Il coraggio non si compra

Di Thomas Pistoia

Si è chiuso in casa. Ha sprangato porte e finestre. Poi si è seduto alla scrivania. La stanza è illuminata soltanto vagamente dalla lampada da tavolo.


Tra le mani ha la busta. L’ha aperta prima, in strada e, quando ha letto, il petto gli è andato giù in un tuffo, in fondo alle scarpe. Si è subito guardato attorno. Ora non saprebbe dire se l’ha fatto per cogliere in qualcuno dei passanti uno sguardo, un ghigno, un gesto che tradisse il mittente che si trovava sicuramente lì vicino, in osservazione; o se invece la sua più immediata preoccupazione sia stata sincerarsi che nessuno abbia visto il suo evidente spavento. Fatto sta che è tornato subito a casa.

Ora è qui, nella penombra, e non sa davvero che cazzo fare. Perché, poco fa, la sua vita è cambiata. Da oggi c’è un prima della lettera e un dopo la lettera. In realtà ha sempre saputo che un giorno sarebbe successo, ma per qualche astruso motivo i guai che ci aspettiamo, alla fine, sono quelli che più ci lasciano più sgomenti e impreparati.


Quando ha visto la busta sul parabrezza dell’auto, ha pensato al depliant pubblicitario di uno di quei maghi cartomanti che promettono di far tornare a casa la donna che ami. Lui, che non ha di questi problemi, ha aperto la busta pensando scherzosamente “dài, vediamo cosa mi riserva il futuro”.
Ecco, cosa gli riserva il futuro.

La lampada da tavolo illumina un foglio bianco che sembra disegnato da un bambino dispettoso. Una cornice nera, una croce al centro e, in basso, la data delle prossime elezioni.


I mafiosi non sono neanche capaci di disegnare. Neanche la professionalità di scaricare un manifesto da internet e modificarlo con Photoshop. No, due linee buttate lì e qualche cifra sghemba. Non capiscono niente di cura dell’immagine, oppure, più semplicemente, non avevano intenzione di perdere tempo. E’ una minaccia urgente, anzi, meglio corredarla con qualche proiettile, così, tanto per essere più chiari.

Per diverso tempo, è stato consigliere all’opposizione. Un buon elemento, un cervello che partorisce idee e iniziative di tipo culturale, in un paese che non arriva a diecimila abitanti, ma è ugualmente infestato.
C’è il clan. E il clan è composto da gente senza alcuno scrupolo, feroce, letale, capace di uccidere anche i bambini, se necessario.

I mafiosi infestano la politica, hanno collaboratori, complici, collusi, prestanome all’interno del consiglio comunale. Lui fa parte del paese perbene e lotta insieme agli altri cittadini onesti per cacciare via questa feccia. Il fatto che il consiglio comunale venga sciolto per mafia e commissariato, non è proprio una vittoria, ma quasi. Forse è la volta buona, forse il paese può ripartire da una politica sana e onesta. Così, quest’uomo, si candida.
Non ha dubbi, né paura, è convinto, ci crede davvero, crede che per debellare la mafia occorrano l’anelito della cultura e la fermezza serena della buona coscienza.


Ma iniziano ad accadere cose strane. Il tono delle voci e gli sguardi dei suoi avversari politici cambiano, assumono un colore grigio topo, nella pesantezza di frasi lasciate a metà con puntini di sospensione a bersaglio, come pugnali. Sulle prime lui non coglie certe parole non dette, ma percepisce lentamente il vuoto che gli viene scavato intorno.
Fino ad oggi, in cui tutto si chiarisce.

Il clan non lo vuole come sindaco, il clan gli sta dicendo “se vieni eletto ti uccidiamo“, anzi, forse basta anche la sola candidatura.
E lui, adesso, non sa che cazzo fare. Non… Non ci aveva mai pensato… Un conto è dire “non ho paura” quando il pericolo non è ancora manifesto, un altro è non averne davvero. La paura è una forma di intelligenza, se gestita razionalmente, diventa prudenza ed è utile. Altrimenti è panico, e allora non ci sono santi, ti ferma, ti blocca e, se ti muovi, lo fai solo per scappare.

Ecco, i proiettili poggiati sulla scrivania, guarda caso hanno la punta rivolta proprio verso il suo petto.
Squilla il telefono e lui sobbalza. Eccola, la paura. Guarda il display. E’ sua madre. Non le risponde, ma gli viene spontaneo immaginarla straziata davanti al suo corpo crivellato.

Oppure… E se invece i bersagli diventassero i suoi cari? Se lui decidesse di fare l’eroe, di candidarsi ugualmente, vincere magari le elezioni e assumere la carica di sindaco a testa alta e petto in fuori; se cominciasse a colpire il clan ogni giorno, senza tregua, fino a soffocarlo, fino ad annientarlo e quelli rispondessero non colpendo lui, ma la sua famiglia?
E immagina la telefonata che gli chiede di recarsi in una strada del paese, perché… perché magari hanno sparato alla donna che ama. Il dolore, ma anche il senso di colpa, lo spezzerebbero.

Ignorando la minaccia, mette a rischio soltanto la sua incolumità o anche quella dei suoi cari? E se sceglie di andare avanti, con quale diritto lo fa? E loro, loro, i mafiosi di merda, loro con quale diritto lo fanno?

I proiettili, dalla scrivania, continuano a indicare il suo petto, il suo cuore. Morire. Non esserci più. Per cosa? Per essere ricordato, forse, in qualche celebrazione? Per essere indicato dalla gente del paese come “du cuiune, s’era pututu fare li cazzi soi“. Già, gli altri. Perché alla fine è solo? Perché deve rischiare soltanto lui? Cosa fanno gli altri? Sendefuttenu. Pensano alla loro famiglia, al loro portafoglio, al loro bel giardino recintato di omertà e menefreghismo.
Allora perché, per chi morire? Per chi sono morti Falcone e Borsellino, Peppino Impastato, Dalla Chiesa, don Beppe Diana e tutti, tutti gli altri?

Ma questo cumulo di merda che chiamiamo mafia, si può davvero sconfiggere?


Perché… Perché c’è un’ultima domanda che vorrebbe non farsi e per la quale non vorrebbe mai avere la risposta.
Se il clan ha minacciato lui e non anche gli altri candidati… Allora… Allora vivono tra noi. Cioè, la sua lista è la piccola rappresentanza di quel poco che resta di sano nelle istituzioni. Le altre liste, gli altri sindaci, non danno fastidio. Quelli continueranno a giocare all’alternanza col beneplacito del vero padrone. Quelli, alla mafia, vanno bene.
Il coraggio non è una cosa che si compra. La collusione, sì.

No. E’ convinto che non ne valga la pena. Morire adesso, morire per questo. La paura è diventata panico, aumentato da quel senso di impotenza e di solitudine, ora circoscritto nell’alone della lampada, lì, tra le sedia e la scrivania, in quel cono di luce amara che ricade su una manciata di proiettili e sulle linee sghembe di un manifesto funebre disegnato malamente.
Il paese, là fuori, senza altre speranze, continua a vivere, malato e pulsante. Poco meno di diecimila persone, ostaggio di un manipolo di bestie, aspettano e sperano nell’avvento di un nuovo, prossimo eroe.
Uno che si senta pronto a morire da solo, morire ammazzato, per un concetto, per un principio, per niente.
Per tutto quello che gli altri non fanno.
Per un’idea.

Leave a Comment