L’appello di Lucia, dal carcere di Lecce: “Sono innocente. Non accetto ricatti per vedere mia figlia”

Di Lucia Bartolomeo

 

Alla cortese attenzione
della redazione del Tacco d’Italia
Dott.ssa Maria Luisa Mastrogiovanni

Sono Lucia Bartolomeo, l’infermiera di Taurisano accusata della morte del marito Ettore Attanasio, deceduto il 30 maggio 2006, per la quale mi è stata inflitta in via definitiva la pena dell’ergastolo e per la quale mi sono professata sempre innocente. Ma evidentemente questo non è mai interessato a chi di competenza, visto che, essendo un processo altamente indiziario, molti aspetti della vicenda sono rimasti irrisolti e oscuri negli anni.

Sono detenuta ininterrottamente da più di 10 anni, alla cui pena espiata vanno a computarsi 855 giorni di liberazione anticipata concessa sino al 29-11-2016 (pari ad anni 2, mesi 4 e gg. 5 di reclusione).

Pertanto, al requisito temporale (10 anni per la persona condannata all’ergastolo) previsto per l’ammissione ai benefici penitenziari lo stesso risulta ampiamente superato.

Da agosto 2015 ho iniziato ad avanzare richiesta di permessi premio come previsto dalla legge.

In prima istanza mi veniva detto ce in data 29/07/2016 ancora non era stato concluso l’aggiornamento della sintesi per mancanza della relazione dell’ufficio U.E.P.E. di Lecce. Fin da allora si faceva riferimento, che la relazione di sintesi del 06/05/2015 evidenziava a fronte di un più che positivo percorso intramurario, il non riconoscimento di alcuna responsabilità rispetto al reato ascrittomi.

Il 21/09/2016 presentavo una nuova richiesta.

Il magistrato competente, nell’esaminare l’istanza di permesso premio da me avanzata, premetteva che la richiesta era sorretta dal parere favorevole del direttore del carcere e dal parere favorevole dell’equipe di trattamento alla sperimentazione di brevi permessi premio, mettendo in evidenza che tutte le relazioni di sintesi militavano a favore della medesima provando il mio corretto comportamento e la concreta partecipazione a tutte le attività trattamentali.

“È forse l’ennesimo umiliante ricatto? Non accederò mai ai benefici perché devo dichiararmi colpevole per ottenerli? Se è così venga scritto chiaramente nell’ordinamento penitenziario e non “tra le righe” dei rigetti dei magistrati di sorveglianza”

Nonostante quanto sopra l’istanza doveva rigettarsi perché, secondo le argomentazioni del magistrato di sorveglianza, l’interessata stava valutando la possibilità di avanzare un giudizio di revisione del fatto reato che mi ha visto condannata all’ergastolo e ai punti 3 e 4 del decreto, così motivava: 3. “Resta forte la speranza di vedere affermata la sua innocenza, ove dovesse essere avviato un giudizio di revisione, all’esito della decisione che sul punto dovrebbero prendere i suoi legali, dopo le ulteriori indagini tecniche che hanno ritenuto di espletare”; 4. “Quest’ultimo dato si inserisce in una considerazione più ampia della vicenda penale posta a base della condanna in esecuzione, ovvero l’omicidio del marito della Bartolomeo, rispetto alla quale deve sottolinearsi che la medesima non ha mai, di fatto, riconosciuto la propria responsabilità del fatto illecito e che a fronte di una condanna all’ergastolo, la mancanza di una reale revisione critica della pregressa condotta illecita non può che gettare pesanti ombre sull’affidabilità della detenuta, ovvero sull’effettiva serietà del suo percorso rieducativo, quale apparentemente delineato dai menzionati progressi intramurari”.

Proponendo reclamo avverso il rigetto del permesso, la decisione in sede collegiale è stata quella di non censurare il magistrato di sorveglianza al quale compete il mio caso, in quanto il provvedimento richiedeva altro tempo per l valutazione del percorso intramurario, fermo restando la possibilità (mi veniva fatto notare) di riproporre altra istanza.

Cosa che ho fatto subito e la risposta, finalmente, ha sviscerato in maniera chiara e inequivocabile (casomai prima non lo fosse stato abbastanza) che motivo del diniego non è né il mero scorrere del tempo, né se il mio comportamento fosse simulatorio o autentico.

“Il punto cruciale è il professare la mia innocenza”.

Mi scuso per i termini “forti” ma anche a me a volte vengono “pensieri insani” e logoranti.

È forse l’ennesimo umiliante ricatto?

Non accederò mai ai benefici perché devo dichiararmi colpevole per ottenerli?

Se è così venga scritto chiaramente nell’ordinamento penitenziario e non “tra le righe” dei rigetti dei magistrati di sorveglianza.

Le motivazioni addotte dal magistrato sono meritevoli di garbata critica nonché irragionevoli secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione che ha costantemente stabilito che “ai fini della concessione di benefici penitenziari la mancanza di senso critico verso le condanne subite può essere valutata come elemento negativo solo quando sia espressione di un persistente atteggiamento mentale del condannato giustificativo del proprio comportamento antidoveroso, e quindi sintomatico di una mancata risposta positiva al processo di rieducazione, non quando è una protesta di innocenza, diritto di ciascuno anche dopo il passaggio in giudicato di una condanna” (in tal senso, Cass., sez. I, sent. n. 4011 del 13/10/1992 – 10/11/1992, ric. Ertugral; conforme, Cass. sez. I, 12/05/2000, n. 2295, RV216076) secondo cui “ai fini della concessione di una misura alternativa, non può indurre a una prognosi sfavorevole in ordine ala commissione di altri reati la mancata ammissione della propria colpevolezza da parte del condannato, sia perché nel processo penale l’imputato non ha obbligo di verità, sia perché l’assenza di confessione può essere dettata dai più svariati motivi senza che, solo per questo, essa sia sintomatica di mancato ravvedimento o di pericolosità sociale o dell’intenzione di persistere nel crimine” (Cass. pen. sez. I, 09/04/2008, n. 18388 ric. C.M.).

Ed ancora, sempre secondo l’insegnamento del giudice di legittimità “ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione, non è necessaria la confessione del condannato, che, pur attivandosi per partecipare all’opera di rieducazione, ha diritto di non ammettere le proprie responsabilità, ma si deve tener conto del grado di consapevolezza e di rieducazione raggiunto dallo stesso, nonché dell’evoluzione della sua personalità successivamente al fatto, al fine di consentire un’ulteriore evoluzione favorevole ed un ottimale reinserimento sociale (Cass. pen. sez. I, 22/02/2008, n. 8258, ric. Angelone [RV 240586]).

Nulla può cambiare tra un mese o un anno perché questa sono io.

Ora, se una persona durante la propria vita ha tenuto sempre una condotta legale, non ha mai attuato comportamenti devianti o abbia commesso atti o fatti di portata penalmente rilevante, quale senso critico del proprio passato dovrebbe attuare? E se una persona è stata indagata e condannata per un fatto che si è sempre professata innocente, anche a fronte di una sentenza di condanna passata in giudicato, quale revisione critica di una pregressa condotta illecita dovrebbe fare? Pensiamo davvero che l’affidabilità di una persona può essere messa in dubbio solo sull’assenza di una revisione critica che, nel caso di specie, non può mai essere concretizzata dal momento che la sottoscritta non ha mai tenuto durante la sua vita da persona libera una pregressa condotta illecita né mai ha commesso alcun crimine?

L’appello di Lucia: “Il prezzo del riscatto non è e non sarà mai una menzogna, la nostra dignità.
Spezzate quest’attesa senza un perché e senza fine. Regalate un sogno a mia figlia, vittima innocente. Regalatele un sorriso per rendere più bella la sua vita… e anche le vostre”

Infine, se la direzione del carcere, nonché l’èquipe trattamentale propone misure extramurarie a mio favore, vuol dire che queste autorità senza alcun dubbio si sono rese conto che il mio atteggiamento e il percorso tratta mentale sia stato, in tutti questi anni, responsabile, vero e sincero e non simulatorio o apparente. Le autorità carcerarie, infatti, sono quelle che più d’ogni altra persona, compreso il Mds, vivono a stretto contatto giornaliero con la persona detenuta. Nel mio caso, infatti, con convinzione, hanno stabilito che ho oramai compiuto un percorso tratta mentale inframurario di ammirevole eccezionalità, tanto da proporre la fruizione di misure extramurarie.

E sì, che in tanti anni nelle carceri ne succedono di tutti i colori, sarebbe impossibile simulare per lunghi e dolorosi anni.

Dovrei confessare qualcosa che non ho commesso? Personalmente, non l’ho fatto in precedenza, quando hanno cercato di vendermi la libertà a scadenza, lo farei ora per i benefici? Perché?

Perché il carcere stanca, mina i tuoi affetti, rade al suolo la tua vita, umilia, demolisce, scompone!

Dopo questa “terapia d’urto” sono sempre rimasta una persona non violenta, mai pericolosa così come lo sono sempre stata.

Con fatica e tristezza ho tirato avanti nel dolore per me e le persone che mi hanno creduta e mi vogliono bene, soprattutto per mia figlia Alessia.

Perché noi abbiamo bisogno l’una dell’altra.

I figli sentono e lei sa che io non le avrei mai tolto il suo papà.

Anche le madri sentono e sanno, le parole non dette. Quella domanda che le leggo tristemente negli occhi e che fino a qualche anno fa, diceva, urlava, pretendeva: “Mamma quando vieni a casa con me?”!

Ora è più grande e forse teme le solite risposte. Adesso quella domanda gliela si legge negli occhi quando si spengono. Silenziosa sale dal cuore e si ferma sulla bocca. Aspetta. Aspetta che parli io… ma le parole che attende mia figlia sono: “Vengo a casa!”.

Non quelle che altri sterilmente vorrebbero.

Il prezzo del riscatto non è e non sarà mai una menzogna, la nostra dignità.

Spezzate quest’attesa senza un perché e senza fine. Regalate un sogno a mia figlia, vittima innocente. Regalatele un sorriso per rendere più bella la sua vita… e anche le vostre.

Qui la cronistoria del processo sulla morte di Ettore Attanasio

Qui l’appello per la riapertura delle indagini della direttora Marilù Mastrogiovanni, in audizione dinanzi alla Commissione regionale d’inchiesta sulle mafie

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