Il dottor Cogghimbrogli

di Thomas Pistoia (feat Alessandro Manzoni)

Immagine d’apertura: Francesco Gonin, Renzo dall’Azzeccagarbugli

Negli ultimi due anni abbiamo perso il conto di quante diffide e querele temerarie siano arrivate in redazione. Negli ultimi mesi sono arrivati due decreti di citazione diretta a giudizio e prima ancora il sequestro di tre inchieste (sequestro vietato dalla Costituzione italiana); una settimana fa la richiesta di una remissione di querela, arrivata alla vigilia della sentenza, dopo sei anni tra indagini e processo. Abbiamo rifiutato. Sono arrivate due convocazioni per altrettanti interrogatori – convocazioni telefoniche, senza alcuna notifica ufficiale. Abbiamo chiesto che venga ufficializzata la richiesta. Una notifica di chiusura indagini; una opposizione alla richiesta di archiviazione della querela da parte del pm; abbiamo scritto denunce e integrazioni di denunce per minacce di morte, abbiamo protocollato documenti, fatto incontri, telefonate. Una ditta, la Gial Plast raggiunta da interdittiva antimafia. Almeno 10 anni fa abbiamo iniziato a scriverne e poi abbiamo fatto presente che i dipendenti di Geotec, raggiunta da interdittiva, a cui Gial Plast era subentrata, erano stati fatti transitare da una ditta all’altra. A norma di legge. E poi, ciliegina sulla torta, due puntate dell’inchiesta “Sanità papers”, quelle relative al mancato collaudo della Pet e di due risonanze magnetiche dell’ospedale Vito Fazzi e dell’Oncologico, danno il là ad altrettante indagini della Guardia di Finanza e della magistratura: vengono sequestrati fascicoli su fascicoli presso la Asl ma la maggior parte dei distratti giornali leccesi, non se ne accorge. Leggendo queste testate stordite dall’estate arrivata improvvisa, sembra un sequestro come tanti, e non la reazione delle forze dell’ordine alle denunce giornalistiche del Tacco. Isolamento e fuoco incrociato. Questa è la tattica per zittire l’informazione indipendente. E per indipendente intendo un’informazione prodotta non da schegge impazzite o ululatori alla luna, ma una piccola cooperativa di giornalisti, una casa editrice con tutti i sacri crismi, che non si piega e anzi investe sul territorio, crede nei giovani e nella scuola, addirittura lanciando una rivista nazionale come “Scuola e Amministrazione”. Per noi questa è Resistenza. Tutto il resto invece cos’è? M.L.M.

Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un “Venite, figliuolo,” e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de’ dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita di codici, raccoglitori, cartelle, fascicoli, con tre o quattro seggiole all’intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s’accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt’anni addietro, per perorare, ne’ giorni d’apparato, quando andava al tribunale di Bari o a quello di Lecce, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: “figliuolo, ditemi il vostro caso”.

“Vorrei dirle una parola in confidenza”.
“Son qui” rispose il dottore, “parlate”. E s’accomodò sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l’altra, ricominciò: “vorrei sapere da lei che ha studiato…”
“Ditemi il fatto come sta”, interruppe il dottore.
“Lei m’ha da scusare: noi altri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere…”
“Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar il fatto, volete interrogare, perché avete già i vostri disegni in testa”.
“Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a fare una querela temeraria per diffamazione a un giornalista, c’è penale”.


“Ho capito” disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. “Ho capito” e subito si fece serio, ma d’una serietà mista di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. “Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro, contemplato nella dottrina e in diverse sentenze. Ora vi fo vedere, e toccar con mano”.
Così dicendo, s’alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.

“Dov’è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev’esser qui sicuro. Ah! ecco, ecco”. Prese il fascicolo, lo spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: “12 dicembre 2017! Sicuro; è un caso fresco; son quelli che fanno più paura. Sapete leggere, figliuolo?”
“Un pochino, signor dottore”.
“Bene, venitemi dietro con l’occhio, e vedrete”.

E, tenendo le pagine sciorinate in aria, cominciò a leggere, borbottando a precipizio in alcuni passi, e fermandosi distintamente, con grand’espressione, sopra alcuni altri, secondo il bisogno:
“Tribunale di… Sezione del Giudice per le indagini preliminari… Decreto di convalida di sequestro preventivo eseguito ad iniziativa della P. G. e di emissione di sequestro preventivo (art. 321 commi 3 -bis e 3 -ter c.p.p.) il g.i.p. dott. eccetera visti gli atti del procedimento sopra indicato nei confronti di eccetera indagati per i reati di cui alla richiesta del Pm che si allega alla presente… rilevato che è stata sporta querela da eccetera eccetera, per i contenuti diffamatori scritti dalla giornalista e pubblicati sulle pagine del giornale online eccetera e che da tale querela risulta che l’articolo pubblicato a firma della giornalista riporti frasi offensive della reputazione dell’azienda… sentite?”
“È il mio caso”, disse Renzo.

“Sentite, sentite, c’è ben altro; e poi vedremo la pena. Ritenuto che dalle indagini emerge il “fumus” del reato di diffamazione perché la giornalista usava espressioni molto forti nei confronti dell’azienda, idonee ad offendere l’onore e il decoro della società stessa (e del suo legale rappresentante) eccetera rilevato che, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., il giudice può disporre il sequestro delle cose pertinenti al reato che il permanere delle frasi diffamanti aggravi eccetera, che nella sentenza numero eccetera del… è chiarito che è ammissibile il sequestro preventivo mediante oscuramento di una pagina web (se fosse solo una pagina web, ma qui parliamo anche di un articolo di stampa. E la stampa non può essere oscurata o censurata, ma il giudice non ne tiene conto)… rilevato che può essere disposta la rimozione mediante oscuramento, “imponendo al fornitore dei servizi internet, anche in via d’urgenza, di oscurare una risorsa elettronica o di impedirne l’accesso agli utenti eccetera… Eh?”
“Pare tutto scritto apposta per me”.
“Eh? non è vero? Sentite, sentite”.

Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l’occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover esser il suo aiuto. Il dottore gli disse poi: “Capisci dunque? Chiamasi querela temeraria per questo motivo. Il giornalista scrive una verità scomoda che potrebbe scandalizzare, se non addirittura far sollevare l’opinione pubblica. Il querelante (cui di solito un cospicuo patrimonio non manca) paga fior di avvocati perché querelino e sostengano una tesi impossibile se riferita alla stampa, la cui libertà è eziandio protetta dalla costituzione. Ma il Gip… le indagini comunque partono e partono i sequestri, le censure. La giustizia italiana è così lenta! Il giornalista riuscirà poi a dimostrare di non aver compiuto reati, ma passeranno mesi o anni, avrà perso tempo e energie e magari la notizia sarà pure invecchiata al punto da non interessare più la gente. E adesso… adesso immagina se tutta questa sequenza si ripetesse più volte, se le querele diventassero due, tre, quattro, dieci. Il giornalista si ritroverebbe senza risorse da destinare al suo lavoro, costretto a perdere altro tempo e altre energie per difendersi e dimostrare la verità. E’ una forma di stalking. Geniale, no? Orbene, chi è il giornalista che dobbiamo querelare? Cosa ha scritto e su quale testata? Qual è la verità che dobbiamo nascondere?”

“Ehm… No, ecco” rispose Renzo, “Non c’è nulla da nascondere, anzi, credo ci sia un equivoco…”
“Non facciam niente,” rispose il dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. “Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch’io v’aiuti, bisogna dirmi tutto, dall’a fino alla zeta, col cuore in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona che ha scritto l’articolo: perché, vedete, a saper ben maneggiare le querele, nessuno è reo, e nessuno è innocente. D’ogni intrigo si può uscire; io vi parlo da amico: le querele temerarie bisogna pagarle; se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello che vi sarà suggerito”.


Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo stava guardando con un’attenzione estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai. Quand’ebbe però capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca, dicendo: “Oh! Signor dottore, come l’ha intesa? L’è proprio tutta al rovescio. Io non ho querelato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La querela l’hanno fatta a me”.


“Diavolo!” esclamò il dottore, spalancando gli occhi. “Che pasticci mi fate? Tant’è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare le cose?”


“Ma mi scusi; lei non m’ha dato tempo: ora le racconterò la cosa, com’è. Ho realizzato un’inchiesta in cui ho dimostrato i legami tra l’azienda di raccolta dei rifiuti, la sacra corona unita e i tentativi di infiltrazione di quest’ultima nel comune di…”


“Eh via!” interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, “eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m’impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria”.


“Le giuro…”
“Andate, vi dico: che volete ch’io faccia de’ vostri giuramenti? Io non c’entro: me ne lavo le mani.” E se le andava stropicciando, come se le lavasse davvero. “Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un galantuomo”.

Ecco.
Tra i miei venticinque lettori, quelli che han studiato di più, ma anche quelli che han studiato di meno, avranno riconosciuto in questo Renzo giornalista e in questo avvocato che chiamerò salentinamente Dottor Cogghimbrogli, così come in parte di quello che i due si dicono, dei personaggi molto simili a quelli presenti nel romanzo di un mio più noto collega.


E’ un modo come un’altro per raccontare l’assenza di una legge sulle querele temerarie. Assenza che impedisce ai giornalisti di fare il proprio mestiere e di raccontare la verità. La mafia, a sua volta, ha imparato a utilizzare la querela temeraria con la stessa naturalezza con cui maneggia armi da fuoco e esplosivi.


Però, anche così, resta comunque una montagna di merda.
E allora…

Questa conclusione c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

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