Beni confiscati. L’agenzia per la gestione c’è, ma non si vede

Almeno tre le ragioni che impediscono all’Agenzia nazionale di funzionare: la dislocazione territoriale, l’insufficienza della pianta organica, l’assenza di un database previsto già nel settembre 2012

Le somme sono state liquidate, parte dall’Europa e parte dall’Italia, ma il programma non è partito, con il risultato che i dati su cui si lavora non sono aggiornati ed a ritardo si aggiunge ritardo. Il danno è sempre per gli utenti finali, i cittadini, che potrebbero usufruire di servizi ma non lo fanno, e che vedono di fatto vanificare ogni sforzo economico compiuto: i fondi stanziati sono pubblici, quindi appartengono anche a loro. Il copione sembra quello letto e riletto tante volte, in Italia, con tempi e programmi che vengono puntualmente disattesi. Non fa eccezione il delicato settore della gestione dei beni confiscati alle mafie. L’iter è spesso lungo e tortuoso: il bene viene strappato alla criminalità organizzata ed acquisito dal Comune, che poi lo assegna ad una associazione, un ente, una organizzazione (anche a se stesso) per fini sociali. Così nel bene un tempo di proprietà della mafia, magari acquistato con soldi di provenienza illecita, vengono realizzati centri sociali, strutture di soccorso ed assistenza, uffici di pubblica utilità. Ma non da un giorno all’altro. Prima che tutti i passaggi necessari all’assegnazione siano stati compiuti, possono passare anche decine d’anni. Ad occuparsene è stata istituita, nel 2010, l’Agenzia Nazionale per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle mafie. Ma, a distanza di quattro anni dalla sua nascita, quest’organismo non è mai di fatto divenuto operativo. E infatti, nella Relazione redatta dalla Commissione parlamentare Antimafia, sulle “prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, si legge: “Per la creazione di una propria infrastruttura informatica sono stati stanziati, all’interno del PON Sicurezza, 7.263.600 euro, di cui 4.300.174 dall’Unione Europea e 2.963.426 dallo Stato italiano. Dal sito ‘Opencoesione’ del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica risultano già liquidate somme per 6.059.680 euro, pari all’83% del totale, ma il programma, che doveva essere ultimato nel settembre 2012, non risulta ancora operativo, costringendo l’Agenzia Nazionale per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle mafie ad avere come riferimento il database dell’Agenzia del Demanio, che dal 2003 al 2007 ha avuto competenza in materia”. Il documento è frutto di un approfondito ciclo di audizioni e fornisce una fotografia nitida del precario stato di salute in cui versa l’Agenzia Nazionale. Almeno tre le ragioni che le impediscono di “decollare”: non solo la dislocazione territoriale (attualmente ha sede a Reggio Calabria ma si propone lo spostamento a Roma) o l’insufficienza della pianta organica, ma anche la mancata realizzazione di un proprio database che avrebbe dovuto vedere la luce già nel settembre 2012. “Nei documenti consegnati durante le audizioni – si legge nel rapporto della Commissione – non è stato reso noto il motivo del ritardo, se non con un generico riferimento alla complessità del lavoro da svolgere”. A fare da ciambella di salvataggio, almeno sui numeri, è la relazione consegnata dal Ministero della Giustizia al Parlamento lo scorso 3 dicembre. I dati prodotti dal Dicastero di via Arenula sono un’ulteriore dimostrazione di come l’Agenzia Nazionale non abbia contribuito, dopo la nomina di due commissari straordinari nel 2001 e nel 2007 e l’esperienza dell’Agenzia del Demanio, a semplificare e velocizzare l’iter di assegnazione dei beni illeciti confiscati. Sembra anzi che dall’istituzione dell’Agenzia, le confische/assegnazioni si siano ridotte drasticamente e siano diventate ancora più lenti. Nel periodo 30 settembre 2012 – 30 settembre 2013, infatti, il numero dei nuovi procedimenti iscritti si è dimezzato rispetto al 2011-2012 (305 invece di 682). Incredibile è che su 113.753 beni inseriti nella banca dati del Ministero della Giustizia, solo 41.451 risultino confiscati e di questi solo 4.847 destinati ad utilità sociale. Inoltre, a guardar bene, dei 4.847 beni destinati, ben 3.480 sono stati assegnati fino al 2008, ovvero molto prima che l’Agenzia Nazionale venisse istituita. Addirittura dal 2010, anno della sua nascita, al 2013 le confische con destinazione sono calate da 395 a 162. Nel 2009, erano state 629. La Legge Rognoni – La Torre del 1982 ha rappresentato un importante spartiacque nella definizione della normativa che attualmente disciplina il sequestro e la confisca dei beni mafiosi, così come la legge n. 106 del 1996 rappresenta una pietra miliare nella destinazione sociale dei beni confiscati alle mafie, ma l’impianto, nel suo complesso, risulta tuttora, fortemente disorganico e carente. “Per colpire i patrimoni della criminalità organizzata – si legge ancora nella relazione della Commissione Antimafia – occorre articolare all’interno di una visione unitaria la fase dell’individuazione, sequestro e confisca delle ricchezze mafiose e quella che dovrebbe disciplinarne la loro destinazione ed il riutilizzo a vantaggio della collettività”. Da qui la proposta che “l’Agenzia abbia competenza esclusiva per la destinazione dei beni definitivamente confiscati, limitandosi a coadiuvare l’amministrazione giudiziaria e il giudice delegato durante le fasi precedenti, a partire dal sequestro” e che “la gestione dei beni sequestrati, in sede penale, sia dello stesso giudice monocratico che ha disposto il sequestro”, al fine di evitare che più autorità giudiziarie (gip, Tribunale, Corte d’Appello) si occupino del medesimo bene, rallentandone la sua assegnazione a favore di enti locali o cooperative. Il tema resta spinoso. Così è avvertito anche dal territorio, dove il bene ha sede, e, naturalmente dai diretti interessati, i gruppi criminali. “Non c’è cosa più brutta della confisca dei beni, quindi la cosa migliore è quella di andarsene”, diceva agli inizi degli anni ‘80 il boss palermitano Francesco Inzerillo, costretto poi a fuggire dalla Sicilia per sottrarsi, invece, alla mattanza dei corleonesi, durante la seconda guerra di mafia dei primi anni Ottanta. Le sue parole testimoniano quanto la confisca dei beni, fin da subito, sia stata vista dai boss come una vera “iattura”, al punto da considerare come prospettive migliori la galera o addirittura l’essere ammazzati. I tempi dell’Agenzia Nazionale erano però ancora molto lontani. Eppure, a distanza di 30 anni, le cose non sembrano cambiate poi tanto. Qui una mappa dei beni confiscati nel Salento Articoli correlati: Beni confiscati. La lotta di Trepuzzi per la legalità Gestire i beni confiscati. Al via il corso

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