Come trascorre le festività chi è lontano da casa, perché l’ha perduta o perché la guerra l’ha costretto a lasciarla? Tante le volontarie e i volontari che anche l’ultimo giorno dell’anno armati di sorrisi (e pasti caldi), fanno sentire il profumo di casa, anche tra le corsie di un ospedale e i portici di una stazione
Di Ilaria Lia
INCHIESTA “L’ALTRO NATALE” (seconda puntata)
Il Natale ha un odore particolare. Nel Salento è quello delle “pittule” e dei “purciddhuzzi”, potente richiamo per chi è andato a vivere fuori. Lavoratori, universitari, religiosi, riuscire ad avere il numero preciso di salentini fuori sede è molto difficile. Il flusso di emigranti ha avuto alti e bassi ma non si è mai interrotto e il progressivo spopolamento dei paesi fa percepire che la necessità di andare è in salita. Il Natale è uno di quei periodi in cui il legame con la propria terra e origini si fa più intenso: per gli universitari il ritorno a casa è d’obbligo, ci si ritrova con gli amici, le passeggiate al mare, le serate a giocare a carte: tutto appare quasi cristallizzato, successivamente saranno gli impegni di lavoro e delle nuove famiglie a dettare il calendario degli spostamenti.
“Il Natale è sacro per chi è lontano da casa” – afferma Fernando Villani, il presidente dell’associazione Pugliesi nel mondo, con sede a Specchia, tra le organizzazioni salentine più attive nel mantenere i legami tra chi è andato vie a chi è rimasto. “Gli emigranti della prima generazione scendevano ogni anno – continua Villani – e nel periodo delle feste i paesi si popolavano di nuovo, le strade si riempivano di auto con le targhe svizzere. Chi stava fuori già dai primi di dicembre contava i giorni per la partenza. Ora qualcosa è cambiato”.
Se chi ritorna per le vacanze ha un piatto pronto e una casa ad accoglierlo, non bisogna dare per scontato che tutti i salentini abbiano la stessa fortuna. Anzi. Le persone sole sono tante, rese invisibili dall’indifferenza e da chi preferisce voltarsi dall’altra parte. Inutile dire questi non c’è Natale. Per aver un’idea di quanti e di chi siano i nuovi ultimi basta fare un giro di sera, affiancare i sacerdoti e gli operatori quotidianamente impegnati con la Caritas e le altre associazioni di volontariato. Ci si stupirà nel constatare che la povertà è proprio accanto a noi. Le ordinanze emesse per “decoro urbano” contro i senza tetto fanno rabbia a chi è a loro stretto contatto. “Queste persone si devono aiutare e basta – dice senza esitazione don Antonio Murrone, sacerdote di Lecce impegnato in prima linea -. Sono così povere che non rientrano in nessuna classifica, non riescono nemmeno ad essere un dato”. Don Antonio ogni giorno fa il giro in stazione a consegnare qualcosa di caldo, coperte e in questo periodo anche un po’ di panettone a chi cerca un riparo per la notte. “La maggior parte sono italiani, caduti in disgrazia per diversi motivi – continua – proviamo a dare conforto e ad aiutare come possiamo, ma non è questa la soluzione al problema. Con l’aiuto dei parrocchiani vado avanti, ma confesso che sono un po’ sfiduciato”.
Ci sono persone sole anche in ospedale che in questo periodo meritano una parola di conforto in più. “La differenza tra le corsie la fanno le associazioni” – dichiara don Antonio Riva, parroco presso l’ospedale “Cardinale Panico” di Tricase. Nessuno poi immagina il dramma che attraversano i padri, rovinati dalla separazione. “Nessuno ne parla – afferma con rammarico la presidente nazionale dell’associazione Padri separati, Tiziana Franchi – gli uomini separati sono i nuovi poveri, e in questo periodo molti di loro trascorrono il Natale disperati perché non riescono ad ospitare i figli. E si ritrovano soli. Ci chiediamo: si fanno veramente gli interessi dei minori durante le separazioni?”. E sempre i bambini sono quelli che soffrono quando manca la famiglia. Nelle case famiglia dove vengono ospitati, gli educatori cercano di attutire il senso del disagio, così come avviene nella Fondazione Daniela e Paola Bastianutti.
Il Natale è sacro per chi è lontano da casa
I più spensierati sono gli studenti universitari, per loro tornare per le vacanze di Natale significa trovare genitori, amici, affetti, riposo lontano dai libri, lunghe dormite e mille attenzioni, insomma, la vera vacanza.
“Il Natale x me è famiglia. Nonostante i preparativi per pranzi e cene varie mi piace stare a casa e godermi il camino, le “cicureddre”, i dolci vari di cui mi abbuffo – afferma Alessandro Bitonti, 38 anni docente presso l’università di Brno, in Repubblica Ceca -. Anche aiutare la mamma che deve per forza fare le pittule il 24 mi piace. Lei le frigge al fuoco del camino e mi piace l’odore che rimane in casa. Vorrei solo che ci fosse meno malinconia (in casa mia) per le persone che mancano e per i desideri che non siamo stati ancora in grado di realizzare”. Famiglia uguale genitori. E per loro principalmente gli emigranti tornano a casa.
“Tutti i cittadini salentini ‘scendevano’ per vedere i genitori – racconta Fernando Villani, dell’associazione Pugliesi nel Mondo – portavano a casa i soldi duramente guadagnati, con l’intenzione di costruire le case. Dopo gli anni Ottanta i ritorni natalizi hanno iniziato a diminuire; oggi ‘scende’ circa il 10 percento e questo dipende proprio dalla presenza dei genitori: chi non li ha più rimane all’estero, anche perché ora ci sono tante spese da affrontare per pochi giorni, al contrario del periodo estivo. C’è da dire anche che una volta c’era più nostalgia: oggi con le nuove tecnologie siamo tutti più vicini, se prima una lettera ci metteva mesi per arrivare a destinazione, oggi i messaggi arrivano subito. I miei nipoti, all’estero o nel nord Italia, li sento vicinissimi so che stanno bene e siamo tutti più sereni. Questo fa diminuire le presenze”.
Sono 183 le associazioni iscritte nell’albo regionale “Pugliesi nel mondo”, che rappresentano i nuclei familiari di chi si trova lontano da casa e grazie a loro gli usi e costumi della propria terra vengono rispettati e tramandati.
“Il Natale dei primi emigranti si viveva in casa, si riunivano tutti: fratelli, cugini, zii e si mangiava insieme, al contrario di oggi, che si preferisce andare a mangiare fuori – continua Fernando Villani -. Nei primi anni Sessanta le verdure nostre erano pochissime all’estero, i lavoratori erano soli e non avevano tempo e soldi per cucinare, quindi preparavano sempre un piatto di pasta al pomodoro: l’emigrante era il piatto di spaghetti. Quando tornavano volevano mangiare verdure, legumi e tutto ciò che là allora non c’era. Oggi a si trova tutto, non si soffre più di nostalgia e questo grazie alle associazioni pugliesi”.
Mario D’Oria, originario di Lecce, è in Germania da cinquant’anni, è sceso per Natale solo due volte. “Troppo poco il tempo a disposizione – spiega – mi rifaccio l’estate. Mi sono sempre mancate le bancarelle, il profumo natalizio, il presepe (qui si fa solo l’albero), un po’ tutte le nostre tradizioni”. Per i religiosi, invece, tornare a casa per Natale è difficile. “A tutti piacerebbe passare il Natale con i propri genitori, nella propria parrocchia – dice padre Antonio Leuci, originario di Guagnano, appartenente all’ordine dei Rogazionisti e ormai da 25 anni a Lezhe, in Albania -. Ma la scelta, non solo la mia ma anche quella di tutti i missionari, di predicare il Vangelo ci porta a lasciare tutti i nostri affetti per un bene maggiore”.
La povertà è proprio accanto a noi
Un the caldo e un pezzo di panettone: ecco il Natale dei barboni, di chi non ha niente e dorme per strada. E fortuna che ci sono i volontari a distribuirli. “Insieme a gente volontaria, da diverso tempo, assistiamo nelle case alcuni anziani soli, oppure di gente agli arresti domiciliari, entriamo nelle case di chi non ha lavoro – spiega don Antonio Murrone, parroco nella chiesa San Massimiliano Kolbe a Lecce – li assistiamo grazie a un piccolo fondo realizzato in parrocchia. Tocchiamo con mano ogni giorno la povertà assoluta, mentre i politici non capiscono che le misure adottate (come i Red della Regione) non servono a niente: chi è nella povertà assoluta non rientra in questi sistemi”. Don Antonio gira sempre in stazione per dare assistenza a chi dorme lì. Si trova sempre gente nuova, molti sono italiani diventati poveri. “Grazie a Facebook i cittadini mi segnalano dove dorme la gente – continua -. Ci accorgiamo delle situazioni e interveniamo senza l’aiuto di nessuno. Lo facciamo e basta. La polizia che interviene non risolve il problema”. In passato ha realizzato da una casa incendiata un appartamento per ospitare sette uomini, mentre in tutta Lecce manca una struttura per le donne. “Natale è condivisione e per noi lo è ogni giorno che prepariamo i quaranta pasti caldi da distribuire a mensa, ogni primo lunedì del mese ottanta famiglie prendono gli alimenti, non sono poche – segue – i parrocchiani mi aiutano, per fortuna, dando un contributo materiale e anche di tempo da dedicare. Ha idea di quanta gente rimane sola durante le feste? Cerchiamo di intervenire come meglio possiamo. E siamo a Lecce, non nelle favelas e la politica non vede niente”.
A Lecce ci sono cinque mense ed ognuna è sempre piena. Situazioni di estrema povertà sono presenti anche in provincia.
“Ogni festa è fonte di tristezza, il Natale in modo particolare perché ingenera molto il senso della premura verso l’altro, è il Dna della festa. Seguiamo delle famiglie arretrate con debiti, per il mutuo in primis, molti hanno perso il lavoro. Al di là dei grandi proclami dei politici la gente continua a perdere il lavoro – afferma don Gianni Leo, direttore della Caritas della diocesi Ugento – Santa Maria di Leuca – le parrocchie cercano di venire incontro con le mense, gli alimenti e con l’aiuto nel pagare le bollette o prendere una bombola del gas”. C’è molta riservatezza da parte delle famiglie bisognose, non parlano. “Natale amaro per una giovane coppia di un nostro paesino: lei con la maternità ha perso il lavoro, non è stata più riassunta, lui va a lavorare solo mezza giornata – racconta don Gianni – e si ritrovano a dover sostenere un mutuo. La Caritas aiuta in diversi modi le famiglie, anche con il progetto “Prestito della speranza”, nato circa sei anni fa e che permette alle famiglie, che non possono accedere alle banche, un piccolo sussidio per il reintegro nel lavoro”. Don Gianni lancia un appello alla comunità: “Ritrovare il senso dell’accoglienza, oggi merce rara, cosa che fa un po’ male, proprio in un ambiente come il nostro che ha fatto sempre dell’accoglienza la sua forza, e non mi riferisco ai migranti, che sono solo la punta di un iceberg. La cultura semplice della comare che passa un piatto caldo alla vicina, sapendo che sta da sola, è solidarietà che adesso non c’è. Si conoscono le famiglie problematiche ma i pretesti per non aiutare vincono: “quello non lavora, non gli va, è un tossico” mentre la solidarietà si fa e basta”. E conclude: “Il principio è che sono le comunità che devono guardare alla propria comunità e non aspettare l’aiuto dall’alto”.
In occasione del Natale la Caritas di Gallipoli, seguendo ciò che era successo anche nella diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, come anche quella di Nardò, ha organizzato una cena aperta a tutte le persone disagiate, nella quale a servire c’è stato anche il sindaco Stefano Minerva. È una manifestazione che a quanto pare ha fatto breccia nelle parrocchie.
E se qualcuno pensa che sia un modo di spettacolarizzare la povertà, forse non tiene presente il vero motivo per il quale vengono organizzate. “Lo scopo è quello di far aprire gli occhi rendersi conto che a volte è proprio la persona che abbiamo accanto ad aver bisogno di aiuto – afferma don Salvatore Leopizzi, della parrocchia di Sant’Antonio a Gallipoli -. La nostra mensa è aperta 365 giorni all’anno e si fa questo servizio in modo molto discreto, ognuno dando il suo contributo. Bisogna pensare che mangiare insieme ha la capacità di favorire le relazioni, gli scambi tra persone che vivono prevalentemente sole. Poi noi viviamo anche di segni, di simboli e questo ne è un esempio, abbiamo contattato le persone chiedendo se avessero voglia di partecipare alla cena, c’è chi ha accettato e chi no. È chiaro che in ogni cosa ci può essere un risvolto, però almeno quello che si intende fare e dare è aprire gli occhi a chi pensa che non ci siano i poveri”. Far uscire le persone dalla solitudine ed evitare di chiudersi nel puro egoismo.
“Quello che noi invitiamo a fare, inoltre, è di non lasciare le persone da sole, almeno il giorno di Natale – continua don Salvatore – e anche se non viene pubblicizzato sono sicuro che le famiglie particolarmente sensibili hanno invitato i propri vicini per pranzo. È chiaro che con questi gesti, con le cene e con gli aiuti della Caritas (dati prevalentemente agli italiani, sfatiamo il falso mito che la chiesa aiuta solo gli stranieri) non pretendiamo né abbiamo la presunzione di risolvere i problemi della povertà. Ma di certo è un buon esempio per educare e educarci ad una vita aperta all’altro, contro gli sprechi, la solitudine e l’indifferenza”. Proprio nel segno di don Tonino Bello.
Festeggiando in corsia
La notizia del premio oscar Helen Mirren in corsia è stata ribattuta da tutti i giornali. Invitata dal gruppo di motociclisti è arrivata vestita da Babbo Natale per consegnare i doni ai bambini del reparto pediatrico. “I bambini ricoverati qui non sono molti – afferma don Antonio Riva, parroco presso l’ospedale di Tricase -. Ad essere sole sono tante persone anziane, che magari hanno i figli fuori o che non si curano di loro per vecchi rancori”. Rancori che non passano in secondo piano a Natale. “Anche l’ospedale si anima durante le feste, come è giusto che sia – continua don Antonio – diverse associazione sono venute a far visita ai pazienti e a dare supporto, per il periodo natalizio vengono organizzate manifestazioni e concerti. Si fa di tutto per evitare che i pazienti si sentano soli, sia qui che in Casa Betania, dove per esempio c’è stato un concerto degli zampognari”. Tra le associazioni più presenti c’è l’Avo (associazione volontari ospedalieri), il loro lavoro è fondamentale: ogni giorno aiutano le persone che sono sole davvero, comprano l’acqua e tutto ciò di cui necessitano. “È l’associazione di cui c’è più
bisogno e quella meno numerosa – dice don Antonio – gli anziani presenti in corsia sono molti di più delle loro forze e c’è davvero tanta miseria”. In casa Betania, sessanta posti letto sempre pieni, i volontari dell’Avo passano del tempo anche con i parenti, per parlare con loro non farli sentire soli. “Anche quest’anno si sono organizzati i concerti di musica classica, con Giovanni Calabrese, la soprano Serena Scarinzie il chitarrista Vittorio Sparascio, e del coro polifonico “Spirito d’armonia” diretto dal maestro Pasqualino Gelsomino e dai maestri organisti Giancarlo Manieri e Sergio de Blasi, che ogni anno animano le messe solenni. Già durante la novena di Natale sono venute varie associazioni e gruppi per portare un sorriso e un po’ di tepore natalizio agli ammalati. L’associazione Asd di Giuliano di Lecce al reparto di pediatria e ostetricia ha portato un regalino a tutti i bambini. La “Squadra del sorriso” ha fatto visita ai pazienti portando i bambini del catechismo della parrocchia di Gagliano del Capo, che hanno firmato una processione di lanterne intorno all’ospedale e casa Betania – spiega don Antonio -. Come ogni anno la vigilia di Natale è venuto a celebrare il vescovo, mons. Vito Angiuli, dopo aver visitato tutti i pazienti insieme ai seminaristi teologi. Poi sono arrivati gli scout di Tricase con la fiaccola della pace da Betlemme”.
Se il papà non ha più una casa
“La casa dove abitavo con mia moglie era intestata a mio padre, e per fortuna. Altrimenti sarei rimasto a terra e oggi non potrei ospitare mio figlio” – Salvatore racconta con sollievo il pericolo scampato. Fortunato rispetto a tanti altri che hanno dovuto lasciare l’abitazione alla moglie e trovarne una in affitto. “Nei 26 anni di attività dell’associazione “Padri separati” di storie tristi ne abbiamo ascoltate tante – racconta la presidente Tiziana Franchi -.
Come passano il Natale i padri separati? Si trovano in due fasi: ci sono quelli che possono ospitare il figlio perché hanno trovato un domicilio idoneo che conducono una vita più o meno regolare, gli altri, caduti in disgrazia economica e magari ospitati da partenti e amici si trovano a dover rinunciare a questo fondamentale diritto”. L’associazione ha sede a Bologna ma una rete di legali in tutta Italia. “Gli uomini hanno una vita dignitosa e normale prima della separazione poi si impoveriscono: tra debiti, mutuo, un nuovo affitto e spese per il mantenimento, finiscono lo stipendio prima della fine del mese. C’è un impoverimento generale e nessuno lo vuole vedere”. I separati sono i nuovi poveri. “Si trovano senza soldi e con i rapporti con i figli rovinati – spiega Franchi -. Nel meridione c’è anche l’ossessione della reputazione: i padri non parlano con parenti e si precludono la possibilità di avere un aiuto, non sono in grado di prendere prima tutte le informazioni necessarie, cosa che ha già fatto la donna che va avanti come un carro armato e riesce ad ottenere quello che vuole. Il padre arriva alla separazione senza neanche una difesa, lo convincono a firmare una consensuale per avere un avvocato solo, per spendere meno, e poi si ritrovano magari a pagare un avvocato che in realtà agevola solo la mamma”. Casi simili si verificano spesso. “La realtà non è equa, e i padri se ne rendono conto solo successivamente, quando in tribunale non lo fanno neanche parlare – continua la presidente –. Si trova spalle al muro e poi, ultimamente, i padri vengono considerati tutti dei violenti e dei picchiatori, mentre si sottace sulla violenza da parte della donna, anche se il dato è in aumento, e non mi riferisco solo a quella psicologica che è presente in buona dose, ma parlo proprio di dita spezzate, di percosse che il padre non denuncia perché verrebbe deriso”. In tutto questo ad avere la peggio sono i figli, perché viene distorto l’aspetto affettivo “Vengono allontanati dal padre e poi si sentono dire che sono i padri che se ne fregano. I padri separati non hanno la possibilità di difendersi al meglio, i loro diritti vengono calpestati e anche quelli dei loro figli”.
Il lavoro non basta più a sostenere tute le spese, i padri separati si sentono isolati e si isolano. “Nella dichiarazione dei redditi non può dichiarare gli alimenti dei figli e quando ti tolgono 400 euro da uno stipendio di 1200 e non ti viene calcolato nella dichiarazione è dura – continua Franchi -. Si è tanto parlato dell’assegno a Veronica Lario, ma per i padri che non hanno un reddito alto non è cambiato niente. Dovranno sempre passare una quota alla moglie”.
E per concludere, la presidente racconta un altro caso pugliese: “Originari della Puglia sono andati a vivere in Campania, dopo la nascita del bambino lei è ritornata dai genitori. Poi ha scelto di andare a Varese. Come può un padre stare dietro al proprio figlio? Come può proteggerlo?”.
In Casa ma senza famiglia
I bambini sono al centro delle attenzioni dei coniugi Bastianutti. In seguito ad un attentato terroristico nel luglio del 2005, dove rimasero vittime le figlie Daniela e Paola, i genitori decisero di dedicarsi interamente ai bambini meno fortunati realizzando una fondazione e aprendo una casa d’accoglienza per minori inviati dai servizi territoriali, dal Tribunale e da organizzazioni non governative. “Attualmente ospitiamo sette minori, di cui quattro in regime residenziale e tre semi residenziale, ossia che rientrano nelle proprie case per dormire, la loro età va dagli otto ai 15 anni – racconta Claudio Bastianutti, il padre delle due giovani vittime – I nostri ospiti sentono e vivono il periodo di Natale diversamente dagli altri coetanei, iniziano a notare la differenza tra loro i compagni di scuola, vedono che gli altri bambini lo vivono in maniera diversa. E ciò avviene in tutti quei momenti in cui ricorre la festa in famiglia. Inevitabilmente diventano più tristi; poi ci sono i bambini che non ci pensano, perché magari non hanno mai vissuto una festa e quindi vivono di riflesso rispetto a quello che viene raccontato dagli altri”. Seduto dietro la sua scrivania Claudio racconta di quei bambini con tenerezza e affetto. “In alcuni si vede la nostalgia negli occhi, noi cerchiamo di fare tutto quello che normalmente si fa in casa, in famiglia: dalla preparazione dei dolcetti, al gioco della tombola, dalla preparazione del presepe e dell’albero di Natale alla partecipazione alle attività esterne, si va a vedere i presepi viventi o le recite delle scuole”. L’aiuto esterno è
importante e gradito, per far sentire quei minori parte di una comunità. “La nostra casa famiglia non è blindata, nel senso che tutti possono venire a trovare i bambini – continua Bastianutti – per dare l’idea della normalità è necessaria la presenza delle persone esterne. Anche se c’è il rischio che i bambini vengano trattati da fenomeno da circo, ma questo, per la verità, succede raramente. È capitato che qualche compagno di classe invitasse per Natale uno dei ragazzi, ma quando avviene, per evitare che gli altri si sentano esclusi cerchiamo di non concedere l’uscita, a meno che non abbiano tutti altri inviti. Di solito si preferisce pranzare e cenare insieme e dopo lasciarli liberi di uscire con gli amichetti”.
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