Simone, trapianto a tre anni. Ora, ne ha cinque. Ed è ‘Felice’

//LA STORIA DELLA DOMENICA. “E tu la doneresti la felicità”? La campagna nazionale per la donazione degli organi, nata a Lecce. Come Simone, testimonial. Per davvero

di Simona Palese È partita dal Salento la campagna “E tu la doneresti la felicità?”, che attraverso un video e una pagina Facebook è riuscita a catalizzare sul tema della donazione degli organi e dei tessuti migliaia di visualizzazioni e condivisioni in tutta Italia. L’occasione era quel 31 maggio giornata nazionale della donazione, ma dietro questa semplice sintesi di agenzia c’è molto di più. Come nell’atto di riavvolgere il nastro, o ancor di più in quello di sbirciare dietro il sipario chiuso di fine spettacolo, voglio provare a raccontare la storia che ha dato vita a questa esperienza. E voglio dirlo subito, per onestà verso chi legge me e questo giornale, che ho collaborato alla campagna nella realizzazione dell’idea e nella parte social. Ed è proprio per questo che voglio mettere a disposizione di tutti questo sguardo privilegiato, questo posto in prima fila che è stato donato a me, a grado18, a Smart Sequences, e a Ordine Creativo. Già, perché la prima felicità che è stata donata in questo percorso, è quella arrivata a chi si è potuto occupare direttamente della realizzazione di un piccolo grande miracolo. Ma iniziamo dall’inizio. Simone, come dice lui stesso nel video, ha cinque anni. Lo vedi e capisci subito che è un monello di quelli belli. L’argento vivo addosso e la battuta sempre pronta. La dolcezza improvvisa in uno sguardo a mamma Antonella, con la quale ha un legame tutto speciale. Simone a tre anni e mezzo ha avuto in dono un fegato nuovo, di cui aveva assoluto bisogno per poter vivere. Questa è la storia di un bambino di Lecce che chiama “casa” almeno due città: la sua e Palermo, quella che gli ha dato la seconda vita e che periodicamente frequenta per i controlli. È la storia di una famiglia giovane, che per affrontare un momento così delicato e importante ha fortemente voluto rimanere a sud, e che oggi partendo da questo sud ha deciso di raccontare la propria storia che è la storia di tantissimi altri. È stata proprio della mamma di Simone l’idea di raccontare la donazione degli organi non più con la cornice unica del dolore, della morte di qualcuno, della sofferenza culturale e a volte intima del dire quel “Sì”, che significa “doniamo gli organi di mia figlia” o “di mio marito”, o “di mia madre”. È stata la mamma di Simone a pronunciare una parola che in contesti come questo ha un potere deflagrante: FELICITA’. Già, l’idea era proprio quella di raccontare il lato della medaglia che contiene la vita, la vitalità, l’energia, la normalità di un bambino a cui è stato donato ben più di un organo, ben più di una seconda possibilità. Siamo stati a casa di Simone, e a tutti i costi ci ha voluto far vedere come si traveste da Batman. Poi ci ha portati al parco in bici, alle giostre, al mare. E tu davvero fai fatica a stargli dietro, ma anche a immaginartelo come un bambino che ha subìto il primo intervento a due mesi di vita. Fai fatica a pensare ai test dei suoi genitori che scoprono di non potergli donare un po’ del proprio fegato (eh sì, esiste un enorme mondo sulle donazioni in vita), fai fatica a immaginarti quei diciassette mesi di attesa e fai fatica a guardare Simone e a vedere la sua fragilità. “Io ho il fegato di un altro, sai?”, e sorride. Mi viene il dubbio che sia molto più consapevole di me di quanto una frase del genere sia potente nel mondo di chi il fegato di un altro non ce l’ha.

Ha una sua ironia e anche una sua autoironia, questo scricciolo di cinque anni. Uno scricciolo forte, che evidentemente come in un fluire magico di forza ed energie che passano tra i genitori e un figlio, si ricarica tramite mamma e papà e allo stesso tempo è lui che ricarica loro. Un uomo e una donna tenaci, liberi, che durante l’attesa del trapianto hanno fatto in modo che la vita del loro bambino fosse il più possibile normale, sostenendolo nelle difficoltà che non sono solo di salute, ma anche nei confronti degli altri bambini che in qualche modo un po’ di fatica la fanno a giocare con questo “bimbo un po’ giallino”. Sono stati proprio loro a scegliere, con grande determinazione, l’ISMETT di Palermo come luogo a cui affidare tutte le proprie speranze e preghiere. Una Palermo che somiglia alle altre città del sud che conoscono bene, che ricorda Bari per la determinazione e l’orgoglio della gente, Lecce per la sua eleganza barocca. Una Palermo in cui hanno trovato una nuova famiglia, fatta del personale medico e degli assistenti, ma anche di tutte le altre famiglie che per mesi condividono spazi, nottate insonni, paure, informazioni, sostegno tra fuori-sede.

Il piccolo Simone davanti al centro trapianti ISMETT È stata proprio questa Rete, qui intesa non solo in senso “internettiano” ma anche come “sistema di sicurezza contro ogni caduta”, a emozionarsi, riconoscersi, condividere e sostenere la campagna nata dal Salento. Quella in cui Simone ci interroga sul senso profondo della donazione. Con la sua semplicità, col suo sorriso e con la sua storia. Non è un caso allora che questo video contenga immagini di quotidianità semplice, quelle che ritroviamo nelle nostre case che quando siamo fortunati sono piene delle risate dei bimbi, dei loro giochi, del loro riempire ogni spazio con parole nuove e domande che non finiscono mai. “E tu la doneresti la felicità?”, chiede Simone. E ti guarda in un modo che… come fai a dirgli di no?

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