‘Ricorreremo in cassazione’, sul caso Masi parla il suo legale

 

Roma. Una vicenda giudiziaria dai contorni poco netti, intervista all’avvocato Giorgio Carta, difensore del maresciallo Saverio Masi capo scorta a Palermo

Di Salvatore Ventruto Roma. “Ricorreremo in Cassazione per far assolvere Masi anche dai due reati per i quali è stata confermata la condanna: il falso materiale e la tentata truffa”. È determinato, al telefono, l’Avvocato Giorgio Carta difensore del Maresciallo Saverio Masi. Lo scorso 8 ottobre, Masi è stato assolto dalla Corte d’appello di Palermo per il reato di falso ideologico, ma non per quelli di falso materiale e tentata truffa, per i quali la condanna, seppur con pena sospesa, è scesa da otto a sei mesi. I fatti. Nel 2008 Saverio Masi durante un’operazione di polizia condotta con la propria vettura viene multato. All’arrivo della contravvenzione Masi scrive alla Prefettura una relazione nella quale dichiara di essere stato multato durante il servizio. Alla relazione allega una lettera di accompagno di un suo più alto grado che, causa assenza di quest’ultimo, viene firmata da Masi con l’aggiunta della dicitura ““Assente per Servizio” per il suo superiore. “Era prassi usare le macchine di amici perché i mafiosi conoscevano le nostre auto di servizio” disse Masi, ma alcune settimane dopo il suo superiore non confermerà quanto da lui dichiarato ed invierà alla Procura competente un avviso di notizia di reato che porterà al rinvio a giudizio di Masi e alla sua condanna in primo grado ad otto mesi di reclusione (pena sospesa) per i reati di falso materiale, falso ideologico e truffa ai danni dello Stato. Secondo i giudici il Maresciallo Masi per farsi togliere la multa di 106 euro comminatagli mentre era alla guida della sua autovettura aveva falsamente dichiarato di essere stato quel giorno in servizio. Sembrerebbe una normale storia processuale con al centro una presunta leggerezza di un Pubblico Ufficiale se non fosse che Masi oltre ad essere l’attuale capo scorta del PM Nino Di Matteo, impegnato a Palermo nel delicatissimo processo sulla trattativa Stato – Mafia, è anche colui che lo scorso maggio ha presentato presso la Procura del capoluogo siciliano, assieme all’ex collega Salvatore Fiducia, un esposto nel quale accusa i suoi superiori di aver ostacolato dal 2001 al 2008 la cattura del boss Bernardo Provenzano e dell’attuale reggente di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. “Provenzano è stato catturato nel 2006, ma secondo quanto riferito dal Maresciallo Masi ciò sarebbe potuto avvenire cinque anni prima – afferma l’avvocato Carta. Sono almeno cinque –aggiunge- i carabinieri che finora hanno denunciato strani comportamenti dei propri superiori nella conduzione delle indagini di natura mafiosa”. Omissioni, depistaggi, “distrazioni” ( come quella del 2001 in cui il Ros dimentica gli attrezzi con i quali si sarebbe dovuto forzare il casolare di Provenzano per piazzare delle cimici), che avrebbero condizionato la lotta alla mafia negli ultimi venti anni e che sarebbero il frutto di quella trattativa, avvenuta nel 1992-1993, che vede tra gli imputati nel processo in corso a Palermo i boss Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, gli ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino e Marcello Dell’Utri. “Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano, non vuoi capirlo?” avrebbe detto un giorno uno dei superiori, rimproverando Masi per il troppo impegno profuso nella cattura dell’ex super latitante. “Quello che dice Masi – precisa l’Avvocato Carta – è oggetto di accertamento, ma è facilmente intuibile che, se la trattativa c’è stata e comprendeva l’impegno a non disturbarsi a vicenda, è evidente che scendendo progressivamente nei gradi e nelle funzioni ciò doveva concretizzarsi o in un immobilismo forzato o addirittura nel fermare chi non sapendo di quest’accordo continuava a fare onestamente il proprio lavoro”. Da pochi giorni sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’Appello di Palermo ha assolto Masi per il reato di falso ideologico e ridotto da 8 a 6 mesi la condanna per i reati di falso materiale e tentata truffa. Una vicenda che continua a non occupare sulla stampa nazionale lo spazio che meriterebbe, nonostante rischi di indebolire una delle figure chiave del processo sulla Trattativa Stato-Mafia come quella del Maresciallo Masi. Abbiamo voluto capirne di più intervistando Giorgio Carta che, assieme a Sandro Grimaldi, si occupa della difesa del Maresciallo Masi, da pochi giorni iscritto nel registro degli indagati a seguito della denuncia per calunnia e diffamazione presentata dai suoi superiori. Rischia l’espulsione dall’arma. Lo scorso 8 ottobre la Corte d’Appello di Palermo ha modificato la sentenza di condanna di primo grado, riducendola da 8 a 6 mesi ( pena sospesa) per il Maresciallo Masi. In che misura questa condanna contribuisce ad indebolire una figura chiave come quella di Masi nel processo sulla trattativa Stato-Mafia in corso a Palermo? Rispetto alla sentenza di primo grado, la Corte d’Appello ha assolto il Maresciallo Masi per il reato di falso ideologico, confermando quelli di falso materiale e di tentata truffa. Questo è un aspetto fondamentale perché togliendo il falso ideologico la Corte ha effettivamente accertato che quel giorno Masi era effettivamente in servizio e che quindi il problema è esclusivamente limitato al fatto che secondo i giudici Masi avrebbe messo la firma di un’altra persona per dichiarare il vero. In pratica il Maresciallo avrebbe secondo i giudici falsificato solo la firma mentre quello che dichiarò nel documento corrisponde a verità. È chiaro che sul piano formale è sempre una condanna penale, peraltro sospesa, però in modo sostanziale la Corte ha riconosciuto che lui con quel documento non ha mai detto il falso e cioè che quel giorno era in servizio. Vorrei però un attimo ampliare il discorso. Il fatto che un Pubblico Ufficiale sia costretto a prendere la propria macchina per svolgere il proprio lavoro è forse anche conseguenza degli scarsi mezzi che vengono impiegati nella lotta alla Mafia. Non ritiene che tutto ciò sia almeno in parte voluto? Sulla attuale inadeguatezza degli strumenti di repressione del crimine non c’è dubbio. Lei deve pensare che per la missione in Afghanistan ogni giorno noi spendiamo 1 milione e 600 mila euro. Allo stesso tempo la Polizia in Italia non ha talvolta i soldi per mettere la benzina nelle auto di servizio, spesso non hanno delle macchine funzionanti e i militari devono fare le indagini con mezzi propri. Tuttavia è anche vero che nel caso della lotta alla Mafia l’utilizzo della macchina privata non ha ragioni prettamente economiche, ma rappresenta una vera e propria strategia per evitare di essere facilmente riconoscibili. Il Maresciallo Masi ha parlato di atti ed omissioni compiuti dai suoi superiori durante le indagini per la cattura dell’ex boss Bernardo Provenzano e del latitante e attuale capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro….. Non solo lui ma anche il Maresciallo Salvatore Fiducia e altri tre carabinieri con i quali ho parlato, ma di cui non posso rivelare il nome. Sono almeno cinque i carabinieri che hanno denunciano strani comportamenti dei propri superiori nella conduzione e gestione delle indagini di natura mafiosa. Masi ha fatto riferimento nel suo esposto a frasi ben precise pronunciate dai suoi superiori come “ noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano, non vuoi capirlo?” Non ritiene che episodi come questo possano essere diretta conseguenza di quella trattativa che sarebbe poi sfociata in un momento non ben identificato del biennio 1993-94 nell’ accordo tra le Istituzioni e Cosa Nostra? Io non ho una visione così ampia della questione così come può averla la Procura di Palermo, ma è sicuramente facile intuire che se la trattativa c’è stata e comprendeva l’impegno a non disturbarsi a vicenda è evidente che scendendo progressivamente nei gradi e nelle funzioni ciò doveva concretizzarsi o in un immobilismo forzato o addirittura nel fermare chi non sapendo di quest’accordo continuava a fare onestamente il proprio lavoro. Quello che dice Masi è oggetto di accertamento. Io posso solo dire che in base a quanto afferma il mio assistito questa potrebbe essere la dinamica. Del resto se a monte c’è una trattativa è chiaro che a valle ci deve essere una condotta che di fatto ostacola la ricerca dei latitanti. Altro modo non ci sarebbe di garantire l’accordo, no? Provenzano è stato catturato nel 2006, ma a quanto riferito da Masi sarebbe potuto avvenire ben cinque anni prima. E poi fu preso non più dai Carabinieri, ma dalla Polizia Di Stato. Proviamo un attimo ad analizzare le reazioni dell’Arma dei Carabinieri di fronte alle affermazioni del Maresciallo Masi. Come accade il più delle volte quando qualcuno all’interno delle Forze Armate, in questo caso appunto i Carabinieri, denuncia fatti, situazioni e condotte poco trasparenti, le manifestazioni di solidarietà si contano sulle dita di una mano. Non crede che considerare più importante il rispetto per i superiori invece che quello per i principi e valori della Repubblica Italiana e i cittadini sia per l’Arma piuttosto avvilente? Io della lotta alla poca trasparenza ne ho fatto una ragione di vita e, obiettivamente, si fa sempre più fatica a capire da che parte stiano le Istituzioni. Non mi riferisco solo all’Arma ma anche a tutti gli organismi istituzionali di repressione del crimine. Mi rendo conto che fin troppo spesso si creano situazioni di conflitto tra il singolo Carabiniere che vuol fare il proprio lavoro e altri che invece, non necessariamente per convenienza, ma per allineamento con un orientamento proveniente dall’alto non lo consentono. Ogni caso comunque è una storia a sé e ve ne sono alcune sulle quali è un po’ più difficile di altre fare chiarezza. Su questo non c’è dubbio. Il Maresciallo Masi è ancora il capo della scorta del PM Nino Di Matteo? Assolutamente si. Il Dottor Di Matteo ha fatto un atto molto coraggioso e significativo nel tenerlo comunque al suo fianco. Ho motivo di credere che l’abbia fatto anche per dare un segnale a qualcuno. Cosa pensa in questo momento il Maresciallo Masi delle Istituzioni? Per lui sono sempre di più un valore, ancora di più in questo momento. Contro ogni previsione, si sta creando in tutta Italia una folta schiera di cittadini che sta seguendo la vicenda nonostante la stampa ufficiale, a differenza della rete, non ne parli. Poi le azioni di disturbo non mancano. Io stesso mi sono beccato una querela per diffamazione e i giornalisti che ne hanno parlato si sono beccati una querela per diffamazione solo per aver portato a conoscenza dell’opinione pubblica il caso del Maresciallo Masi. Sono modalità che nei confronti di chi non è particolarmente determinato indurrebbero alla resa, ma Masi oggi ancor più di prima crede nello Stato e nella necessità di proseguire la sua battaglia. Il processo a Saverio Masi si sovrappone quindi a quello sulla trattativa Stato-Mafia, la cui prossima udienza sarà il 23 gennaio. E mentre continua pressoché indisturbata la latitanza di Matteo Messina Denaro (per quanto durerà ancora?) non si possono non notare le redivive minacce e intimidazioni di Riina dal carcere. È stato un vero e proprio fiume in piena in queste ultime settimane il capo dei capi. Sul PM Nino Di Matteo (“Di Matteo deve morire”), sulla trattativa ( “sono stati i Ros a cercarmi nel 1992”), sulle circostanze che hanno portato alla sua cattura (“sono stato venduto”). “I boss in Sicilia o muoiono o si vendono” confidò alcuni anni fa al Tenente dei Carabinieri Michele Riccio l’infiltrato Luigi Ilardo, testimone chiave del processo contro gli ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu (entrambi assolti in primo grado) per la mancata cattura di Provenzano nel 1995 nei pressi di Mezzojuso. Ma c’è una domanda ancora più importante da porsi: Riina parla per sé o per conto di qualcun altro?

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