Ddl Delitti ambientali. Scalia: ‘Troppo tardi’

Roma. Lo storico fondatore di Legambiente commenta l’approvazione, alla Camera, della proposta di legge che introduce il capitolo dei delitti contro l'ambiente

ROMA – Quando lo scorso 2 dicembre lo intervistammo in merito alla desecretazione delle “clamorose” dichiarazioni sul traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti dell’ex boss dei Casalesi Carmine Schiavone, Massimo Scalia, fondatore di Legambiente e padre dell’ambientalismo scientifico in Italia, ci disse chiaramente che qualsiasi tentativo legislativo di inserire i “delitti contro l’ambiente” nel codice penale “rappresentava ormai una battaglia persa”. Una battaglia che perdemmo nel 1997, anno in cui si tenne la famosa audizione, davanti alla Commissione d’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti presieduta dallo stesso Scalia, del boss Schiavone. In questi giorni, dopo quindici anni di tentativi miseramente falliti, è stata finalmente approvata alla Camera dei Deputati la Proposta di Legge Micillo (M5S) – Realacci (PD) – Pellegrino (SEL) che intende introdurre nel codice penale il nuovo capitolo dei “Delitti contro l’ambiente”, prevedendo quattro nuove fattispecie di reato: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico di materiale radioattivo e impedimento del controllo. Nello specifico, la Proposta di Legge, che passerà ora all’esame del Senato, prevede pene da 2 a 6 anni di carcere e una multa da 10mila a 100mila euro per il reato di inquinamento ambientale e pene detentive da 5 a 15 anni per quello di disastro ambientale, con aumenti delle stesse qualora i reati siano compiuti in aree vincolate o a danno di specie protette. Sul reato di traffico ed abbandono di materiali ad alta radioattività sono invece previste pene detentive da 2 a 6 anni e multe da 10mila a 50mila euro, con aumenti della pena di un terzo quando si verifica la compromissione o il deterioramento dell’ambiente e fino alla metà in caso di pericolo per la vita e l’incolumità delle persone. Importante sarebbe la norma che obbliga l’inquinatore, in caso di condanna o patteggiamento per uno dei nuovi delitti ambientali, al ripristino dello stato dei luoghi e all’onere delle relative spese, sulla base del sacrosanto principio di “chi inquina paga”, se non fosse che all’interno della legge “Destinazione Italia” si riconosce agli inquinatori la possibilità di accedere agli Accordi di Programma e quindi al finanziamento pubblico per gli interventi di bonifica e riconversione industriale dei siti, purché i fatti che hanno causato la contaminazione degli stessi siano antecedenti al 30 aprile 2007. Abbiamo voluto capire la “portata” e l’efficacia della Proposta di Legge Micillo – Realacci – Pellegrino chiedendo una opinione a Massimo Scalia. Lo scorso dicembre ad una mia domanda sull'inerzia quasi ventennale del Parlamento in merito alla necessaria e veloce approvazione di un disegno o proposta di legge che introducesse i “delitti ambientali” nel Codice Penale Lei affermò testualmente che “questa è una battaglia che abbiamo già perso nel 1997”. Adesso arriva, con clamoroso ritardo, l'approvazione alla Camera dei Deputati di una proposta di legge che introduce quattro nuove fattispecie di reato: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico di materiale radioattivo e impedimento del controllo. In attesa del suo passaggio in Senato come giudica nel complesso l'impianto della Proposta di Legge? “La proposta di legge colma con grande ritardo una grave mancanza. Certo, all'epoca ci battemmo fortemente per un progetto di questo tipo, forse anche più ambizioso, ma prima l'opposizione dell'allora Ministro della Giustizia, Flick e in seguito la malaugurata scelta di far discutere le proposte di legge parlamentare in sede congiunta dalle Commissioni Ambiente e Giustizia del Senato seppellirono nel 2001 il nostro reiterato tentativo. Poi fu notte, se non per quell'unica previsione introdotta per il traffico illecito di rifiuti pericolosi. Ho imparato nel corso degli anni che molto spesso il meglio è nemico del bene, quindi guardo con favore all'attuale proposta di legge, anche se arriviamo, come volte accade, a danno già fatto”. La proposta di legge prevede nello specifico pene da 2 a 6 anni di carcere e una multa da 10mila a 100mila euro per il reato di inquinamento ambientale e pene detentive da 5 a 15 anni per quello di disastro ambientale, con aumenti delle stesse qualora i reati siano compiuti in aree vincolate o a danno di specie protette, ma lascia però forse trasparire nel merito una certa vaghezza nella definizione degli eventi su cui poi dovrebbero essere provati i delitti in sede giudiziaria. Mi riferisco ad esempio alla definizione di disastro ambientale considerato come “alterazione irreversibile dell'equilibrio dell'ecosistema o alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente complessa sotto il profilo tecnico o particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali”. Non ritiene che su questo punto il legislatore debba, come dire, essere più “preciso”? “A proposito del ‘disastro ambientale’, fu invocato in maniera vincente inizialmente dal sostituto procuratore di La Spezia Silvio Franz, se mal non ricordo, nelle indagini da lui svolte sui traffici illeciti di rifiuti in terra ligure. Sicuramente, con l'approvazione di un reato specifico, secondo il testo che lei riporta, se ne avvantaggerebbero le indagini giudiziarie. Infatti, altra lezione della mia esperienza legislativa è che tanto più si cerca di essere stringenti nelle definizioni in campo ambientale, tanto più si aprono varchi ai dubbi di interpretazione e alla furbizia criminale degli inquinatori. Un esempio per tutti è l'ultradecennale tentativo di introdurre modifiche all'art. 9 della Costituzione per renderlo più adeguato alla difesa dell'ambiente (in esso infatti si parla solo di difesa del paesaggio). Giuristi e ambientalisti si sono cimentati con varie proposte, che però non sono mai diventate vera azione di modifica della Costituzione perché ogni volta ci si rendeva conto che le definizioni ‘più stringenti’ finivano per ottenere l'effetto opposto e perché nel corso degli anni era stata la stessa azione della Corte Costituzionale ad applicare in modo molto più estensivo quel precetto di tutela del paesaggio, creando giurisprudenza utile ai fini più generali che volevamo perseguire. Credo invece si debba verificare, secondo me, se le pene edittali previste nell'attuale proposta di legge siano tali da consentire l'applicazione dei più efficaci strumenti di indagine, a partire dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, che non sono consentiti per reati punibili con pene al di sotto di una certa entità. Questa è un'importante questione tecnica, che demando però volentieri a chi è più competente di me”. Articolo correlato: Scalia, Schiavone non è la fonte della verità

Leave a Comment