Simon Boccanegra, capolavoro misconosciuto

di Fernando Greco

(foto Studio Immagina)

 

Nella serata del 27 gennaio, ricorrenza della scomparsa di Giuseppe Verdi (1813 – 1901), il teatro Petruzzelli di Bari ha scelto di inaugurare la Stagione Lirica 2019 con “Simon Boccanegra”, titolo tra i meno popolari del repertorio verdiano, ma nondimeno premiato dal convinto e abbondante plauso del pubblico barese, complice l’efficacia della messa in scena a cui ha fatto da contraltare il grande fascino del versante musicale.

 

GENIALI ANTICIPAZIONI

“Il Simon Boccanegra appartiene al limbo di quelle opere verdiane che non diventeranno mai popolari, eppure racchiudono in sé tali motivi d’interesse e tanti spunti di geniali anticipazioni, che non cadranno mai interamente nell’oblio e verranno sempre, periodicamente, riscoperte come un capolavoro ingiustamente misconosciuto”. Così Massimo Mila scriveva a proposito di quest’opera in cui l’assenza di motivetti orecchiabili e la complessità della trama, ragioni della scarsa popolarità, non devono distogliere l’ascoltatore dalla bellezza di una partitura in cui, caso unico nel catalogo verdiano, è possibile scoprire sia echi di quella piena maturità artistica raggiunta con la trilogia popolare sia anticipazioni di quel turgore tardo-ottocentesco che avrebbe caratterizzato l’ultima fase creativa del Bussetano, dal momento che il Boccanegra, dopo il fiasco del 1857 alla Fenice di Venezia, venne rimaneggiato dal musicista ventiquattro anni dopo (1881), segnando l’inizio della collaborazione con Arrigo Boito che avrebbe condotto alla composizione delle ultime due opere di Verdi: Otello e Falstaff.

 

IL MIGLIOR BARITONO AL MONDO

A trent’anni dalla rappresentazione barese che nel 1990 segnò il debutto del famoso baritono Leo Nucci nel ruolo di Boccanegra, il nuovo allestimento creato dal Petruzzelli (in collaborazione con l’Opera di Losanna e di Maribor) ha visto debuttare in questo ruolo il baritono Luca Salsi, considerato una tra le migliori voci verdiane dell’ultima generazione. Lungi da facili trionfalismi e inutili sentenze (come quella del maestro Riccardo Muti che, a proposito di Salsi, avrebbe affermato che si tratti del “miglior baritono al mondo”), bisogna riconoscere la straordinaria professionalità del baritono parmense che, dopo gli esordi belcantistici, oggi viepiù si identifica con la vocalità e la psicologia dei grandi ruoli costruiti da Verdi per la corda baritonale, personaggi caratterizzati da uno scavo interiore fuori dal comune, un tormento derivante dall’insopprimibile dualismo tra pubblico e privato, essere e apparire.

A proposito di Simon Boccanegra, ruolo con cui Salsi è tornato al Petruzzelli dopo il Macbeth del 2015, si tratta di quella dicotomia tra ragion di stato e ragioni del cuore tanto cara a Verdi fin dalle opere degli “anni di galera”, dicotomia che Boccanegra annulla mettendo sempre il cuore al primo posto e ponendo la politica sempre a servizio dell’amore che egli nutre per la compagna amata e perduta, per la figlia ritrovata, per il suo popolo, perfino per il suo nemico. Insomma Boccanegra è un sentimentale: questa è la chiave su cui Salsi, in accordo con il regista, ha giocato la sua interpretazione grazie ai chiaroscuri di un velluto vocale che ha dato il meglio di sé nei momenti di maggiore intimismo, ovvero il duetto con la figlia ritrovata nel primo atto (coronato dall’ovazione del pubblico al termine del sognante pianissimo sulla parola “Figlia!”) oppure quel crogiolo di pensieri contrastanti in cui il protagonista, tra sonno e veglia, si arrovella durante il formidabile secondo atto. La sontuosa vocalità di Luca Salsi non ne farebbe la grandezza se non fosse supportata da una meticolosa arte scenica, un’espressività accattivante che gli ha permesso una totale immedesimazione con il personaggio, guadagnandogli il pubblico plauso. Non si può non amare quel ragazzone che, all’inizio dell’opera, abbraccia teneramente la figlioletta e le insegna a fare le barchette di carta (complice la regia di Bernard, che adotta il simbolo della barchetta come fil rouge del legame padre-figlia) né restare indifferenti alla ricchezza di intenzioni con cui, ormai doge dai capelli brizzolati, non esita a stracciare la lista dei congiurati pur di salvare l’uomo che ella ama.

 

EVITARE IL REALISMO

Il mare, protagonista della scrittura musicale e specchio delle umane vicende, domina la scena del nuovo allestimento attraverso un imponente fondale fotografico associato ad argani e pontili semoventi che con il loro continuo salire e scendere identificano una “scenografia claustrofobica” secondo le intenzioni del regista Arnaud Bernard, responsabile di regia e scene, per il quale “sarebbe ingenuo voler ricostruire una rappresentazione d’epoca, cadendo nel cliché. La mia scelta è stata un’altra: evitare il realismo, non cercare di ricostruire, ma piuttosto raccontare una storia creando uno spazio che sappia far giocare l’immaginazione”. Molto naturalistici e accurati i movimenti delle masse corali. Il punto di vista registico si sposa alla perfezione con i costumi senza tempo ideati da Marianna Strànskà, talora vagamente medioevali come il vestito di Amelia o il copricapo dogale, talora più stravaganti come le belle tute grigio-nere degli sgherri, con tanto di scarpe da ginnastica. Fondamentale il disegno luci di Patrik Méeüs.

 

LE RAGIONI DEL CANTO

Altissimo si è rivelato il livello qualitativo dell’ Orchestra del Petruzzelli guidata dalla bacchetta di Jordi Bernàcer, maternamente attenta alle ragioni del canto nonché accurata nel dare giusto risalto tanto ai dettagli chiaroscurali quanto ai momenti più scopertamente sinfonici di una partitura complessa e mai scontata. Ottima la performance scenico – vocale del Coro del Petruzzelli istruito da Fabrizio Cassi, ensemble messo a dura prova dalle intenzioni registiche che ha saputo assecondare alla perfezione. Il resto del cast si è mostrato degno della maestria del protagonista, a cominciare da Liana Aleksanyan, soprano armeno dal timbro vellutato e dalla grande credibilità scenica nel ruolo di un’Amelia tenerissima con il padre ritrovato e appassionatamente innamorata del suo Gabriele, nel cui impeto giovanile si è immedesimato l’eccezionale squillo tenorile di Giuseppe Gipali, di ritorno a Bari a circa un anno di distanza dal Trovatore della Stagione 2018. Roberto Scandiuzzi è tornato a indossare i panni dell’austero Fiesco con quell’aplomb scenico e quell’autorevolezza vocale che nel corso degli ultimi tre decenni lo hanno reso celebre nel panorama internazionale; peraltro lo stesso artista aveva già interpretato lo stesso ruolo a Bari nell’allestimento del 1990, al fianco di Leo Nucci. Il baritono Gianfranco Montresor, tra le migliori voci del cast, ha scolpito in maniera encomiabile la “parola scenica” verdiana interpretando la parte di Paolo Albiani, eroe negativo per il quale Verdi ha prescritto una vocalità importante quasi quanto quella del protagonista. Il basso Alessandro Abis ha caratterizzato in maniera efficace il personaggio del popolano Pietro, visto da questa regia come uno scugnizzo sobillatore al servizio di Paolo. Puntuali Stefano Pisani e Marta Calcaterra nei rispettivi ruoli di capitano dei Balestrieri e Ancella di Amelia.

 

Il “Simon Boccanegra” sarà replicato al Petruzzelli fino al 6 febbraio prossimo. Dal 23 febbraio al 3 marzo andrà in scena la commovente “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini in una nuova messa in scena a cura di Daniele Abbado; sul podio il maestro Giampaolo Bisanti.

Ulteriori informazioni nel sito web www.fondazionepetruzzelli.com

 

 

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