//LA STORIA DELLA DOMENICA. Come è nata l’acquedotto pugliese? Un’opera imponente lunga 2100 km, la sua storia nel libro ‘Giù al sud’di Pino Aprile
Di Gabriele Caforio //LA STORIA DELLA DOMENICA. La sete d'acqua della Puglia è una sete storica. Già il poeta latino Orazio, nel I secolo A.c., definiva la nostra regione “siticulosa”, una terra dove l'afa arrivava alle stelle (siderum insedit vapor siticulosae Apuliae). Conferma che anche per i romani il problema dell'approvvigionamento idrico in Puglia rappresentasse già un bel rompicapo. Nel 1915, a Bari, la prima acqua che sgorgava limpida e in continuazione da una fontanella faceva gridare al miracolo. Ma di miracolo non si trattava, era il risultato di un'opera imponente, che sarebbe cresciuta ancora negli anni successivi fino a far diventare l'Acquedotto Pugliese una rete idrica tra le più grandi al mondo, lunga ben 21.000 km! Ma se la Puglia è stata storicamente assetata ed arida a chi deve il fatto che oggi abbia uno tra i più imponenti acquedotti? Sicuramente si deve tanto ad ingegneri e operai che l'hanno costruito ma c'è un sorta di “debito” storico che non tutti i pugliesi conoscono. In un suo recente libro, Giù al Sud, il giornalista e scrittore pugliese Pino Aprile si chiede se i pugliesi sappiano dell'esistenza del paesino di Caposele e, sopratutto, se sappiamo quello che gli è stato fatto nella storia. Caposele è un comune in provincia di Avellino, 3.500 abitanti e una sorgente. La sorgente è quella del fiume Sele, il fiume che sgorga dalle pendici del Monte Paflagone e che sfocia dopo 64 km nel mar Tirreno, nel golfo di Salerno. La maggior parte delle acque del Sele, però, non vede la luce e neppure il Tirreno, ma viene captata per alimentare il nostro Acquedotto (che oggi raccoglie anche le acque dagli invasi sui fiumi Sinni, Calore, Fortore, Agri e Ofanto oltre a quelle di circa 200 pozzi dislocati per tutta la regione). L'acqua che sgorga a Caposele scorre per 390 km e, sfruttando l'idraulica e le pendenze, in tre giorni arriva a Santa Maria di Leuca dove il fascismo ha eretto, nel 1939, una cascata monumentale a memoria e celebrazione della fine dei lavori dell'acquedotto. Ma perché Pino Aprile nel sul libro parla di “furto” dell'acqua? “La portata della sorgente non è da poco, 5.000 litri d'acqua al secondo, 5 metri cubi che ogni secondo sgorgano dalla terra e che vengono incanalati nelle condotte che dissetano un po' di Lucania, un po' di Molise e soprattutto tanta Puglia. Prima della captazione però, Caposele era uno dei centri più industrializzati dell'Alta Irpinia e lo era anche grazie alle acque che alimentavano mulini, tintorie e gualchiere per l'industria tessile. Oggi non è più così e i caposelesi, dopo più di un secolo, un po' di rabbia per quella ricchezza perduta ce l'hanno ancora”. Nel 1865 l'amministrazione provinciale di Bari e il Comune pubblicarono un “manifesto di concorso per conduttura delle acque” con un premio di 11.500 lire. Il premio lo vinse l'ingegnere Camillo Rosalba, con un progetto folle per l'epoca che prevedeva di captare le acque a centinaia di chilometri di distanza per dissetare una regione che di acqua non ne aveva. Rosalba però, l'acquedotto non lo avrebbe mai visto, il suo progetto si sarebbe perso tra nuovi calcoli e lungaggini. Qualche anno dopo, nel 1888 il facoltoso ingegnere barese Francesco Zampari riprende le file del progetto di Rosalba e per 500.000 lire acquista le sorgenti del Sele. Caposele festeggia, mentre qualcuno del vicino paese di Calabritto osserva: “hannu vennuto e sonano!”. Ma anche il Cav. Zampari non riesce a mantenere tutti gli impegni, forse boicottato da altri interessati. Finisce in causa con lo Stato e solo nel 1905, in cambio di 700.000 lire, il Comune di Caposele lascia al demanio dello Stato le acque della sorgente. Una piccola parte della portata della sorgente (circa 500 litri al secondo) restava comunque ai caposelesi perché mulini, frantoi e tintorie del luogo non si fermassero. Nel 1906 iniziarono i lavori e nel 1915 l'acqua usciva dalle fontane di Bari. La guerra rallentò i lavori ma pian piano molti comuni pugliesi iniziarono ad avere le prime fontanelle. Nel 1916 è la volta di Taranto e nel 1918 quella di Brindisi, a Lecce l'acqua arriva nel 1927, tre anni prima era arrivata a Foggia. I comuni del Salento come quelli del Gargano vedranno le condotte solo tra il 1931 e il 1939. Ed è proprio nel 1939, mentre si erige la cascata monumentale a Leuca, che si compie il “furto” completo dell'acqua a Caposele. Il comune avellinese infatti, si trova di fronte alla “forza” politica di varie personalità. Il parlamentare Antonio Jatta di Ruvo di Puglia e il Ministro dei lavori pubblici, anche lui pugliese, Giuseppe Pavoncelli si uniscono al lavoro tenace degli ingegneri Rosalba e Zampari. Nel libro di Pino Aprile si racconta che in molti “brigarono” per sottrarre ai caposelesi anche la portata residua della fonte. Ci furono diverse riunioni a cui il comune avellinese non venne neppure invitato e che sancirono, il 4 maggio del 1939, la perdita di tutta l'acqua. Al Comune viene dato un indennizzo di un milione e mezzo di lire e 300.000 lire vengono dati agli imprenditori che perdono le loro aziende. Il 27 maggio, quando arriva il prefetto di Avellino per firmare l'atto, la popolazione insorge e i protagonisti della rivolta vengono arrestati, qualcuno confinato, qualcun altro trasferito. Ecco perché i caposelesi un po' di rabbia ce l'hanno ancora oggi. Nel luglio del 2012 è stata rinnovata la convenzione tra Acquedotto Pugliese e il Comune di Caposele per la captazione delle acque. Nel sito istituzionale del comune avellinese abbiamo trovato un proposta della nuova convenzione, risalente al 2007, secondo cui AQP è obbligato a versare un indennizzo di 750.000 euro alle casse di Caposele che provvede a mantenere pulita e sana l'acqua che viene incanalata. Oggi AQP ha un fatturato complessivo di 458 milioni di euro, 21.000 km di rete idrica, serve 330 centri abitati, più di 4 milioni di abitanti, ed ha un milione di contratti di utenza. Cifre enormi che però devono la loro ricchezza a quei 5 metri cubi al secondo che sgorgano a Caposele. Una storia, questa di Caposele, che dovremmo ricordarcela anche noi ogni qualvolta beviamo un bicchiere dell'acqua del nostro rubinetto.
Sostieni il Tacco d’Italia!
Abbiamo bisogno dei nostri lettori per continuare a pubblicare le inchieste.
Le inchieste giornalistiche costano.
Occorre molto tempo per indagare, per crearsi una rete di fonti autorevoli, per verificare documenti e testimonianze, per scrivere e riscrivere gli articoli.
E quando si pubblica, si perdono inserzionisti invece che acquistarne e, troppo spesso, ci si deve difendere da querele temerarie e intimidazioni di ogni genere.
Per questo, cara lettrice, caro lettore, mi rivolgo a te e ti chiedo di sostenere il Tacco d’Italia!
Vogliamo continuare a offrire un’informazione indipendente che, ora più che mai, è necessaria come l’ossigeno. In questo periodo di crisi globale abbiamo infatti deciso di non retrocedere e di non sospendere la nostra attività di indagine, continuando a svolgere un servizio pubblico sicuramente scomodo ma necessario per il bene comune.
Grazie
Marilù Mastrogiovanni
------
O TRAMITE L'IBAN
IT43I0526204000CC0021181120
------
Oppure aderisci al nostro crowdfunding
Si è poco indagato sull’apporto di Carlo III di Borbone alla progettazione di un acquedotto in Puglia. Tale re in Spagna realizzò l’acquedotto di Madrid con criteri ingegneristici totalmente uguali a quelli dell’acquedotto pugliese basati esclusivamente sulla veicolazione con condotte in pendenza.