibro, “Arrendersi? Mai!”. A riprova della sua generosità, il ricavato di questo fotolibro, che tracciava la sua vita fatta di ospedali, flebo, ma soprattutto tanto amore, è stato devoluto da Francesco in beneficenza all’onlus Make a Wish.

Francesco era un combattente, un vero spartano che imbracciava la sua arma, il sorriso, e andava incontro a quel gigantesco gruppo di nemici, le malattie. Una serie di malattie, che non gli permetteva di condurre la vita dei suoi coetanei, che lo costringeva a convivere con la bomboletta dell’ossigeno e ad intraprendere lunghi ricoveri e dolorose cure, come lui stesso ci aveva dichiarato qualche mese fa: ““Ogni anno mi diagnosticano una nuova malattia, che mi terrà compagnia, e l’aggravamento di quelle già presenti. Non ho l’opportunità di poter progettare le cose guardando al futuro, devo farlo momento per momento, nemmeno giorno per giorno”.

Viveva momento per momento, ma non se ne lamentava. Francesco affrontava con dignità le sue malattie, ne sopportava il peso e il dolore e cercava sempre di strappare un sorriso a chiunque incontrasse, cosa che gli riusciva benissimo; d’altronde, lui non doveva fare molta fatica, era naturale sorridere in sua compagnia e in quella dei suoi coraggiosi genitori, Milena e Donato.

Proprio a loro Francesco doveva la sua forza e il suo spirito reattivo, proprio loro e suo fratello Giuseppe erano i suoi supereroi, come mi aveva detto tempo fa. Quella di Francesco era una famiglia unita, animata dalla speranza di vedere il piccolo di casa in salute, di vederlo un giorno condurre un’esistenza spensierata come tutti i ragazzi della sua età. Purtroppo, questa speranza non ha trovato esaudimento.

Francesco ha chiuso definitivamente i suoi occhi castani e gli amici del Quartiere Tamburi, dove lui è cresciuto, non potranno più vederli. Il quartiere è addolorato da questa perdita, l’ennesima in un luogo maledetto, un posto che pare essere preda di un sortilegio di qualche strega malvagia, che dissemina sciagure e morte.

Francesco Vaccaro si batteva ogni giorno affinché la sua amata Taranto non fosse più assediata da pianti e abiti neri, voleva che si potessero intonare canti di gioia e non lugubri canti luttuosi, desiderava ardentemente che il suo rione non dovesse più osservare inerme i bambini e i ragazzi, vittime innocenti, cadere a terra uno dopo l’altro, come tessere del domino

Le sue ultime parole su Facebook, piattaforma che il ragazzo utilizzava come diario con cui tenere al corrente delle sue giornate gli amici, sono state queste: “Io imploro, chi di dovere, di mettere la persona al centro di tutto e di darci la possibilità di curarci vicino agi affetti famigliari.  Oggi tocca a me … ma io lo dico per noi tutti”.

Con la solita modestia, Francesco implorava, ancora una volta, di rendere la vita di ogni malato un po’ meno pesante, di potersi curare nella propria città, circondato dalle tantissime persone che lo amavano e ammiravano.

Il desiderio di Francesco potrebbe sembrare banale, ma non lo è. Ancora oggi, molte persone affette da malattie gravi devono recarsi in altre città per poter ottenere le cure necessarie per il superamento delle patologie in centri di eccellenza, non presenti nel proprio territorio, e spesso si trovano a dover combattere senza poter ricevere l’abbraccio dei propri affetti perché fisicamente lontani, a causa dei costi di un soggiorno in trasferta o per esigenze lavorative. Eppure, è proprio l’affetto uno degli ingredienti più importanti affinché un paziente possa guarire.

Francesco ha avuto la fortuna di poter contare sempre sui propri genitori, costantemente al suo fianco, a stringergli la mano e a strappargli una risata fragorosa.

Adesso, però, Milena e Donato si trovano a dover sopravvivere nellapiù innaturale delle situazioni: sopravvivere a un figlio, un figlio per di più di soli venti anni.

A Milena e Donato è stato sottratto il bene più prezioso, nessuno potrà restituire loro il piacere di vedere Francesco gioire per la vittoria del Milan e precipitarsi su Facebook per esprimere le sue opinioni in diretta con gli amici; non potranno più vederlo mentre mangia i suoi piatti preferiti dall’amata nonna, o osservarlo mentre cattura il mondo attraverso l’obbiettivo della sua fotocamera.

Milena, Donato e Giuseppe non sentiranno più la voce del piccolo Francesco riecheggiare per casa, mentre canta le sigle di Giorgio Vanni che lui tanto apprezzava, non riceveranno più i calorosi abbracci che solo Francesco sapeva dare e non potranno più incontrare il suo sguardo colmo di amore per la vita e per il prossimo.

Francesco non potrà più realizzare i suoi desideri, non potrà mai rendere immortale la sua città con l’arte della sua fotografia e prendere un dolcetto al bar, come invece era solito fare, o partecipare nuovamente alla processione della sua confraternita.

Non è stata spezzata la sola vita di Francesco, ma quella di ogni membro della sua famiglia

Morire a vent’anni, a soli vent’anni, quando la vita ancora ti fa l’occhiolino e tu non dovresti far altro che avventurarti fra i suoi sentieri, è una grandissima ingiustizia.

Morire a vent’anni è un’assurdità contro natura, che nella città dei due mari è però una consuetudine, ordinaria amministrazione, un crudele scherzo del destino che ogni giorno si abbatte su qualche famiglia tarantina che piomba nello sconforto.

Morire a vent’anni è l’impossibile che diventa possibile, è il decadimento di ogni certezza e l’annullamento di ogni speranza, è la rappresentazione dell’inefficienza e del menefreghismo delle istituzioni che hanno vinto sulla forza di una quercia che ha resistito a lungo senza spezzarsi.

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