Confisca dei beni. L’Europa tentenna

L’atteggiamento contraddittorio di Bruxelles: la direttiva 2014/42/UE prevede la confisca sui patrimoni intestati ai prestanome ma la subordina all’avvenuta condanna penale. Come dire: un passo avanti e due indietro

“Ce lo chiede L’Europa” è una frase alla quale gli ultimi governi sono più volte ricorsi per giustificare alcune scelte impopolari, soprattutto in ambito economico. È accaduto, ad esempio, con l’approvazione dei trattati del Fiscal Compact e del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) o con l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. Sui primi due, molti Paesi europei, compresa l’Italia, si sono addirittura pedissequamente piegati ai diktat di Bruxelles. Peccato però che su alcuni ambiti il nostro Paese non dimostri così tanta solerzia nel recepimento della normativa europea. Ed è ancor più grave che ciò accada su una tematica di estrema rilevanza come quella dell’aggressione ai patrimoni mafiosi. Entro il 28 novembre 2008 avremmo dovuto recepire la decisione quadro 2006/783 del Consiglio Giustizia/Affari Interni dell’Unione Europea, che prevedeva il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca tramite rapporto diretto tra le autorità giudiziarie. Abbiamo un ritardo di cinque anni. E ancor più incomprensibile è il mancato recepimento della decisione quadro 2003/577 dello stesso Consiglio, con la quale si stabilivano le regole per il riconoscimento e l’esecuzione sul proprio territorio da parte di uno Stato membro di un provvedimento di sequestro emesso dall’autorità giudiziaria di un altro stato membro. Il ritardo, in questo caso, è ancora più cospicuo: otto anni. In un contesto storico in cui le mafie hanno interessi sempre più globali è ormai matura la consapevolezza che è necessario un contrasto sovranazionale del fenomeno, nonostante i clan decidano ancora le proprie strategie nei piccoli e sperduti centri di provincia. A questa presa di coscienza non corrisponde però, anche per colpa di Bruxelles, un’unità d’intenti tra stati membri ed Unione Europea. Se da un lato l’Italia continua ad accumulare ritardi nell’aggiornare il proprio ordinamento alle prescrizioni europee, dall’altro anche Bruxelles non appare molto disponibile ad ascoltare le indicazioni degli Stati nazionali, oppure fa finta di ascoltarle per poi puntualmente disattenderle. Il motivo del contendere è semplice: è giusto procedere alla confisca di beni senza che vi sia una preventiva condanna penale? Una simile decisione può considerarsi lesiva dei diritti fondamentali dell’uomo? Se si analizza la questione in un’ottica internazionale ci rendiamo conto che le misure di prevenzione patrimoniale presenti in Italia rientrano nell’ambito della confisca in assenza di condanna penale. In questo non solo siamo in buona compagnia (Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Australia, Bulgaria, Slovenia), ma a darci ragione è anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo che, chiamata più volte in causa, ha ritenuto la confisca senza condanna penale come misura del tutto proporzionata rispetto allo scopo che si vuole perseguire, cioè quello di combattere le mafie. Ma qual è la posizione dell’Unione Europea? Potremmo, forse, definirla molto simile a quella di chi nasconde la mano dopo aver lanciato il sasso. Basta analizzare gli ultimi tre anni. Dopo le due risoluzioni approvate nel 2011 e nel 2013, che sembravano indicare la volontà di ispirarsi al modello italiano della confisca preventiva, lo scorso 25 febbraio il Parlamento di Bruxelles ha fatto un clamoroso passo indietro, votando la direttiva europea 2014/42/UE che, da una parte prevede la confisca sui patrimoni intestati ai prestanome e la destinazione a scopi di utilità sociale degli stessi, ma dall’altra condiziona, sostanzialmente, qualsiasi provvedimento di confisca all’avvenuta condanna penale. Tale direttiva è stata recentemente definita dalla Commissione Antimafia come “un apprezzabile ma timido passo in avanti, ancora lontano da quella sponda ideale che è necessaria per aggredire il potenziale economico–finanziario delle mafie a livello europeo”. La sfida del futuro sembra, quindi, essere quella di europeizzare la percezione del fenomeno mafioso, cercando di far comprendere che le mafie ormai rappresentano un rischio per qualsiasi cittadino europeo. Anche in quest’ottica dovrebbe essere visto il semestre di presidenza europeo dell’Italia, che partirà dal prossimo 1 luglio. “In questa delicata e strategica azione di sensibilizzazione sulle mafie – afferma la Commissione presieduta da Rosy Bindi – l’Italia deve fare perno non solo sulla consolidata esperienza di lotta alle più efferate organizzazioni criminali, ma anche sulla propria credibilità con riguardo agli impegni assunti nei confronti dell’Unione nello specifico settore dei sequestri e delle confische”. Ma, essendo in ritardo nel recepimento di alcuni importanti norme europee, possiamo presentarci in Europa come paladini dell’Antimafia? Qui una mappa dei beni confiscati nel Salento Articoli correlati: Beni confiscati. La lotta di Trepuzzi per la legalità Gestire i beni confiscati. Al via il corso

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