Augustino Potenza, l’Italiano che inventò il marketing della mafia

di Marilù Mastrogiovanni (3 novembre 2016)

//INCHIESTA. Augustino Potenza, ucciso con 18 colpi di Kalashikov a Casarano (Lecce), era considerato dalla direzione nazionale antimafia una delle nuove rampanti leve delle sacra corona unita. Ma a Casarano, suo paese d’origine, dove viveva, era venerato come un dio. In quattro anni era riuscito a creare un clima di consenso e omertà. Inventando il marketing della mafia per nascondere il fiume di denaro che arrivava dagli affari criminali. E sfamando contemporaneamente un po’ di famiglie in ginocchio per la crisi. Storia di un genio del male tutto Italiano.

Quando a Casarano (Le) pronunci il nome di Augustino Potenza, adesso, ti si fa il vuoto intorno.

Fino a pochi giorni fa il suo nome spaccava in due il paese.

Chi scuoteva la testa, abbassandola e facendo spallucce. Per poi annuire, quando chiedevi: “Ma adesso è lui il boss di Casarano e di tutta la zona del capo di Leuca?”, dandoti l’idea di stare ammettendo per la prima volta soprattutto a se stesso quella terribile verità.

Chi ne tesseva le lodi di una non meglio imprecisata capacità imprenditoriale, di uno che sapeva fare tutto e niente ma che si sapeva “buttare” in ogni affare facendolo fruttare. Il tipico modo di fare da “dritto”, uno che la sa lunga, non si sa bene che cosa sa, ma puoi star certo che lui sa come si fa. A uno così, i casaranesi riservano sempre un retro-pensiero di ammirazione. Gli “portano rispetto”.

I paesani degli altri paesi del basso Salento, vedono in questo modo di fare vanaglorioso una tipicità tutta casaranese: gente verace e tenace, capace di risollevarsi dalla cenere e salire sull’altare. Casarano vanta schiere di self made men, uomini e donne che ce l’hanno fatta da soli, partendo da zero. E così era Augustino Potenza: un genio, a suo modo, tutto italiano. Un italiano verace e tenace. Era finito nella cenere per anni, in galera dal 23 ottobre 2006 fino al 3 luglio 2012 e da allora, da zero, stava scalando le vette della sacra corona unita, dettando le regole del quieto vivere nei paesi del basso Salento. E arrivando a fare affari con la camorra.

augustino-potenza-scu-casarano-salentoIl carattere di Augustino Potenza era un marchio di fabbrica che si portava orgogliosamente addosso. Così come erano orgogliosi i suoi amici, di far parte del suo entourage.

A vederlo, lui e il suo entourage, le cose parevano andar bene a tutti. Ben vestiti e “marchiati”, tutti ostentavano macchine di grossa cilindrata, orologi di lusso. A lui e ai suoi amici piaceva vivere bene.

Augustino PotenzaE per vivere bene, era meglio essere amico di Augustino Potenza. Se eri amico di Potenza, ti prestava soldi senza chiedere (nell’immediato) nulla. Se eri amico di Potenza, ti aiutava se la tua azienda era in difficoltà. A lui piaceva vederla crescere, la tua azienda, come fosse cosa sua. Perché tutto ciò che era cosa sua, non si toccava.

 

 

QUEL TESORETTO MAI TROVATO

Era cosa sua quel bar in pieno centro di Casarano, in piazzetta Petracca, nella zona dello struscio e dove i ragazzini si ritrovano per comprare due “canne”.

Quel bar, fu sequestrato ad Augustino Potenza nel 2006 dalla Direzione investigativa antimafia di Lecce insieme ad un immobile in via Pellegrino 34 e ad un terreno sulla serra della Madonna della Campana. Poi confiscati con sentenza definitiva della Cassazione nel 2009 perché la Dia riuscì a provare che quel patrimonio del valore commerciale di non più di 150mila euro era frutto dei proventi delle attività illecite di Potenza.

I lidi marchiati Italiano tenace
I lidi marchiati Italiano tenace

Quello che non si riuscì a trovare, nonostante indagini lunghe e complesse, fu il resto del patrimonio di cui quegli immobili erano solo la punta dell’iceberg. La punta dell’iceberg di un fiume di denaro frutto del traffico di cocaina che negli ultimi due anni partiva da Casarano, tuffandosi nei mari cristallini della costa ionica da Ugento a Gallipoli, scorrendo fino in Germania e in Canada, passando da Napoli. Forse, si sussurra in paese, quel fiume s’era gonfiato fino a esondare, rompendo equilibri ai piani alti di camorra e ‘ndrangheta.

Anche quei 100mila euro e i due kili di coca che aveva con sé quando fu arrestato, latitante per 15 mesi dal 23 luglio 2005, erano solo una piccola parte di un piccolo bottino (piccolo rispetto ai suoi traffici), almeno 500mila euro, che non fu mai trovato e che secondo gli inquirenti sarebbe stato nella sua disponibilità nel 2005 fino al 2012, quando fu liberato.

Con quel “piccolo” tesoretto e la sua rete di fiancheggiatori, dormiente sul territorio fino al suo ritorno, nel 2012 ha ricominciato a lanciare i suoi tentacoli sul Salento.

 

 

LE COMPLICITA’ NEL COMUNE DI CASARANO

Il suo arresto nel 2006 fu salutato dai quotidiani locali come la fine della scu. Sordi alle relazioni della DNA che dicevano il contrario. La scu, scriveva la Direzione nazionale antimafia, si stava riorganizzando, all’insegna, si badi bene, di una pax mafiosa che gli episodi di fuoco, sebbene crescenti, non compromettevano.

Intimidazioni, rapine, colpi di arma da fuoco contro abitazioni e negozi, bombe e incendi: gli ultimi anni, soprattutto gli ultimi due anni, dal 2014 ad oggi, nel basso Salento sono stati anni di terrore. Anni in cui nessuna voce fuori dal coro poteva levarsi.

casarano-calcio-e-italiano-tenaceAnni in cui le mura del palazzo dei Domenicani, sede del Municipio di Casarano, erano di vetro. Ma non per i cittadini. Per Augustino Potenza. Che aveva il peso per chiedere conto, agli amministratori, del loro operato.

Perché il nome di Augustino Potenza apriva più di una porta, dentro e fuori dal palazzo del Municipio.

Il bar, da 10 anni abbandonato, da 8 assegnato al Comune di Casarano, non è mai stato oggetto di un bando pubblico per il suo riutilizzo.

Nel 2012 l’allora commissaria prefettizia di Casarano Erminia Ocello, la stessa che bloccò il tentativo di infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti, sottoscrisse un protocollo d’intesa con l’associazione Libera, per sensibilizzare la cittadinanza sul tema della legalità. Successivamente, i rappresentanti di Libera, Francesco Capezza e Libera Francioso, hanno incontrato più volte il sindaco Gianni Stefàno sollecitandolo ad assegnare tramite bando pubblico i beni confiscati di Potenza, per sottrarli alla sua influenza e farne un simbolo di vittoria dello Stato sulla mafia piuttosto che un simbolo del potere mafioso. Ma le numerose rassicurazioni del sindaco, fatte solo a parole, si sono sempre tradotte in un nulla di fatto.

Quel bar abbandonato in pieno centro, invece di riempirsi delle voci chiassose di ragazze e ragazzi, che potrebbero usarlo per scambiarsi idee, leggere libri e giornali, guardarsi un film, fare feste, sta lì come un muto monito a cui il ponziopilatismo di quest’Amministrazione dà voce: “Guai a chi tocca Potenza, guai a ribellarsi al potente di turno, guai ad opporsi alla mafia”.

Anche l’uliveto in contrada Campana ha subito la sorte che spesso tocca ai beni confiscati ai mafiosi: è stato raso al suolo, capitozzato nel 2012, all’indomani della scarcerazione di Potenza. E all’indomani dell’elezione del sindaco Gianni Stefàno. Anche in questo caso il messaggio è chiaro: “E’ roba mia e non si tocca. Se non posso beneficiarne io, nessun altro lo farà”. E, soprattutto, il messaggio è: “Questa è la fine che fanno le cose che non sono sotto la mia tutela”.

Quell’uliveto infatti è sotto la tutela del Comune di Casarano. Che non ha mai sporto denuncia per quello scempio, rendendosi, ancora una volta, complice di tali modalità mafiose.

 

 

ITALIANO TENACE, ITALIANO VERACE

sede italiano tenacecassetta postaE poi c’è l’immobile in via Pellegrino 34. Questo è il numero civico riportato sul decreto di confisca del 2009: due vani e mezzo, al piano terra, del foglio20, particella 660 sub1.

Però se si va al numero civico 34 di via Pellegrino, non si trova l’immobile confiscato, ma un’altra abitazione.

Il Comune infatti ha cambiato la numerazione di via Pellegrino, per cui chi voglia seguire il filo d’Arianna dei beni di Potenza, partendo dalle carte ufficiali, non troverà mai quell’immobile che ora è di proprietà pubblica.

Quell’immobile sequestrato ad Augustino Potenza è ora il numero 9.

E al numero 9 troviamo anche la sede della Italiano Tenaimg_8987ce S.r.l., società intestata per l’80% ad un noto esponente del calcio casaranese, candidato alle comunali del 2009 con la Puglia prima di tutto di Raffaele Fitto e per il 20 % al proprietario di uno dei lidi più fashion della costa caraibica del basso Salento. In quella zona i parcheggi, dunque l’accesso al mare, e i servizi di security sono in mano alla criminalità locale. Si tratta proprio di quei parcheggi la cui gestione abusiva, in pieno parco naturale di Ugento, il Tacco denunciò con ampio reportage, ormai 10 anni or sono.

Augustino Potenza non aveva intestato nulla a suo nome.

Altro che imprenditore o broker.

Non aveva intestato nulla a suo nome però con il suo nome marcava il territorio e le attività che erano sotto il raggio della sua azione.

Augustino Potenza, alias “Italiano”.italiano tenace AUGUSTINO POTENZA

“Italiano” è la “nciurita”, cioè il soprannome dialettale della sua famiglia d’origine. Lui ne fa il nome del suo clan mafioso. E del nome del suo clan mafioso ne fa un marchio fashion.

L’ “Italiano” quando nel 2014 viene assolto dal processo di revisione dall’accusa di omicidio di Fernando D’Aquino e Barbara Toma, conia un marchio che si fissi nella mente di tutti: dei semplici cittadini e degli affiliati alla scu, che lui si voleva riprendere. Un messaggio ai clan rivali, alla camorra, socia, fino ad un certo punto, in affari.

L’Italiano è tornato ed è tenace.

Italiano tenace: scarpe e macchine di lusso
Italiano tenace: scarpe e macchine di lusso

La sua strategia è quella tipica della sacra corona di ultima generazione, definita dalla presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, che riprende la definizione del procuratore Cataldo Motta, una “mafia sociale”. Un welfare, una mafia che cerca consenso in ogni strato della società.

“Italiano” deve far sapere a tutti che c’è. La sua è un’ossessione: riprendersi quello che gli è stato tolto, riprendersi il paese e gli affari. E lo vuole fare col sorriso, facendosi ben volere.

“Vesti bene, fai male. By Sacra Corona Unita”: è lo slogan che fanno circolare i suoi su Facebook (scritto così, con le maiuscole), fotografandosi a party, feste, inaugurazioni, ben agghindati e col sorriso a 24 carati.

Siamo nell’estate del 2014. Le feste più esclusive di questa bella gioventù si tengono, e non a caso, nel più bel palazzo di proprietà pubblica, il seicentesco palazzo De Judicibus, che il Comune prontamente concede in comodato gratuito all’associazione “Ama Casarano”, che è sotto la sfera d’influenza di Potenza & company, anche grazie all’amicizia intima con un consigliere comunale del cui operato, Potenza, chiede conto anche telefonicamente

Invito a festa presso l'antico palazzo De Judicibus da parte dell'associazione Ama Casarano
Invito a festa presso l’antico palazzo De Judicibus da parte dell’associazione Ama Casarano

Ogni giovedì l’associazione organizza sulla carta – cioè in base a quanto scritto sulla delibera di Giunta che ne concede l’uso – “musica sotto le stelle”. Ma è un’occasione per creare euforia e consenso nell’ambiente frequentato da Augustino Potenza. Da quei festini dove si vendono superalcolici, quel bene architettonico, già messo male, ne esce devastato: il seicentesco portone d’ingresso ligneo è danneggiato, le scale monumentali rotte, alcuni antichi manufatti in pietra leccese, delle tipiche “pile”, vengono rubate nella notte. La Giunta che ha concesso l’uso del palazzo storico non fiata. La storica associazione “amici del Presepe”, che lì da 18 anni conservava l’occorrente per le iniziative benefiche, si vede negato l’accesso. Hanno cambiato le chiavi. Il divieto dura poco, verranno fornite le nuove chiavi, ma dopo lettere e rimostranze e soprattutto dopo aver subito un sopruso che è esercizio del potere.

img_8989img_8990img_8991L’Italiano, marchia il territorio con adesivi che portano il suo nome: dai semafori alle centraline dell’Enel, gli arredi urbani e l’intero paese è sotto l’egida dell’Italiano, mentre tutte le macchine dei suoi amici, compari, affiliati – alcune con targa della Repubblica di San Marino – portano in giro appiccicato il suo nome di battaglia. Italiano tenace. Il messaggio è chiaro: “L’Italiano non molla”.

Se fai domande in giro la risposta è: “L’Italiano? Un signore”: chi risponde, risponde così, o non risponde.

orologione-tenaceE una cappa di omertà piomba sul paese. E’ un po’ come se Sandokan, il boss dei Casalesi o Genny ‘a carogna facessero del loro soprannome da mafiosi un marchio di qualità. Ecco, “Italiano tenace” produce vestiti e scarpe in “stile” Hogan, orologi in stile Rolex, accessori di moda dalle calze ai cappellini. Molti di questi oggetti sono prodotti a Napoli. Su Facebook è osannato e acclamato dai casaranesi e dai paesi del basso Salento, da Gallipoli in giù.

il servizio sul giornale "Eventi" sulla festa all'Hollywood di Milano
il servizio sul giornale “Eventi” sulla festa all’Hollywood di Milano

Italiano tenace, alias Augustino Potenza presenta il nuovo marchio a Milano, presso la celebre discoteca “Hollywood” con qualche ignara starlet da Grande fratello e con l’ignaro Stefano Tacconi, calciatore in pensione. Sponsorizza col suo logo feste, eventi, società sportive, fa pubblicità sui giornali. E i suoi affari arrivano fino in Canada.

In quello che era il paese delle scarpe, tutti sanno chi fa che cosa, dai lacci alle suole. Ma le scarpe cafone della “Italiano tenace” non danno poi tutto quel lavoro e quel benessere che invece viene ostentato. Il giro d’affari, all’apparenza, non è da capogiro: il fatturato dell’anno scorso è di 170mila euro, mentre quello di quest’anno è sceso a 56mila euro. Sarà la crisi.

Così come la sede di via Pellegrino 9, a pochi metri da palazzo de Judicibus e il portoncino verde d’ingresso, di ferro, arrugginito, sono tutt’altro che glamour. Certo non da Hollywood.

Teoricamente la Italiano Tenace Srl ha in comune con l’immobile confiscato che fu di Potenza solo l’ingresso: i due vani e mezzo che sono ora del Comune di Casarano – e che versano in stato di totale abbandono – sono al piano terra, mentre la sede della Italiano tenace dovrebbe essere al primo piano. In realtà è anche questo un modo per marcare il territorio, intimidendo i cittadini. Come a dire: “Se sotto ci siete voi, guardate in alto ché troverete sempre me, a controllarvi”.

Appena lancia il marchio, sul sito italianotenace.it e sulla pagina Facebook pubblica il suo cellulare personale e la sua foto. Poi il sito diventa irraggiungibile e la pagina Facebook non è più aggiornata.cellulare-potenza

L’Italiano è un’anguilla.

 

 

ANDIAMO A COMANDARE

Nel 2014 Italiano Tenace srl come detto non ha un giro d’affari da capogiro. Anche se continua a sponsorizzare eventi nel basso Salento e a pubblicizzare i suoi prodotti su diverse pagine Facebook.

“L’Italiano è uno stile di vita”, questo uno degli slogan che i suoi fanno girare sui social, facendo a gara per indossare un cappellino, un paio di scarpe, una tshirt, un orologio. L’appartenenza si ostenta e si proclama. Anche sulle sdraio di alcuni lidi c’è il suo logo.

Spinge anche un altro marchio, “Italiano verace”, di proprietà della Italiano tenace. Prodotti enogastronomici di varia natura la cui etichetta è tutt’altro che trasparente. Si vendono anche in locali commerciali improbabili, fuori target rispetto al prodotto venduto.

italiano-verace-scu-1Capita di vedere gli espositori della “Italiano verace” in bar alla moda, dove i vasetti giacciono impolverati in un angolo, ma ben in vista, all’ingresso.

Sembrano più che un invito a consumarli un’insegna dell’appartenenza. Un marchio di fabbrica. O uno scaccia guai: il segno della protezione.

Il sito www.italianoverace.it punta molto sul concetto di “identità”, “stile 100% Italiano” (con la “I” maiuscola). Ma usa un linguaggio sempliciotto che non invoglierebbe all’acquisto neanche il consumatore più distratto e non fornisce alcuna informazione sui prodotti: non si sa dove siano confezionati (è indicato genericamente “zona industriale Surbo”) e da chi o con che cosa. Per l’olio, per esempio, non è indicata neanche la varietà di olive usate. Ma specifica che sono 100% Italiane e Salentine.

Post su Facebook dove Augustino Potenza pubblicizza la sua carta Italiano tenace
Post su Facebook dove Augustino Potenza pubblicizza la sua carta Italiano tenace

“Italiano tenace” marchia con il suo logo anche la carta di credito “Elektra”, una prepagata del circuito Mastercard.

Ma dopo l’inaugurazione del punto vendita in corso XX settembre, sparisce prontamente il negozio, l’insegna, la carta.

Potenza sembra fare tanto, velocemente e con la capacità di divincolarsi e mimetizzarsi all’ultimo minuto, poco prima che gli inquirenti lo colgano in fallo.

Tutto ciò che fa è controllato da anni e da più gruppi di inquirenti. Ma la sua operazione d’immagine viaggia su auto veloci difficili da prendere, che costano 140mila euro, arrivano dalla Germania e dalla Repubblica di San Marino ma non si sa con quali soldi siano state comprate. Sono in tanti a volerle. Perché su quelle macchine sono in tanti a volersi fare un giro. La sua è una fitta rete di amici, compari, fiancheggiatori, affiliati. Se sei dentro, stai da dio. Se sei fuori, sei finito.

 

 

IL SUO CURRICULUM CRIMINALE

La sua carriera criminale inizia da giovanissimo. Ha appena 23 anni quando nel 1997 e fino al 2000 racimola diverse denunce per associazione a delinquere finalizzata alla produzione e traffico di stupefacenti, porto d’armi abusivo, riciclaggio, illecita concorrenza e reati contro l’economia. Nel 2005 viene arrestato per l’omicidio, con finalità mafiose, dei coniugi Fernando D’Aquino e Barbara Toma avvenuto nel 1998. La custodia cautelare viene convertita in obbligo di soggiorno e sorveglianza speciale con vari divieti. Nel 2006 vengono sequestrati i beni per un valore di 150mila euro, e nel 2008 viene condannato per riciclaggio, ricettazione e spaccio di sostanze stupefacenti. Condannato in primo e secondo grado all’ergastolo per l’omicidio di Fernando D’Aquino e Barbara Toma, eseguito per finalità mafiose, la Cassazione annulla la sentenza di secondo grado. Il processo d’appello viene rifatto e viene assolto nel 2014 dalla Corte d’Appello di Taranto. Rimangono i piedi tutte le altre condanne. Viene ucciso il 26 ottobre con 18 colpi di kalashinov. Un’esecuzione avvenuta nel parcheggio del Centro commerciale più grande della Città, alle 18, all’ora in cui le famiglie fanno la spesa. Casarano e il basso Salento dovevano sapere che ora c’è un altro a comandare. 

 

 

LA RELAZIONE DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA

Casarano è un paese senza memoria. Come spesso capita in Italia e soprattutto al Sud.

Sul bene confiscato che fu del boss di Taurisano (Le) Giuseppe Scarlino (detto Pippi Calamita), in via Vittorio Emanuele, assegnato all’Ente Santa Cecilia (la parrocchia Padre Pio di don Tommaso, il celebre esorcista), nessuna targa ricorda che si tratta di un bene pubblico, tornato ad essere di proprietà pubblica grazie al lavoro dello Stato, delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Grazie a una legge, la legge La Torre-Rognoni, che porta il nome di chi fu ucciso per creare una norma che fosse un’arma contro la mafia. Grazie ad un finanziamento statale dell’allora Giunta presieduta da Nichi Vendola che incentivò il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati.

Casarano sembrava voler rimuovere e far finta di non sapere chi è l’Italiano. Così, mercoledì 26 ottobre alle 18, quei 18 colpi di kalashnikov con cui due uomini a bordo di una moto enduro e protetti da caschi bianchi hanno crivellato Augustino Potenza, nella sua fiammeggiante Audi6 dalla targa tedesca comprata con soldi non si sa ancora arrivati da dove, macchina su cui in tanti sono saliti e tanti ancora erano in fila per salire, quel mercoledì 26 ottobre, Casarano e tutto il Salento si sono svegliati di botto.

La mafia c’è ancora. Ma và…

La Direzione Nazionale Antimafia (DNA) nell’ultima relazione del marzo 2016, così scrive di Augustino Potenza: “Nel territorio confinante con Gallipoli, quello delle città di Matino e Parabita e in quello delle vicine Casarano, Taurisano, Ugento e Acquarica del Capo è risultata la perdurante operatività di un gruppo criminale capeggiato da Tommaso Montedoro e Augustino Potenza, che ha incrementato l’attività criminale a seguito della condizione di libertà nella quale è venuto a trovarsi Potenza. Libero è anche Marco Giannelli (figlio di Luigi, da sempre attivo nella zona di Parabita e Matino) al cui gruppo è riconosciuta una sorta di autonomia operativa dagli stessi Montedoro e Potenza (per il “rispetto” dovuto ad un esponente “storico” della sacra corona unita quale Luigi Giannelli)”.

 

 

IL CONSENSO SOCIALE

In più passaggi la DNA evidenzia il consenso sociale che riescono a registrare i clan storici ora passati alle nuove leve che, più dinamiche e imprenditoriali, agiscono non con logiche verticistiche ma collaborative e di rete: “La percezione del controllo del territorio da parte dei gruppi mafiosi determina, malgrado i risultati ottenuti nel contrasto a tali organizzazioni, un atteggiamento di complessiva omertà nella collettività e di scarsa collaborazione da parte di molte vittime di atti intimidatori e violenti.
Nel distretto di Lecce si colgono i segnali di un allarmante mutamento dei rapporti tra la società civile e la criminalità mafiosa, cui fa seguito una crescente sottovalutazione della pericolosità di tali organizzazioni che provoca una brusca caduta della riprovazione sociale nei confronti del fenomeno. Accade quindi che, non solo si abbassa o viene meno quella soglia di attenzione che fa sviluppare gli anticorpi necessari a tenere lontana da possibili rischi di contaminazione la società ma, purtroppo, si riscontra una richiesta dei “servizi” offerti dalle organizzazioni criminali o dai singoli associati”.

 

 

L’INFILTRAZIONE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La DNA sottolinea anche la diffusa strategia della scu di infiltrarsi nella pubblica amministrazione: “Con l’evidente scopo di accreditarsi quali interlocutori degli amministratori, accrescere il proprio prestigio sociale – e quindi il consenso che ne deriva – e trovare una via di inserimento nell’ambito delle attività imprenditoriali connesse a quelle della Pubblica Amministrazione”.

La parola “oblìo” viene usata solo una volta nella relazione di oltre 900 pagine della DNA, e viene usata in riferimento alla scu come precisa strategia di inabissamento per la creazione del consenso: “Gli eventuali contrasti fra i diversi gruppi della galassia “sacra corona unita” vengono tendenzialmente risolti in modo incruento, sia per effetto della consapevolezza che le manifestazioni eclatanti di contrasti sul territorio possono produrre l’effetto di far risvegliare la collettività sociale da quella sorta di “oblio” o sottovalutazione della pericolosità delle organizzazioni criminali che caratterizza l’attuale momento storico, sia per l’inesistenza, nell’attuale situazione, di gruppi talmente forti ed organizzati che possano aspirare, ove anche lo volessero, all’egemonia sugli altri”.

 

 

LA FINE DELLA PAX MAFIOSA

Ora qualcosa è cambiato. La pax mafiosa è stata interrotta e forse ci sono gruppi forti e organizzati che hanno ripristinato un equilibrio che Potenza, con le sue smanie espansionistiche, aveva compromesso. Saranno gli inquirenti a verificare quanto quest’omicidio funga da spartiacque nella ridefinizione dei rapporti tra i clan locali e nei rapporti tra scu, ‘ndrangheta e camorra, i cui interessi sono sempre più forti nel Salento, per il traino che il settore turistico fa al consumo di cocaina.

La DNA infatti non manca di sottolineare che il turismo è uno dei settori a maggior rischio di infiltrazioni mafiose: “Tali preoccupanti segnali devono essere colti e contrastati con un sinergico impegno della società civile e politica con la Magistratura e le Forze dell’ordine per invertire una tendenza che appare veramente preoccupante soprattutto nel momento storico attuale nel quale l’espansione turistica dell’intera Puglia ed il benessere che ne deriva potrebbe essere inquinata e frenata dai fenomeni criminali di cui si è parlato, con conseguenze disastrose per l’intera collettività”.

Anche perché, scrive la DNA, la povertà e la crisi, accrescono il rischio di consenso sociale: “Le indagini, rafforzate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, hanno appurato che il ruolo della criminalità organizzata risulta enfatizzato dalla crisi economica che ha aperto per le organizzazioni nuovi spazi di intervento. Ne deriva un pericolosissimo consenso sociale, un’accettazione e condivisione di logiche criminali e mafiose che legittimano i clan, abbassano la soglia di legalità e, soprattutto, consentono il riconoscimento di un loro ruolo nel regolare i rapporti nella società civile in una prospettiva della loro definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato”.

Definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato.

Questo voleva fare l’Italiano, voleva essere lui a comandare la vita politica e sociale, partendo dal sottomettere i casaranesi.

Ci è riuscito per diversi anni. Ma non è questo il problema. Il problema è che a causa della loro povertà, materiale e soprattutto morale, spesse frange della comunità casaranese e del Salento non vedono l’ora di aderire al modello “Italiano style”. Perché un intero pezzo di Salento ha perso la propria identità, perdendo la memoria.

C’è da vedere, ora, a quale nuovo padrone porteranno il loro “rispetto”.

Ma c’è anche da credere, vogliamo poter credere, che invece siano più numerose le cittadine e i cittadini che non si piegano. Che non attenderanno più di risvegliarsi dall’ “oblio” con il suono sordo di una sventagliata di kalashnikov per riconoscere il mafioso di turno. Anche se porta la giacca e la cravatta e indossa un’aura di rispettabilità per nascondere di essere sceso a patti con la mafia. Diventando mafia. Vogliamo poter credere che questa terra un giorno sarà bellissima.

Ecco perché il Tacco d’Italia è tornato.

 

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6 Thoughts to “Augustino Potenza, l’Italiano che inventò il marketing della mafia”

  1. In merito all’articolo, Spazio Aperto – Ente Santa Cecilia ed Ente Santa Cecilia Onlus – Formazione hanno necessità di puntualizzare alcuni passaggi: L’articolo de “Il Tacco d’Italia” del 03/11/2016 dal titolo “Augustino Potenza, l’Italiano che inventò il marketing della mafia” che interviene sui gravissimi episodi di criminalità organizzata che hanno portato Casarano alla ribalta dalla cronaca nazionale, ci obbliga a intervenire per chiarire in modo assoluto e trasparente la citazione di Santa Cecilia in un contesto che parla di illegalità e mafia.
    Spazio Aperto è un luogo sottratto alla criminalità per cui l’Ente Santa Cecilia – facendo rete con diversi partners – ha concorso con una propria idea progettuale in risposta all’Avviso Pubblico “Libera il Bene” approvato con D.D. n. 48 del 20/10/2009 – BURP n. 175/2009, aperto alle associazioni del terzo settore, risultandone vincitrice. Si è, dunque, fatta carico di organizzare le attività ed essere capofila di una rete di soggetti di cui fa parte anche il presidio locale di Libera. Detto questo, è facile confutare quanto detto nell’articolo della Mastrogiovanni rispetto alla “omertà” di nascondere il fatto che Spazio Aperto sia un luogo confiscato: basta leggere (cosa non scontata, ci viene da pensare) le targhette esterne e ben in vista! Nulla di tanto complicato!
    In secondo luogo, ci teniamo a chiarire che l’Ente di formazione professionale Santa Cecilia, prende le mosse dodici anni fa con un primo corso di formazione per Strumentista di Banda e qualificandosi come presidio culturale e sociale per i problemi delle periferie di Casarano, in seno alle attività della parrocchia “Ss. Giuseppe e Pio”. Dopo quel primo progetto, la Scuola, solo ed esclusivamente col proprio lavoro e col proprio impegno, è cresciuta molto, diventando un ente maturo, autonomo e del tutto svincolato da quella prima esperienza tranne che nell’attenzione verso il sociale e verso le fasce deboli della società.
    In tutta sincerità, non capiamo i motivi per cui siamo stati tirati in ballo nel citato articolo (cosa centra Spazio Aperto, l’Ente Santa Cecilia e l’esorcismo con un articolo di denuncia sulla mafia?), ma tant’è e siamo qui per mettere qualche tassello al proprio posto, forse artatamente spostato per aumentare il proprio audience?
    Gradiremmo una precisazione da parte dell’autrice, dopo aver rivisto con attenzione l’operato vero, anche perché, dall’articolo, viene leso l’impegno non solo di Spazio Aperto, ma anche dei partners progettuali, fra cui, in particolare, il Presidio di Libera.
    Abbiamo, a tal proposito, apprezzato molto l’intervento ufficiale del Presidio di Libera che ha sottolineato in un commento all’articolo citato l’impegno proprio di Santa Cecilia nella gestione di Spazio Aperto. Per noi è un riconoscimento che ci aggrada.
    Tanto era dovuto per blindare il lavoro e la serietà di tante professioni locali.

  2. Donato

    Ed anche voi della redazione..
    Perchè queste cose non le avete rese pubbliche prima della sua morte..
    Anche voi avevate paura o cosa?

  3. Antonio De Giorgi

    Cara Marilù, non ho parolle adatte per esprimerti tutta la mia stima. Il tuo giornalismo investigativo e indipendente è così raro in un contesto di subalternità e conformismo, troppo rispettoso per gli intrecci tra pubblica amministrazione, criminalità, potere e affari. I tuoi interrventi ci fanno capire come piccoli e grandi interessi mafiosi siano tra noi e intorno a noi,più di quanto una classe politica troppo incline ai compromessi voglia farci credere.
    Sei un esempio per tutti!!
    Antonio De Giorgi
    “Un vincitore è un sognatore che non smette mai di lottare”
    Nelson Mandela

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