Di Francesca Rizzo
La figura di Vittorio Bodini è ignota a molti salentini, eppure è proprio dal profondo Sud che è partita la sua opera. Nato a Bari da genitori di origini leccesi, ha trascorso nel capoluogo salentino buona parte della sua vita, prima di spostarsi nei centri culturali più importanti, come Firenze e Roma. Poi la Spagna, che assume un ruolo centrale nella sua produzione. Bodini ha studiato i classici della letteratura spagnola ed è diventato l’ispanista ufficiale di Einaudi, per cui ha tradotto numerose opere: una su tutte, quella del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, è ritenuta dai critici la migliore traduzione esistente.
Dal Salento è stato avviato già da un po’ un lavoro di rivalutazione della figura di Vittorio Bodini, attraverso numerose iniziative. L’ultima in ordine cronologico è la mostra permanente Viviamo in un incantesimo, allestita presso il Castello Acquaviva d’Aragona di Nardò. Curata dall’attore Antonio Minelli, la mostra è promossa dal Centro studi Vittorio Bodini, con il patrocinio del Comune di Nardò e dell’Assessorato all’Industria turistica e culturale della Regione Puglia e la collaborazione di Comune e Provincia di Lecce, Università del Salento, Associazione Forme di Terre e Besa editrice.
L’intervista Letterato, scrittore, traduttore, ispanista: chi era davvero Vittorio Bodini? Il Tacco d’Italia lo ha chiesto al Prof. Antonio Lucio Giannone, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università del Salento e presidente del comitato scientifico del Centro studi dedicato a Bodini.
Professore, come si può riassumere la figura poliedrica di Vittorio Bodini?
Vittorio Bodini è stato il maggiore scrittore pugliese del Novecento, nonché uno dei maggiori scrittori meridionali del periodo. Era uno scrittore di livello nazionale e di respiro europeo. La fama di ispanista e traduttore ha messo un po’ in ombra la sua attività di poeta e di scrittore.
Come si spiega questo essere al margine della produzione culturale italiana?
Bodini è stato al centro della società letteraria italiana fino alla fine degli anni Cinquanta: si è occupato di poesia e di narrativa, ha pubblicato delle opere ed era in contatto con i maggiori scrittori, critici ed editori italiani e stranieri. L’Università del Salento ospita un archivio ricchissimo, donato dalla vedova di Bodini, che comprende anche un carteggio sterminato con i maggiori scrittori italiani del Novecento, dai quali era molto stimato: da Montale a Ungaretti, a Mario Luzi, a Sciascia, a Pasolini, a Calvino. Nel 1959 si è trasferito a Roma, dove si è dedicato più alla sua attività accademica, di traduttore. La morte prematura gli ha impedito di pubblicare un volume unico di racconti, che era in programma con l’editore Einaudi. Questo ha fatto sì che il nome di Bodini fosse dimenticato: nelle antologie di poesia italiana del Novecento e nei manuali scolastici il suo nome non compare, o viene appena citato; a scuola non si studia Bodini. Secondo me su questo hanno influito anche la sua origine meridionale e l’aver messo al centro della sua opera, fin dalla prima raccolta, “La luna dei Borboni”, i temi del Sud. Bodini ha interpretato acutamente la realtà meridionale, attraverso l’individuazione di fenomeni identitari che ha persino precorso, come il tarantismo, di cui Bodini parla già negli anni Cinquanta, e il barocco, visto come horror vacui, chiave di lettura di Lecce, la sua città.
Si può parlare, quindi, anche per la letteratura di una questione meridionale?
Certo: continua ad esserci questa emarginazione dei nomi principali della nostra cultura, nella letteratura ma più in generale nell’arte. Anche i migliori tra i nostri scrittori, come appunto Bodini, fanno più fatica ad affermarsi rispetto a colleghi del Centro e del Nord Italia, dove sorgono i centri di potere editoriale ed accademico. In uno scritto intitolato “La Puglia contro Pietro Micca”, Bodini fa notare che sui manuali di storia è presente l’episodio isolato di Pietro Micca, il soldato piemontese che si è immolato per non far entrare i Francesi a Torino, mentre è completamente ignorato l’episodio glorioso del sacrificio degli ottocento martiri di Otranto, che servì a bloccare l’avanzata dei Turchi in Italia e in Europa. La riflessione molto acuta di Bodini, nel finale, è proprio questa: purtroppo, spesso, siamo costretti a studiare la storia degli altri senza conoscere nulla della nostra; è come se il Sud fosse un’appendice dell’Italia, una sorta di colonia, e non sua parte integrante.
Bodini ha promosso la “cospirazione provinciale”, un rinnovamento del palinsesto letterario italiano a partire proprio dalla provincia, dalle periferie; è un discorso attuale ancora oggi?
Bodini ha lanciato la cospirazione provinciale, quasi un manifesto, nel 1954, quando ha fondato la rivista L’esperienza poetica, che seppur di breve durata ha avuto un ruolo importante nella vita culturale italiana, soprattutto nella poesia. In quegli anni c’erano varie province che si muovevano, da Nord a Sud: centri defilati ma ricchi di cultura. Adesso la situazione è un po’ diversa, con la globalizzazione è difficile trovare spazio per una certa originalità anche nella provincia; eppure sarebbe ancora questa, forse, la strada da percorrere in opposizione a certi fenomeni di “omologazione culturale”, per citare Pasolini.
Come si restituisce alla figura di Bodini il posto che merita? Che ruolo ha il Centro studi “Vittorio Bodini”?
Io, e studiosi come Donato Valli prima di me, abbiamo iniziato a studiare Bodini già molto tempo fa, con l’intento di farlo conoscere maggiormente e di rivalutarlo a livello nazionale. Questo è stato possibile grazie all’archivio donato dalla vedova, che contiene anche scritti inediti. Lavorando su questo archivio abbiamo potuto fondare una collana, Bodiniana, edita da Besa, nella quale finora abbiamo pubblicato nove volumetti che raccolgono scritti dispersi di Bodini, da Barocco del Sud al Corriere spagnolo, la raccolta di reportages dalla Spagna, al romanzo postumo Il fiore dell’amicizia; abbiamo realizzato anche delle edizioni commentate delle raccolte poetiche bodiniane, e tre carteggi importanti, come quello con due intellettuali e letterati italiani di grande prestigio: Leonardo Sciascia e Vittorio Sereni. Il Centro studi continua con varie iniziative in questo tentativo di valorizzazione dello scrittore: da quest’anno, ad esempio, il Premio letterario a lui dedicato comprenderà anche le tesi su Bodini scritte all’estero. Questo è un momento particolarmente importante, perché anche in Spagna si sta registrando un certo interesse verso la sua opera. Di lui erano conosciuti alcuni studi dedicati ai classici antichi e moderni della letteratura spagnola, ma negli ultimi tempi l’attenzione verte sulla sua figura di scrittore; è importante che sia conosciuto anche al di là dei confini italiani, soprattutto perché Bodini è stato quello che più ha approfondito il rapporto tra Italia e Spagna nel Novecento. È un segnale importante che vogliamo lanciare, anche visti gli sforzi fatti in Italia per tener viva questa figura.
“Uno scrittore di livello nazionale e di respiro europeo”, lo descrive uno dei suoi maggiori studiosi, il Prof. Antonio Lucio Giannone. Eppure Vittorio Bodini è assente dai manuali scolastici, ed è sconosciuto alla maggior parte dei suoi conterranei: un destino comune a tanti artisti meridionali
Come ha detto Lei stesso, a scuola non si studia Bodini: come fare per introdurlo nei programmi?
Il discorso sulle scuole è un po’ più complesso, dipende anche da chi scrive i manuali e le antologie, in cui spesso si ripropongono i soliti nomi e le solite vicende della letteratura. Indipendentemente dai libri, però, inizia ad esserci un certo impegno personale da parte dei docenti per un percorso parallelo rispetto ai programmi nazionali. Ci sono tanti docenti che si sono appassionati alla figura di Bodini, e che possono svolgere un ruolo importante di mediazione tra manuali in cui il nome dello scrittore non compare nemmeno e la conoscenza dell’opera presso i ragazzi. Gli studenti devono conoscere anche questo autore, che ha parlato della loro terra, l’ha descritta e soprattutto interpretata.
Poche settimane fa è stata inaugurata la mostra permanente su Bodini a Nardò, dove ha già sede anche il Centro studi. Perché proprio Nardò e non Lecce, data la centralità del capoluogo nella produzione bodiniana?
A Lecce è stato avviato un dialogo ma non si è giunti a un risultato concreto. Ma anche Nardò è legata al nome di Bodini: la città fa parte della zona dell’Arneo, a cui lo scrittore ha dedicato due bellissimi reportages. Negli anni Cinquanta un gruppo di braccianti occupò le terre del grande latifondo dell’Arneo, di proprietà di una famiglia salentina e rimaste incolte. Bodini fu testimone dell’occupazione e della reazione violenta della polizia dell’epoca che, guidata da un ministro divenuto famoso, Mario Scelba, attaccò pesantemente i contadini, bruciando i loro unici beni: le biciclette. Bodini si recò sul posto e rischiò anche di essere colpito da una pallottola. Per questo mi fa piacere che l’amministrazione comunale di Nardò abbia avuto la sensibilità di dedicare uno spazio prestigioso, il Castello Acquaviva d’Aragona, a Vittorio Bodini.
Che ruolo ha la mostra permanente nel grande lavoro di rivalutazione dello scrittore?
La mostra svolge una funzione importantissima, che è quella di divulgazione: consente di far conoscere Bodini presso un pubblico più ampio. È una funzione complementare a quella di approfondimento, svolta dalla collana Bodiniana.
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Condivido pienamente le parole del Prof. Giannone… Dovrebbe aprirsi un tavolo culturale per divulgare il disagio, della nostra storia, della nosta terra, stuprata e maledetta anche nei ricordi.