di Valentino Losito
Era il 1968. Mentre il mondo era attraversato dai fremiti della rivoluzione, al Festival di Sanremo, Domenico Modugno toccò i cuori con “Meraviglioso”, uno straordinario inno alla vita, un vibrante appello a non disprezzarla, ad amarla, a riscoprirne le bellezze spesso offuscate dalla grigia quotidianità.
Era “un angelo vestito da passante” a sillabare l’alfabeto delle meraviglie: il sole, la vita, l’amore, il bene di una donna, la luce di un mattino, l’abbraccio di un amico, il viso di un bambino, tutte emozioni capaci di far apparire meraviglioso “perfino il tuo dolore”.
Quasi cinquant’anni dopo, nel tempo della babele elettronica e della post-verità, è stata Fiorella Mannoia, ancora a Sanremo, con “Che sia benedetta” a invitarci a tenerci stretta questa vita che “condanniamo illudendoci di averla già capita, in questo traffico di sguardi senza meta e in quei sorrisi spenti per la strada”.
“La vita – cantava John Lennon – è ciò che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti”. Ogni tanto è la voce che non ti aspetti a invitarti a non sciupare nella banalità il dono grande e misterioso della vita.
Edmondo Berselli, un giornalista e scrittore scomparso troppo presto, intitolò “Canzoni, storia dell’Italia leggera” il racconto di un Paese attraverso la sua musica. Leonardo Sciascia e Italo Calvino hanno scritto pagine indimenticabili per tessere l’elogio della leggerezza. Una virtù da riscoprire e coltivare nella meravigliosa vita. Come canta Sanremo. Di ieri e di oggi.
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