Taranto, racconti e battaglie da “MiniBar”

//REPORTAGE// Dal “MiniBar”, vicino alla chiesa “Gesù Divin lavoratore” e di fronte all’ex Ilva, sono passate generazioni di operai. Ignazio D’Andria è da decenni testimone di dolori, speranze, battaglie, come la raccolta fondi per l’apertura del reparto oncologico pediatrico presso l’Ospedale SS. Annunziata. La nostra cronista ha passato lì una mattinata, raccogliendo i racconti degli avventori

di Rosaria Scialpi

Anno 1960. Nasce a Taranto il quarto polo siderurgico della penisola, uno dei più grandi d’Europa: l’Italsider, oggi ArcelorMittal, ex Ilva. Lo stesso anno viene inaugurata la chiesa Gesù Divin Lavoratore, sorta nell’omonima piazza. Non è un caso che sia situata proprio lì, nella parte terminante del quartiere e prospiciente allo stabilimento siderurgico. La Chiesa, infatti, voleva riunire sotto la sua egida tutti i fedeli proletari che sarebbero andati a stanziarsi nei pressi della fabbrica, che sembrava loro un miracolo, la manna scesa dal cielo per far risorgere la città. A testimonianza di ciò, c’è il gigantesco mosaico presente nella parrocchia, che raffigura Gesù Cristo attorniato dalle ciminiere delle fabbriche.

In quella stessa piazza c’è un piccolo locale, il MiniBar, luogo di ritrovo degli abitanti del quartiere e degli operai che fanno tappa lì al mattino, prima di recarsi in fabbrica. Questo bar, grazie alla sua peculiare ubicazione, può essere un osservatorio privilegiato dei cambiamenti che il quartiere ha subito nel corso del tempo e dello spirito con cui gli operai si approcciano al loro consueto lavoro.

Ci rechiamo proprio lì e parliamo con il suo proprietario, Ignazio D’Andria.

Ignazio D’Andria

Ignazio ci sorride gentilmente e si rende subito disponibile, così come ha sempre accolto i media e i politici che sono entrati nel suo bar. Parlare del suo quartiere, della sua città, è per lui una dichiarazione d’amore. E quale innamorato non guarda la sua amata, apprezzandola nonostante i suoi difetti, e le fa doni? Ignazio un dono l’ha fatto alla sua amata Taranto: attraverso una raccolta fondi è riuscito a finanziare l’apertura del reparto oncologico pediatrico presso l’Ospedale SS. Annunziata.

“Oggi ho pubblicato il video della prima conferenza stampa tenutasi all’arrivo di Nadia (Nadia Toffa, ndr). Un’emozione! Una bella cosa, è andata bene, è riuscita bene – ci dice soddisfatto –. Molti ci hanno remato contro, ma poco ce n’è fregato, siamo andati avanti con la nostra iniziativa, ci abbiamo creduto e lei ci ha dato una mano, come ci aveva promesso. Nadia è felicissima di aver partecipato, ce lo dice sempre, e tornerà a Taranto quest’estate: mi ha chiesto di aiutarla a trovare una casa in affitto qui per i mesi estivi. Già l’anno scorso avevo preparato dei trulli, ma non è stata bene.

Nadia ci ha consigliato di non far salire politici sul carro, 22 eravamo e 22 siamo rimasti fino alla fine, abbiamo litigato quasi da prenderci per capelli, come si suol dire. Siamo rimasti uniti e ce l’abbiamo fatta; abbiamo chiuso a dicembre 2018 con degli ottimi risultati: ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta, il reparto finalmente c’è!

Il reparto esiste e mi tocca dire che, purtroppo, funziona: perché se funziona, significa che ci sono ancora bambini malati che lottano per resistere


Perché lo facciamo? Lo facciamo perché siamo un bar di quartiere, un quartiere in cui abbiamo vissuto sin da piccoli. All’epoca noi giocavamo su quelle collinette (le collinette “ecologiche” dell’ex Ilva, che, ora è noto, sono state costruite con i rifiuti industriali dello stabilimento), giocavamo agli Indiani, giocavamo a nascondino, giocavamo a pallone e a volte ci tiravamo addosso la terra di quelle collinette ed eravamo contenti di sporcarci! Abbiamo giocato con quelli che oggi sono classificati come veleni…Forse si sapeva prima e nessuno diceva niente, forse non si sapeva. Io questo non lo so. C’era il lavoro e c’era il benessere. Io sono un commerciante e non posso sputare nel piatto in cui ho mangiato per anni, non mi sembrerebbe giusto. L’Ilva è stata per tutta Taranto ricchezza, nell’inconsapevolezza, nel non sapere ciò che noi sappiamo oggi”.

A questo punto interviene un cliente abituale del bar, ha la faccia contrariata e lo sguardo disilluso, e dice: “Secondo me, si è sempre saputo tutto. C’era chi sapeva e ha taciuto. La lotta non va fatta adesso, andava fatta negli anni ‘70-’80. C’è gente che nell’Italsider ha davvero dormito, poi è andata in pensione, ha preso una buonuscita e adesso lotta perché ha i nipoti e i figli; perché allora queste persone non hanno lottato prima? Ci hanno lasciato un’eredità che non è gestibile, che è più grande di noi. Loro hanno sbagliato e noi ne paghiamo le conseguenze.” L’uomo finisce di parlare, sorseggia il suo caffè e torna ad ascoltare le parole di Ignazio.

Ignazio riprende a parlare e ci descrive come ha avvertito il cambiamento nel quartiere in seguito a una maggiore presa di coscienza in merito al problema dell’inquinamento: “Nel quartiere non abbiamo reagito subito, per anni ci siamo auto-condannati, era facile dire «Sì, ma poi vediamo», «Eh ma poi facciamo…Qualcosa si farà». Ci siamo resi conto, solo adesso, che invece è troppo tardi, troppo tardi! Ormai i nostri figli vanno via di qui. I miei stessi figli vivono altrove, per cui dovrò chiudere, prima o poi, una delle mie due attività. Se vai al porto al mattino, vedi un crocevia di gente che va via. Tu pensa che oggi è il compleanno di mio figlio, il quale è arrivato ieri mattina e parte oggi alle quattro: una sola giornata, giusto per festeggiare con noi e poi fare ritorno ad Arezzo, con tanta amarezza. Però oggi lo facciamo abbuffare con le specialità di Taranto, da lui espressamente richieste, tipo le cozze. La gente va via e lo fa con la speranza di stare meglio, lavorare e non ammalarsi.

Per evitare tutto ciò, bisogna far rivivere la città in maniera diversa: ricominciamo dal turismo, esaltiamo le bellezze che abbiamo da offrire e che non sono poche! Purtroppo, negli anni, si è diffusa l’idea sbagliata che venire in visita a Taranto porti necessariamente ad ammalarsi e il turista scappa.

Se vieni un giorno, una settimana o un mese a Taranto, vieni a vedere quanto di bello ha da offrirti questa città, non ti ammali in un giorno, il Tarantino non si ammala in un mese, si ammala in maniera silente e lenta! Quindi, turista, non temere e non essere schiavo del sentito dire, vieni a Taranto.

Se vieni un giorno, una settimana o un mese a Taranto, vieni a vedere quanto di bello ha da offrirti questa città, non ti ammali in un giorno, il Tarantino non si ammala in un mese, si ammala in maniera silente e lenta! Quindi, turista, non temere e non essere schiavo del sentito dire, vieni a Taranto.

Basta credere a queste idiozie! Al turista, oltre alle bellezze del territorio noi possiamo dare ciò che è nostro da sempre: un sorriso e ospitalità. In fondo, c’è un detto tarantino che recita: “San Cataldo (patrono di Taranto, ndr) è amante dei forestieri”. Se vieni a Taranto poi te ne innamori.

La maglietta “Ie jesche pacce pe te” – Io esco pazzo per te – è in giro da undici anni. Inizialmente nata in maniera scherzosa, per un po’ di tempo l’ho venduta nel il mio locale, ricavandone qualcosina. Tempo fa, poi, venne a trovarci Toffa e mise la maglietta in trasmissione, e da allora fu molto richiesta. Sollecitato da mio fratello, decisi di contattarla e così potemmo dar avvia alla raccolta fondi, con lei che ci faceva da madrina. Con i proventi delle magliette abbiamo finanziato l’apertura del reparto di cui ti parlavo prima. Abbiamo venduto 70mila magliette in tutto il mondo: pensa che le hanno indossate durante un matrimonio in Svizzera!”.

Francesco e la madre Milena, insieme agli amici del MiniBar

Proprio oggi, peraltro, gli amici del MiniBar hanno deciso di donare a Francesco Vaccaro, un ragazzo del quartiere, una maglietta della sua squadra del cuore: il Milan.

Francesco è un ragazzo di vent’anni che vive al quartiere Tamburi, amante del calcio e della fotografia. Eppure non può condurre la vita di qualunque altro suo coetaneo.

Francesco combatte da ben 14 anni con molte malattie: “Ogni anno mi diagnosticano una nuova malattia che mi terrà compagnia e l’aggravamento di quelle già presenti. Non ho l’opportunità di poter progettare le cose guardando al futuro, devo farlo momento per momento, nemmeno giorno per giorno. Io combatto ogni giorno contro l’inquinamento e la malattia e lo faccio anche per chi non ha problemi di salute. Lottare sempre, arrendersi mai. Oggi, ad esempio, so che pranzerò dalla mia nonnina e, se tutto andrà bene, nel pomeriggio andrò al centro commerciale a vedere Giorgio Vanni e i personaggi Marvel e poi vedrò la partita. Ehi, speriamo vinca il Milan! Ma non ho molte certezze. Se faccio un programma è probabile che poi io debba cambiarlo per l’insorgere di qualche problema.

In questa città ogni piccola cosa è da ricostruire, a partire dal rispetto per l’ambiente che ci circonda, evitando di gettare le carte per terra, ad esempio. Sai, io ho scritto un libro il cui ricavato è andato in beneficenza e, anche solo guardando le persone, scrivevo loro dediche differenti. Mi hanno chiesto spesso come facessi: la realtà è che entro in empatia con le persone, parlando con loro mi nutro, mi arricchisco e acquisto forza. Non vedo l’ora di andare a mangiare da mia nonna, si sa, il pranzo domenicale dalle nonne rimane il pranzo dalle nonne, non c’è paragone”.

Francesco è dotato di una forza di volontà unica, ama profondamente la vita e sorride in maniera pura. In un solo momento il suo sorriso scompare e cioè quando ci dice: “Io ho creduto fortemente in Melucci. Lo seguivo ovunque durante le elezioni. Ho creduto nelle sue promesse, ho creduto nei suoi sorrisi. Mi ha tradito, ci ha traditi! Ho seguito la sua intera campagna e ho realizzato un sacco di servizi fotografici paralleli per promuoverlo. Ma a lui non importa nulla di questa città, non gli importa se a me hanno diagnosticato le malattie, non gli importa se qui la gente muore o se le persone sono disperate!”.

Parliamo con Milena, la madre di Francesco. Milena ha un viso molto dolce e lo stesso sorriso di suo figlio; è ancora visibilmente emozionata per il gesto degli Amici del MiniBar verso di lui. Milena è contenta di vedere Francesco gioire, e di percepire quanto le persone lo amino. Forse proprio queste forme d’amore fanno in modo che, nonostante tutto, il viso di mamma Milena appaia sereno.

“Ho due figli e di entrambi ho sempre sentito cose positive. Francesco è afflitto da diverse malattie da ben 14 anni e ultimamente ogni cinque mesi scopriamo qualcosa di nuovo. Di recente ha avuto un edema cerebrale: era irriconoscibile. Fortunatamente il nostro ragazzo è dotato di tanta forza di volontà e riesce a trasmettere serenità anche a chi lo circonda; è stato così anche quando ha avuto la sua prima crisi epilettica. Una sera, io e suo padre siamo entrati in camera sua ed era riverso su stesso, perdendo sangue. Abbiamo cominciato a formulare mille congetture su quella situazione, non ci eravamo mai trovati di fronte a ciò prima, non è stato facile. Francesco è un ragazzo d’oro, ce lo dicevano anche i suoi insegnanti. Durante i ricoveri, Francesco passava le giornate a studiare, a cercare di mettersi al passo con il programma e, quando non comprendeva qualche argomento, chiedeva a me di andare nella sua scuola per poterne parlare con i professori e spiegarlo poi a lui. Non si è mai arreso, è una forza della natura! Ha addirittura elaborato le sue tesine di terza media in ospedale, ottenendo poi dei buonissimi risultati. Mi commuove ogni volta vedere quanto affetto riceve e quanto buone siano le persone qui presenti”.

“Viverci è come vivere all’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta.”

Era il 1959 e Pier Paolo Pasolini descriveva così Taranto, estasiato dalla sua bellezza pura. Non poteva sapere che, da lì ad un anno, quel paesaggio da lui descritto, composto da ulivi secolari, mare e corsi d’acqua cristallini, e la roccia arsa e bianca, sarebbe scomparso per lasciare il posto al colosso industriale Italsider, ex Ilva, oggi ArcelorMittal.

Quel paesaggio degli scritti di Pasolini ci viene descritto da un uomo presente al MiniBar: “Quando ero piccolo, ricordo che, entrando a Taranto, eri inebriato da un odore estremamente piacevole, un odore di fresco, di pini e di mare. Oggi, quando entri a Taranto senti l’odore dell’Ilva e dell’Eni e quando sei altrove e non lo senti, hai una sensazione strana.

Quand’ero piccolo, andavo al mare e si potevano trovare ramoscelli di liquirizia selvatici che avevano un odore paradisiaco ed erano ottimi! Ricordo ancora quando, guardando verso la piana dove poi sarebbe sorto l’Italsider, vidi del fumo e chiesi a mio padre di cosa si trattasse.  Mio padre mi rispose tutto orgoglioso: “Figlio mio, qui a Taranto sta per nascere la più grande industria d’Italia!”

All’epoca non si capiva bene di cosa si trattasse, si capiva solamente che quell’industria, per cui venivano abbattute masserie e alberi, avrebbe portato lavoro“.

Io, a causa dell’inquinamento, ho perso un bambino di soli 3 anni. Il mio piccolo è scomparso all’improvviso, senza alcuna colpa. Per colpa dell’inquinamento muoiono bambini che non hanno ancora avuto il tempo di scoprire cosa sia la vita ed è una vera ingiustizia”. Mentre parla, gioca con le mani; è evidente che ricordare il figlio scomparso gli causi dolore, e che lo pervada una sensazione di forte impotenza: “Io non vivo al quartiere Tamburi, ma sono vicino alla sua causa. L’inquinamento non è circoscritto a questo quartiere, è tangibile anche nel Borgo nuovo, dove io abito. E soprattutto le fonti inquinanti qui sono molteplici, non si tratta solo dell’Ilva.

Nel 1981 lavoravo all’ex IP, oggi ENI. Ricordo che, il primo giorno, tornato a casa, feci una doccia e il mio corpo si cosparse di strane macchie, dovute alla presenza della lana-vetro sulla pelle. Quando il giorno seguente feci ritorno a lavoro, mi suggerirono di passare dieci minuti sotto la doccia, facendo semplicemente scorrere l’acqua, e solo in seguito di insaponarmi per evitare che le schegge di lana-vetro penetrassero nella mia pelle. Maneggiavamo fibre di vetro, di roccia e di altri materiali a mani libere. Sei dei miei compagni di lavoro morirono uno dopo l’altro. La causa? Mesotelioma da esposizione all’amianto. Quando noi cominciammo a lavorare lì, tutto questo non si sapeva, così come solo recentemente si è preso coscienza di quanto dannosi possano essere il benzopirene e l’amianto per i lavoratori dell’ex Ilva. Ricordo che si cominciò a parlare con sistematicità di questi problemi a Taranto solo nel 2003. La strage degli anni precedenti è stata silenziosa, la gente moriva lo stesso ma non si capivano bene quali fossero le cause di un picco così alto di mortalità. Nonostante siano passati anni da allora, i medici brancolano ancora nel buio, non perché non siano competenti, ma perché alcune malattie sono rare nel resto del mondo e non hanno ancora i mezzi per creare una cura efficace.

Vogliono costruire qui l’Ospedale San Cataldo per darci il contentino e dirci che ci regalano la possibilità di morire a casa nostra

Il vero problema è che, anziché tentare di risolvere il problema alla radice e trovare altri rimedi, si persevera sulla stessa linea, donando all’azienda l’immunità, autorizzandola a continuare a inquinare e a diffondere morte. Lo Stato con l’immunità ci ha condannati a morte, non c’è alcun ente che giunga in nostro soccorso o che vigili sulle industrie!

Taranto deve mobilitarsi, fare magari come i pastori sardi, catturare l’attenzione e vincere. Devono andare via di qui le fonti inquinanti e solo allora potremo ricominciare a vivere e riacquisiremo dignità. La città si è impoverita, la gente lavora all’Ilva e all’Eni per poter mangiare e curarsi… Eh già! Curarsi dagli stessi mali provocati dall’industria!

Purtroppo, la mia generazione, pur avendo lottato in passato, ad oggi non può molto. Il futuro ora è in mano ai giovani ed io sono molto fiducioso nei loro confronti. C’è un’ondata di giovani pronta a combattere e questo mi fa ben sperare. Inoltre, i giovani oggi hanno un gran vantaggio: i social. Se usati sapientemente, i social possono essere un validissimo supporto per le loro cause: basta postare una foto su un qualunque social network e milioni di persone in tutto il mondo possono visualizzarla e, magari sposare la causa. Così bisogna fare con Taranto, si deve parlare, si devono diffondere le informazioni, non si deve tacere o chinare il capo!”.

Quest’uomo porta a termine il suo discorso con fierezza e ci saluta affettuosamente.

Andiamo tutti via da Piazza Gesù Divin Lavoratore, ma il problema rimane, è lì, indelebile, sotto i nostri occhi e non basterà una gomma per cancellarlo.

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