Mesotelioma e amianto: dagli impianti al tribunale

/ DOSSIER: Morire di lavoro a Taranto / Aperta nel 2012, la causa contro alcuni ex dirigenti Italsider e Ilva potrebbe chiudersi in Cassazione il 13 giugno. Marco Caldiroli: “Nello stabilimento l’amianto c’è ancora”

Di Francesca Rizzo

13 giugno 2019: questa, salvo ulteriori rinvii, la data fissata dalla Corte di Cassazione per l’udienza che vede imputati 5 ex dirigenti Italsider e Ilva, responsabili, secondo l’accusa, della mancata protezione di operai del siderurgico, deceduti per patologie amianto-correlate.

Da tempo (ad iniziare dalla legge n. 257/1992) sono state previste a livello nazionale norme di bonifica e riconversione produttiva delle aree contaminate e protezione dei lavoratori: l’amianto infatti, in passato molto usato in diversi ambiti a causa della sua altissima capacità ignifuga, rilascia, deteriorandosi, le polveri responsabili di patologie come il mesotelioma. Eppure, ricorda al Tacco Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica, “all’ex Ilva l’amianto c’è ancora, è uno degli innumerevoli problemi”.   

Nel 2012 è iniziata la lunga battaglia giudiziaria, per accertare le responsabilità intorno alla morte di 31 operai del siderurgico, deceduti per patologie collegate all’esposizione alle polveri di amianto: mesotelioma, ispessimento pleurico, carcinoma polmonare, intestinale o della vescica.

Nel 2014 il giudice Simone Orazio, del Tribunale di Taranto, aveva condannato 27 tra ex dirigenti Italsider ed Ilva, le vecchie proprietarie dell’acciaieria, ora ArcelorMittal: 189 gli anni di carcere comminati complessivamente. Nel 2017, in appello, la sentenza è stata ribaltata: tutti assolti, eccetto 3, Sergio Noce, Giambattista Spallanzani ed Attilio Angelini. Il ricorso della Procura di Taranto ha richiamato due degli imputati assolti in precedenza, Fabio Riva e Luigi Capogrosso, che parteciperanno dunque all’udienza in Corte di Cassazione: prevista inizialmente per il 5 febbraio scorso, è stata rinviata per “omessa notifica agli imputati non ricorrenti”, ed ora appunto nuovamente fissata, come annuncia Marco Caldiroli, per il 13 giugno prossimo.

A tutti e 5 gli imputati viene contestata l’omissione dolosa di cautele; tutti tranne Luigi Capogrosso dovranno rispondere anche di omicidio colposo. La sentenza del 2017 ha infatti riconosciuto il nesso causale tra l’esposizione all’amianto e l’insorgenza del mesotelioma in alcuni degli operai deceduti.

“L’eventuale condanna – afferma Marco Caldiroli (Medicina democratica, con Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA), si è costituita parte civile nel processo), – potrebbe anche spingere a un’ulteriore bonifica”.

Caldiroli chiama in causa i processi produttivi dell’impianto, attualmente sotto il controllo di ArcelorMittal Italia: “L’ex Ilva – spiega – è una produzione integrata: parte da un minerale di ferro e lo riduce per arrivare all’acciaio. La fase iniziale di questo processo, la riduzione fatta con la cokefazione del carbone, è particolarmente impattante: è la cosiddetta «area a caldo». Questo processo, a maggior ragione per impianti obsoleti in partenza come quello di Taranto, rappresenta il maggior impatto ambientale e umanitario.

Da un trentennio – ricorda il presidente di Medicina Democratica – esistono tecnologie che usano il metano al posto del carbone, saltando la necessità di avere i carbonili e la cokefazione, estremamente nociva per le emissioni diffuse. Ovviamente, questo vuol dire chiudere gli impianti e rifarli daccapo,con una serie di costi e problematiche”.

Secondo Caldiroli, a giocare un ruolo centrale sono i lavoratori del siderurgico, che dovrebbero “pretendere un immediato risanamento almeno dei cicli produttivi che potrebbero ancora essere salvati, e poi avviare le bonifiche”, sulle quali “c’è un campo aperto, sia come complessità d’intervento, ma anche in positivo, con possibilità occupazionali estremamente elevate: qualcosa di analogo, forse più in piccolo, sta avvenendo ora a Porto Marghera”.

 

5/FINE

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