La lupa che tesse. Sull’acquasantiera della cappella di San Paolo una sorpresa: il papavero giallo, che può avere effetti allucinogeni
di Tania Pagliara Ultimamente sto focalizzando la mia attenzione sulle acque dolci, in quanto la dea madre Japigia era legata ad esse. In questa serie di articoli tratterò i pozzi sacri in Salento, iniziando dal più illustre: il pozzo della cappella di San Paolo a Galatina. Per conoscere un po’ la sua storia vi rilascio un’intervista che mi ha concesso Raimondo Rodia, studioso di storia locale ed usi e costumi. -Qual è il tuo nome? -Raimondo Rodia -Il tuo lavoro? -Promotore del turismo salentino -Dove vivi? -A Galatina -Ci puoi parlare della cappella di San Paolo? -La cappella privata di palazzo Tondi-Vignola, costruita nel 1795 insieme al resto del palazzo, inglobò il pozzo miracoloso delle ultime guaritrici con lo sputo, le sorelle Farina, provenienti dalla stirpe che ha dato ospitalità nella propria casa a San Paolo, nel luogo dove oggi sorge cappella, pozzo e palazzo. Le due sorelle Farina, Francesca e Polissenna, sono immortalate nel quadro del 1796 di Francesco Saverio Lillo, posto sull’altare principale. -Conosci particolari rituali di guarigione o esorcismo legati all’acqua del pozzo? -L’acqua del pozzo si beve perché contiene la saliva di Francesca Farina, l’ultima guaritrice con lo sputo, che, essendo zitella, sul finire del XVII secolo sputò nel pozzo della propria casa, trasmettendo le proprietà terapeutiche ereditate da Saulo. Rimane ancora oggi in uso come tradizione avere dei nastrini colorati, le zagarelle, da legare al polso e l’accompagnamento di una musica ossessiva che induce ad una danza sfrenata intorno al pozzo, la cui acqua è considerata simbolo di purificazione. Le tarantate un tempo si recavano di buon’ora nella cappella e bevevano l’acqua, fino a quando il pozzo non è stato chiuso per ragioni igieniche. Quello che più mi ha colpito di quest’intervista è il racconto del rituale con lo sputo nell’acqua della guaritrice. Un rito simile lo troviamo nel Salento del nord, zona di Campi Salentina, ai piedi della serra sacra della Madonna dell’alto, in un piccolo villaggio rurale denominato Giuanneddhra, abbandonato negli anni ’60. Le funzioni religiose alla Giuanneddhra venivano svolte dalle donne, con il tacito consenso della chiesa che di contro ne favorì lo sfollamento. A battezzare erano le papesse con un rituale pagano cattolico: al nascituro veniva bagnato il capo con l’acqua dei pozzi sacri e lo sputo della papessa. Tale usanza la troviamo anche nei sincretismi pagano ortodossi della Lucania, fortunatamente osservati sul campo. In questo caso è il sacerdote ortodosso a battezzare con la ‘papessa’, il sacerdote impone l’acqua, la papessa lo sputo che serve ad esorcizzare il nascituro dagli spiriti maligni. Tutto ciò ci fa presumere l’esistenza di riti di adorcismo preistorici nell’area della Puglia e Basilicata, legati al culto della dea madre della palude, dove la sciamana, in preda a stadi alterati indotti da sostanze psicoattive, somministrava agli iniziati acqua sacra con lo ‘sputo’ guaritore, inducendo stati alterati in quanto la sostanza era presente nella sua saliva. Ad avvalorare questa tesi, troviamo inciso sull’acquasantiera della cappella di San Paolo a Galatina il glaucium flavum, papavero giallo, pianta che può avere effetti allucinogeni molto colorati, proprio come la coreografia del rito delle tarante.

La stessa grafia, del glaucium, la troviamo su una delle prime trozzelle messapiche, contenitori d’acqua legati a rituali femminili. Di questo vi parlerò piu’ approfonditamente in un altro articolo, per evitare che sia attribuito al rituale del dio ragno solo l’uso di una mistura psicoattiva.

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