Pioggia acida

di Thomas Pistoia

L’idea gli venne una mattina, al bar.
Mentre sorseggiava il caffè, sfogliava il giornale. Il titolo dell’articolo non era cubitale, anzi, si perdeva un po’ nella ressa di testo e immagini ospitate dalla pagina. Eppure l’occhio gli cadde proprio lì.
Un gruppo di deputati propone: frutta tropicale al posto degli ulivi infetti“.
Il ragionamento era semplice: la Xylella ha distrutto gli ulivi? Sostituiamoli con l’avocado, l’ananas, il mango…

Sulle prime ridacchiò. Ma mentre la risata lo attraversava, la lampadina si era accesa, la pulce nell’orecchio aveva cominciato a grattare, la sequenza delle azioni da intraprendere si delineava, la startup, il business plan, insomma chiamatelo come volete, lui all’improvviso smise di ridere e si fece serio, di quella serietà che accende gli occhi di un disoccupato, quando la speranza compare come una madonna.
Lu fore del nonno, la campagna che il vecchio gli aveva lasciato in eredità… Qualche ettaro incolto e abbandonato da una sua mancanza di talento agricolo che credeva atavica…
Invece no. Lui l’agricoltura ce l’aveva nel sangue. E’ che finora gli era mancata l’idea!
Si alzò di scatto e corse fuori dal bar, dimenticando perfino di pagare il caffè.

Da quel momento non si fermò più.
Trovò i soldi, non ne servivano poi tanti. Non dovette neanche rivolgersi a una banca. C’era lu Zìucciu, lo zio più anziano di tutti, impiegato comunale in pensione. Gli voleva bene e lo portava in palmo di mano. Ascoltò la sua idea e gli disse “Napute miu… Te dicu la verità. Nun aggiu capitu nu cazzu… Ma non è che i soldi me li posso portare di là, dove andrò tra poco… Nà! Lu signore cutteccumpagna”.
Lui augurò lunga vita al novantaseienne, prese il denaro e si precipitò a comprare i semi.
Non ne servivano tanti di soldi… ma manco pochi. Dall’avocado e dal mango dirottò la sua attenzione sui semi di una pianta brasiliana: il maracuja. Scoprì che lo chiamano “il frutto della passione”.

Aleeeeeeeé! Allora serve per tromb… Ah, no. Pare che il nome derivi dalla forma dei fiori, che fanno pensare alla corona di spine di nostro signore. Sì sì, ecco… Passione in quel senso. Va beh, comunque lui li comprò lo stesso. Poi si mise il cappello di paglia, la tuta da ginnastica, gli scarponi e salì sul vecchio trattore del nonno: un Goldoni Export del ’67 che pareva dicesse “tenime ca te tegnu”, però, minchia, lavorava. Piano, proporzionalmente alla sua età, ma lavorava.
Insomma, dopo tanta fatica e con un po’ di fortuna, un bel giorno, i pochi ettari che aveva a disposizione si ritrovarono pervasi da una meravigliosa distesa multicolore di maracuja.
L’idea del giovane disoccupato aveva preso forma. Ancora una volta l’ingegno italiano aveva dato luogo e lustro a un nuovo gioiello dell’imprenditoria!

C’era già una fabbrica di vini e succhi di frutta sulla Gallipoli-Lecce, pronta a ordinare quintali di frutto della passion…
Ah, no. L’hanno abbandonata. Il proprietario sta in ospedale, sì… Piantonato.
Mah!
Va beh, non doveva scoraggiarsi, c’erano altre fabbriche nel Salento, altri modi di impiegare i (è il caso di dirlo) frutti del suo lavoro.
Cominciò a prendere contatti. Gli affari promettevano bene, ma, una mattina, arrivarono nella sua campagna due grosse autovetture e un furgone. Scesero degli uomini in divisa che vollero identificarlo, mentre altri tizi in camice bianco si misero a fare – boh – “rilevamenti“.

Ma… Ma che…
“Non si deve preoccupare, lei ci lasci lavorare. Noi sappiamo come fare, deve solo collaborare” dissero. Questa sequenza di frasi gli ricordava una canzone, ma ora non poteva far mente locale, qua… Qua gli stavano rovinando tutto!
“Potete fare attenzione per favore? Mi state calpestando le piante! Piano, per carità!”
Passarono quattro lunghissime ore. Uomini in divisa e tizi in camice, alla fine, fecero un breve conciliabolo, poi, quello che sembrava il capo, venne da lui e gli disse:
Questo campo è sotto sequestro“.
“Ma… Ma perché?!”
“Meglio di me glielo saprà spiegare il qui presente Dottor Paparabella, referente del Ministero per la rovina del sud e mare limitrofo” disse, indicando un tizio dall’aria arcigna e dai capelli bianchi smossi.
“Prego, Dottore” aggiunse e gli cedette la parola.
Quello assunse una posa tra il marziale e l’accademico, si schiarì la voce e cominciò a pontificare.
“Lei avrà sicuramente sentito parlare delle piogge acide che imperversano su questa porzione di territorio…” non attese risposta e proseguì “Sa, buon giovine, da cosa sono provocate dette precipitazioni? Lo sa? Non lo sa. Glielo spiego come lo spiegherei a un bimbo, nevvero. Vede, i gas che scaturiscono dalle fabbriche – qui in Puglia ne abbiamo una che è il nostro fiore all’occhiello – ossido d’azoto, ossido di zolfo, nitrati, anidridi e via dicendo, salendo verso il cielo creano delle molecole acide, che la pioggia riporta sulla terra. Le è chiaro il concetto? E’ una forma basilare di inquinamento”.
“S-sì, ma… Ma io che c’entro?”.
“Sa, mio buon giovine, cosa abbiamo trovato nelle rilevazioni sulle ultime piogge acide cadute nel Salento?”
“N-no”.
“Glielo dico io: tracce di maracuja. Le piogge sono diventate gialle! Gialle come il succo di questo frutto! Lei sta arrecando gravissimi danni al turismo! Vede, i venti spostano i gas inquinanti che provengono, per dire, dalla fabbrica fiore all’occhiello e li trasportano sin qui. I gas si impregnano della linfa, del succo, degli… degli umori gialli di questi… di questi fiori, frutti… gialli! E salgono al cielo. La pioggia li fa ricadere gialli! Vede, se c’è la pioggia acida trasparente, il turista mica se ne accorge! Ma se la pioggia acida è gialla, come lo spieghiamo? E finché se ne accorgono gli abitanti, pazienza, quelli li teniamo in ogni modo per le palle… Ma i turisti, signor mio, quelli se ne vanno e vanno a raccontare in giro che qua piove giallo! Ora ha capito?”
Sì, aveva capito.

Non rispose nulla, non c’era nulla da rispondere. Era un abitante del Salento, non poteva fare niente, tenevano per le palle pure lui.
La piantagione di maracuja venne distrutta. Gli restituirono il campo del nonno e gli consigliarono di piantarci ulivi.
Lu Zìucciu morì due settimane dopo.
Il giovane, di nuovo disoccupato, non coltivò più nulla.
Oggi lo puoi trovare ancora al bar, ogni mattina. Sta lì e sfoglia il giornale.
Ma legge soltanto la pagina dello sport.

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