Di Antonio Lupo
- Di poesia viva
- Come vento
(Cosimo Russo, Per poco tempo, Manni 2017)
Grande interesse per la pubblicazione postuma delle poesie di Cosimo Russo.
L’intensità lirica dei suoi versi, espressione di una sensibilità poetica sempre più apprezzata dai lettori e dalla critica, è stata recentemente oggetto di riflessione anche da parte del mondo accademico salentino.
Poesia del vento è la sua, un vento “che pettina il mare e libera antiche melodie”, inneggiando alla bellezza dei paesaggi solari e lunari della nostra terra, alla forza degli affetti e dell’amore.
Quando la luna infuria nelle notti d’estate
e scossi da dita di vento
i tasti dei verdi canneti
liberano una melodia antica
gli orologi sembrano fermarsi
pronti al compromesso con l’eterno:
ogni battito parla di parole sussurrate
di baci tremolanti come fiamma
tormentata da danza di falena,
allora, in quei momenti specchiandosi nell’altro,
gli innamorati sanno di essere immortali.
La poesia del vento è la poesia delle stagioni, della grammatica del tempo e della sintassi delle sue continue trasformazioni, dell’attendere e del ricominciare: “M’ingrasso ogni giorno di più di esistenza: finirò per morirci“.

Come una clessidra da rovesciare per poter iniziare da capo, per ritrovare l’amore, per rivivere l’energia della luce che illumina i luoghi, àncora di salvezza ogni volta che ci si perde, quando le attese sono tradite e il tempo non ritorna:
Allora, per un attimo, immagini di rovesciare la clessidra, per farti ridare indietro Rocco e Carlo, fermi al semaforo rosso del tempo… contro i muretti a secco.
In ogni pagina della silloge, il poeta ci porta ad esplorare la quotidianità degli spazi vitali con parole appaganti: la casa, gli alberi, il mare, la vita è setacciata attraverso l’essenzialità e la purezza dei dettagli.
È così che sono disegnati quadri viventi che inondano di luce momenti vissuti, situazioni, luoghi e persone. Caterina ne è un esempio.
Caterina
non ti curavi di chi ti considerava
la paria della via
con carne assente
e tutto osso
vagavi per degli antri
e confidavi a noi fanciulli
ogni tuo segreto
renitente ad altri confessionali e a doveri domenicali
tanti liquori conservavi celati ai tuoi parenti
e offerti a noi iniziati catturati nella rete dei tuoi racconti.
Insegue il suo tempo, Mimmo, un tempo di chi è irreperibile anche alla morte, di una luna che conosce dalla nostra sorte la morte, di chi ha un ricordo mai sopito lì dove la morte anticipa la vita, lasciando il segno.
La sua preghiera pagana invoca il sonno e il mistero profondo, finché baluginiamo e scompariamo, perché il tempo è circolare, come la luce controlla le ombre e la notte.
Poeta silente e “metafisico“, schivo e appartato, autore di poesie del non ancora rivelato, che richiamano i grandi del Novecento, lettore di numerosi saggi e di testi filosofici oltre che letterari, gelosamente custoditi nella sua libreria, ha affidato a versi brevi e leggeri il suo percorso poetico ed esistenziale fino al titolo della sua raccolta: Per poco tempo. Lui stesso l’aveva suggerito, poco prima che venisse a mancare, ai suoi famigliari, ai quali aveva confidato anche di non dedicarsi alla scrittura da un po’ di tempo. Eppure, tante sono le poesie ancora da pubblicare nella prossima raccolta, come la prima, a cura della madre, Luigina Paradiso. Ne anticipiamo una.
Su canzoni mai cantate
muore la mia lingua
Su note perdute su verdi alberi
si nasconde il mio segreto
Su gabbiani del Mediterraneo
si muove leggero l’alito delle onde
(i rosai si son bevuto i silenzi della notte)
Su distese lattiginose divampa
un’ansia mentale,
come granuli di seta gialla.
Dorme nel petto il mondo.
È possibile racchiudere in poche parole, in un verso,tanta “pienezza di vita”, tanta pienezza di poesia? “In quel poco c’è l’intero – scrive Mauro Marino – l’eterno pieno a significare, a lasciare senso allo stupore”.
“I singoli versi, immagini di grande potenza evocativa, di un poeta «pescatore di luce» non perdono valore se strappati dal componimento originario, come nella poesia prismatica di «un tagliatore di pietre grezze», sostiene Lara Savoia.
Così è, infatti, per tutte le immagini che compongono il “mosaico” della silloge, fino alla rivelazione di essere tutt’uno con il mondo intero.
La poesia di Cosimo Russo, sempre sinceramente formulata, si ritrova perciò nell’esaustività di significato, nell’essenzialità di pregnanza emotiva.
È ciò che attrae del suo “realismo magico”, o del suo “paradossale surrealismo”.
L’hai sentito il treno delle nove e mezza di sera,
al di sopra di qualsiasi disputa dell’essere quotidiano,
consolarti con il suo sferragliare metallico.
Sono i versi che il viaggiatore arrivato a finisterrae (la sua Gagliano del Capo) può leggere scolpiti nel piazzale della stazione capolinea della ferrovia Sud-Est, tra il confine e il non-confine di una purezza poetica che si apre a vie di fuga, verso l’altrove di canzoni mai cantate.
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Una ottima recensione che fornisce elementi utili per conoscere a fondo l’anima di questo autore salentino.