Si è concluso con un convegno su violenza e buone prassi il percorso La Fonte dell’antiviolenza, per formare gli operatori sociali che assistono le vittime. “Non dobbiamo sbagliare più”, il monito di Maria Luisa Toto.
Di Francesca Rizzo
Per sconfiggere la cultura della violenza di genere occorre fare rete: questo il messaggio sottolineato da “La violenza contro le donne: le buone prassi”, il convegno che si è svolto questa mattina, presso l’Open space di Palazzo Carafa a Lecce, come appuntamento conclusivo del percorso La fonte dell’antiviolenza, organizzato da associazione “Donne insieme onlus” e Centro antiviolenza “Renata Fonte” di Lecce, finanziato da Regione Puglia – Area Politiche per la promozione della salute delle persone e delle pari opportunità (Avviso pubblico del 5/5/2015 per la presentazione di programmi antiviolenza di cui all’art. 16 della L. r. 29/2014) e svoltosi in partnership con Università del Salento (DisteBa), Istituto Santa Chiara, ASL Lecce e GIULIA giornaliste.
Il problema alla base della violenza di genere, come riconosciuto dagli stessi relatori, è innanzitutto di natura sociale e culturale. È un problema che ha radici nell’incapacità, da parte di alcuni uomini, di accettare che il ruolo delle donne si è evoluto nel corso del tempo, che l’“angelo del focolare”, sottomesso dalla mentalità patriarcale, abbia spiccato il volo verso una maggiore indipendenza economica, verso un ruolo sociale e lavorativo che la vuole protagonista, non più dipendente dalla figura maschile.
Ecco perché è necessario intervenire a più livelli, costruire una rete multidisciplinare come quella intrecciata da associazione “Donne insieme onlus” e Centro antiviolenza “Renata Fonte” di Lecce attraverso La fonte dell’antiviolenza, un percorso multidisciplinare, della durata di 150 ore e rivolto a tutte quelle figure professionali (personale delle Forze dell’Ordine, personale sanitario del Pronto Soccorso, personale sanitario dei servizi per le Tossicodipendenze, personale dell’accettazione per i reparti di Ostetricia e Ginecologia delle Aziende Ospedaliere, personale delle cooperative sociali impegnate nella gestione dei servizi di pronto intervento sociale, personale dei Servizi Sociali dei Comuni e degli Ambiti Sociali di Zona e operatrici dei centri antiviolenza) che ogni giorno si trovano a supportare le vittime di violenza di genere: non solo chi subisce in prima persona, ma anche, visto che la maggior parte delle violenze avviene nel contesto familiare, i figli minori.
// CONDIVIDERE BUONE PRASSI Gli incontri organizzati nell’ambito de La fonte dell’antiviolenza hanno dato una visione globale del fenomeno: un fenomeno ben radicato nel territorio, a giudicare dai numeri della violenza in Puglia (nel solo 2014 sono state 1500 le denunce da parte di donne pugliesi che hanno subito violenza) e in provincia di Lecce (251 quelle che nel 2016 si sono rivolte al centro “Renata Fonte” per ricevere assistenza). Perché per individuare le buone prassi da attuare e condividere è necessario inquadrare bene il problema: ecco allora intervallarsi, nel lungo percorso che è iniziato a gennaio dello scorso anno, operatrici sociali, psicologhe, giornaliste ed altre figure esperte che nel corso della vita professionale hanno toccato con mano la violenza di genere.
E la multidisciplinarietà dell’approccio è stata ribadita oggi, durante “La violenza contro le donne: le buone prassi”. Oltre alla “padrona di casa” Maria Luisa Toto, presidente dell’associazione “Donne insieme onlus” e fondatrice del centro antiviolenza “Renata Fonte”, sono intervenuti il dott. Antonio De Donno (procuratore della Repubblica), il dott. Antonio Leo (direttore sanitario delle strutture riabilitative del Gruppo Istituto Santa Chiara e vicedirettore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-neuropsicologica integrata “Istituto Santa Chiara” di Roma), la dott.ssa Simona Lanzoni (vicepresidente della Fondazione Pangea e Componente del GREVIO – Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), la dott.ssa Francesca Simoncelli (assistente sociale presso la Fondazione Policlinico Tor Vergata di Roma) e la prof.ssa Sara Invitto (ricercatrice di Psicologia generale, docente di Psicologia della Visione e Laboratorio di tecniche elettroencefalografiche nella ricerca cognitiva presso l’Università del Salento).
“Noi addette e addetti ai lavori – ha esordito Maria Luisa Toto – abbiamo una grande responsabilità: non possiamo più permetterci di sbagliare. Dobbiamo partire da un’eccellente valutazione del rischio, e dunque saper distinguere tra conflittualità e violenza. È violenza quando la relazione è asimmetrica, quando una persona (generalmente l’uomo) agisce con violenza, e un’altra (generalmente la donna) subisce. Questo odioso fenomeno è una delle più diffuse forme di violazione dei diritti umani”.
“E se avete dubbi – ha continuato Toto, rivolgendosi alla platea di operatrici – sentiamoci, parliamone tutti insieme: questa è la rete, una task force che condivide obiettivi , per creare un muro di gomma intorno alla donna e ai suoi figli, un muro verso cui il violento si scaglia, ma rimbalza e torna indietro. Dobbiamo essere costruttori e costruttrici di muri di gomma: leggete e applicate la Convenzione di Istanbul”.
// LA CONVENZIONE DI ISTANBUL Della Convenzione di Istanbul, primo documento siglato dalle istituzioni europee per prevenire e contrastare la violenza di genere, ha parlato Simona Lanzoni, sottolineandone la carica innovativa: “La Convenzione riconosce la questione della violenza come strutturale nella società, a causa dello sbilanciamento di potere tra uomini e donne: potere inteso come libertà di azione; cosa le donne possono? E cosa gli uomini? La convenzione, inoltre, riconosce i minori tra le vittime di violenza assistita, dando loro un ruolo centrale e chiedendo il rispetto dei loro diritti: sembra banale, ma non è scritto da nessuna parte se non lì. Istanbul riconosce i diritti delle migranti, riconosce un ruolo principale alla società civile, al fatto che non si può improvvisare un centro antiviolenza se non si ha una conoscenza chiara della violenza di genere.”
“Nei secoli – ha continuato Lanzoni –si è sempre raccontata la differenza tra uomo e donna nella libertà di agire. Pensiamo ai miti di Apollo e Daphne, o di Ade e Persefone: sono situazioni in cui la donna ha subito, in cui anche la mediazione familiare si basa sul fatto che la donna debba cedere, come Demetra, madre di Persefone, per sei mesi l’anno rinuncia alla figlia. Le donne hanno iniziato a rileggere la storia, e a chiedere i propri diritti, dopo la Seconda guerra mondiale, quando è stato permesso loro di istruirsi”.
Ma come integrare la Convenzione di Istanbul nella quotidianità dello Stato? “Ci vuole un cambio di passo da parte dello Stato, ci si deve adeguare a un fare comune. Sono tante le persone (dalle assistenti sociali alle forze dell’ordine, alla magistratura) protagoniste di un percorso: se una di loro sbaglia tutto cade. Occore un allineamento comune per non sbagliare. È questo allineamento che chiede Istanbul. Le donne devono sentire di poter agire, essere messe in sicurezza e godere dei diritti umani.
Vi chiedo il massimo dello sforzo – ha concluso Lanzoni – per poter applicare Istanbul nella vita reale, perché finché morte non ci separi non è il femminicidio. Bisogna fare un percorso di empowerment, restituire potere e far capire che la donna in quel momento è vittima, ma non lo sarà per sempre”.
// FARE PREVENZIONE SI PUÒ “La violenza di genere si può prevenire – ha spiegato Antonio Leo, che ha fatto il punto su una tematica, l’applicazione delle neuroscienze al tema della violenza, ancora da sviluppare appieno: “La violenza è un fenomeno diffuso e prevedibile, ma ancora non conosciamo bene i meccanismi neurali che sottendono al trauma, alla prima volta che si verifica l’episodio violento e alla sua reiterazione”.
“La violenza – ha sottolineato Leo – non è solo fisica: è anche psicologica, sessuale, è l’isolamento della persona dal nucleo familiare e amicale. Conosciamo i fattori di rischio, chi sono le potenziali vittime, e sappiamo che c’è un’associazione positiva tra violenza e disturbi psicopatologici, che riguardano sia la vittima che l’autore di gesti violenti. Bisogna agire su questi dati, e iniziare molto presto, sin dall’adolescenza, a fare prevenzione: gli studi ci dicono che chi in adolescenza ha manifestato disturbi, ha poi commesso violenza.
La violenza determina in un alto tasso di casi un disturbo da stress post traumatico nella vittima: una conseguenza– ha concluso Leo – che non termina con il processo”.
// UNA LEGISLAZIONE INADEGUATA Della parte prettamente giuridica ha parlato Antonio De Donno, che ha sottolineato che alla base della violenza c’è un problema di formazione dell’individuo, un rifiuto dell’emancipazione femminile, supportato da un generale ed inspiegabile regresso culturale.
“La violenza – ha detto De Donno – è negazione del senso di umanità, e per questo la pena deve avere carattere dissuasivo e preventivo. Sino al 2009 nel nostro ordinamento non esisteva una norma sulla violenza di genere, e il percorso sbagliato intrapreso dal legislatore determina ancora oggi errori importanti”.
“Creare una sinergia tra istituzioni, procure e uffici di polizia è fondamentale per istituire un protocollo condiviso che non lasci mai spazi morti, dalla presa in carico della denuncia. L’intervento di polizia e magistratura è importante per non perdere elementi di prova significativi, perché nel corso del tempo la vittima può desistere e ritirare la denuncia. Gli strumenti dati dallo Stato – ha concluso De Donno – non si sono rivelati efficaci perché si è pensato alla repressione penale tout court: occorre invece esplorare lo spazio di applicazione delle misure di sicurezza”.
“Un caso di donna vittima di violenza fa paura, nonostante anni di formazione”, ha ammesso Francesca Simoncelli. “Le donne – ha aggiunto – devono essere agenti di una rivoluzione culturale, insegnare alle nuove generazioni che il cambiamento è necessario. Solo così cresceranno bambini favorevoli alla parità di genere”.
// STORIE DI ORDINARIA VIOLENZA Eppure, ancora oggi sono tante le difficoltà che gli operatori e le operatrici del settore incontrano nel lavoro quotidiano. Una difficoltà, come ha sottolineato Sara Invitto, si è manifestata anche nello svolgimento del corso di formazione “La fonte dell’antiviolenza”: “Non avere un luogo, sentirsi sempre sabotate, fa sentire fuori setting”, ha riconosciuto Invitto.
Sì, perché il centro antiviolenza “Renata Fonte” ad oggi è ancora sotto sfratto: nonostante la lotta costante al fianco delle tante donne vittime, nonostante Maria Luisa Toto e le operatrici si battano, anche attraverso premi e corsi di formazione come quello appena concluso, per tenere alta l’attenzione sul tema, lo stesso centro è oggetto di violenza istituzionale, ormai da tempo e nonostante l’avvicendarsi delle amministrazioni.
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