Le feste sono

di Thomas Pistoia

Le feste sono la partenza alle cinque del mattino.
L’auto, caricata dalla sera prima, l’hai parcheggiata sotto casa.
Scendi in silenzio che è ancora buio. Ci sono strisce di “muttura” sulla lamiera, fa freddo fuori e dentro l’abitacolo.
Dici: “Facciamo piano, che non lo sappiano tutti i ladri della città che andiamo via”. Controlli bene la porta e chiudi le finestre.
Che poi, se entrassero i ladri, penserebbero: “Qui ci è già stato un collega”. Ogni volta che parti nelle stanze resta un tale casino che sembra siano passati i lanzichenecchi incazzati neri.

Le feste sono la vecchia auto che attraversa la città, poi imbocca l’autostrada. E ti senti fico perché riesci a prendere i cento anche con la macchina stracarica di ciò che si portano in viaggio moglie e figlie. Praticamente i loro armadi, completi di abiti, scarpe e bigiotteria, sono tutti tra il cofano e il box sul tettuccio. Tu invece come valigia hai una busta dell’Eurospin con dentro lo spazzolino da denti e due paia di mutande. Però ti rasserena sapere che, anche questa volta, sei riuscito a sistemare tutti i bagagli e a creare un posto anche per il cane.
Tieni il volante saldo tra le mani, sembri il comandante del veliero flagellato dai marosi, oppure Goldrake che torna sulla stella Fleed, o Capitan HarlocK che veleggia nel cosmo.

Da automobilista coscienzioso, prima di partire hai fatto tutti i controlli… Cioè, hai fatto gli unici controlli che sai fare: acqua (c’è), olio (hai rabboccato un po’), pneumatici (quelli di dietro li hai messi a due perché devono reggere il peso degli armadi).

Le feste sono l’alba sull’autostrada e tu che ti senti pimpante e sei in viaggio già da due ore.
Ti piace la tenacia con cui le linee sull’asfalto ti accompagnano, ti piace il brivido che dà il sorpasso di un tir. Non sempre il sorpasso è fattibile, ci sono tir meno carichi della tua auto che procedono spediti davanti a te e ti lasciano indietro, svanendo all’orizzonte.
E il paesaggio cambia. Stai abbandonando le colline ordinate della bassa Toscana e ti stai addentrando nella montuosa Umbria, che ti propone le prime gallerie.
Solo chi si mette in viaggio per le feste è veramente consapevole di quanto sia montuosa l’Italia.

Spesso si dà maggiore importanza alle Alpi. Per carità, è comprensibile, sono così alte e maestose. Ma gli Appennini non andrebbero sottovalutati. Sono più bassi, ma molto tozzi, scoscesi, un po’ testardi. Non si fanno attraversare facilmente.
L’Umbria è un inganno. Ti fa credere che la scalata sia finita lì. Il Lazio e la Campania fino a Napoli sono solcati da un’autostrada che traccia una lunghissima linea retta.
Non ci sono gallerie, soltanto ponti e viadotti, ci passi sopra e sotto, veloce. Se hai il vento a favore, il peso del carico lanciato in discesa consente di raggiungere punte di centoquindici, ma anche centoventi chilometri orari. Poi devi rallentare, sennò la Fiat Marea vibra.
Fin qui il resto della famiglia ha dormito, finanche russato. Ora però bisogna fare la prima fermata pipì/caffé/passeggiata del cane.

Di solito la stazione di servizio preposta è la Prenestina. La riconosci subito perché è sovrastata da una specie di enorme tendone prefabbricato. Tu e il cane fate pipì subito. Moglie e figlie ci mettono almeno mezz’ora perché, come al solito, al bagno delle donne c’è la fila. Ma quando lo capiranno queste femmine che, dopo la pipì e la popò, non è necessario pulirsi bene bene! Si perde troppo tempo!

Le feste sono il viaggio che riprende, l’auto che si incanala nel traffico sotto un sole pallido. A volte si resta fermi. Lo stereo interrompe la musica per segnalare code a tratti, traffico intenso, poi l’immobilismo assoluto. Perché gli immigrati che tornano a casa sono davvero tanti.
Sono svizzeri, lombardi e piemontesi d’adozione.
Sono polentoni dalla carnagione leggermente scura, che parlano con accento misto e intercalano con modi di dire e imprecazioni del nord; li mescolano a una cadenza che ne tradisce l’origine siciliana, pugliese, calabrese. Hanno figli che invece sono davvero elvetici, in senso lato, normanni in tutto e per tutto. Perché sono nati su.

E’ lo ius soli di gente che magari ha votato Salvini e che dei profughi ora dice “aiutiamoli a casa loro” oppure “rimandiamoli indietro”.

Le feste sono quando pensi che tutti siamo migranti di qualcuno e che tutti abbiamo una terra nel cuore e una madre che non lasciamo mai volentieri.
Prima di arrivare a Napoli, c’è il bivio per Bari. Mentre lo stereo trasmette le più famose sigle dei cartoni animati, ecco svelato l’inganno dell’Umbria: l’Appennino non era mica finito lì, hai avuto solo culo, lo hai potuto costeggiare. Ora però te lo devi fare per davvero per centocinquanta chilometri. E magari nevica.
Baiano, Avellino, Grottaminarda, tra gallerie, salite e curve, la tua eroica utilitaria affronta la scalata. Al di là del guardrail sia aprono strapiombi su paesi e cittadini limitrofe.
L’obiettivo, a questo punto, è uno soltanto: la città di Candela.
Candela segna la fine dell’Appennino e l’inizio della Puglia.

Ma tu, che ora cominci ad essere stanco, non sei un pivello. Lo sai che quando vedi il cartello con su scritto “Puglia” non sei arrivato, ma sei solo a metà del viaggio. Perché per arrivare in Salento devi attraversare tutto il tacco dello stivale e non c’è striscia di terra più lunga, in questo paese.
Un’altra fermata a Molfetta. Mentre vai in bagno senti le braccia e le gambe che vibrano, sono attraversate dal riverbero dei sussulti del motore. Sei in viaggio da sette ore.
Riparti e finisce l’autostrada. Comincia la superstrada che da Bari raggiunge Brindisi, Lecce, poi Gallipoli.
Questo è il momento più terribile. E’ qui che si vede che pilota sei. Le curve sono rarissime e agevolano la noia. La noia, a sua volta, agevola la stanchezza. Quando arrivi a Fasano pensi “non finisce mai”. Lungo il tragitto ci sono almeno cinque cartelli che indicano questa città. A un certo punto pensi che, o è la città più grande del mondo, oppure sei finito in un punto immobile del multiverso: ti sembra di spostarti, ma è soltanto un’illusione e resterai a Fasano per sempre.

Quando ormai hai perso ogni speranza di arrivare, ecco l’ultimo tratto.

Le feste sono la via di Gallipoli che ti dà l’ultima spinta fino a Gemini. Uno sputo e sei a Presicce, anzi a Presicce-Acquarica.
Scendi dall’auto che sei a pezzi, ma vedi la mamma contenta, il presepe, le coppe piene di cartellate e purciduzzi, il dolce di mandorla. Senti l’odore delle cose della tua infanzia che sono sempre lì, nella tua stanza, non se ne sono mai andate. Guardi la foto di tuo padre appesa al muro.
Sei arrivato. Non ti sei schiantato, non hai passato troppe ore in coda, l’auto non ha avuto guasti, la famiglia è sana e salva. Insomma, è andata bene anche stavolta.

Le feste sono giusto quei pochi giorni di riposo prima di ripartire. Dovrai rifare tutto il viaggio a ritroso e anche quello sarà tornare a casa.
Perché sei un migrante, figlio di migranti, come il resto del mondo in cui vivi. E, come tutti quelli che si rendono conto di essere in viaggio, hai due case nel cuore: una, quella in cui sei nato e da cui provieni. L’altra, quella in cui vivi.
Il senso di tutto sta nel riuscire ad avvicinarle ogni volta che è possibile.

Le feste sono questo e nient’altro: una partenza e un arrivo che coincidono.
Anche quando sono lontani.

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