Bellanova: ‘Lotta alle dimissioni in bianco’

 

Roma. La deputata del Pd illustra la proposta di legge finalizzata a combattere le dimissioni dal lavoro delle donne durante il primo anno di vita del bambino

ROMA – “L’occupazione femminile in Italia continua ad essere penalizzata, tanto nella quantità che nella qualità. Il lavoro delle donne resta concentrato in occupazioni precarie, atipiche e a tempo parziale, e comunque resta mediamente sottopagato, anche a parità di mansioni”. Con queste parole l’onorevole del Partito Democratico Teresa Bellanova sintetizza lo stato del lavoro femminile nel nostro Paese. Stipendi più bassi rispetto agli uomini, difficoltà notevoli nel conciliare lavoro e responsabilità familiari, ricorso sistematico, da parte dei datori di lavoro, allo strumento delle “dimissioni in bianco” in caso di concepimento: sono queste le maggiori problematiche a cui vanno incontro le donne italiane che lavorano. Secondo i dati ufficiali, nel corso del 2011 sono stati in totale ben due milioni i lavoratori, in grandissima maggioranza donne, costretti ad apporre la firma su false dimissioni volontarie al momento dell’assunzione. Su questa diffusissima pratica, l’esponente del Pd ha presentato una proposta di legge che mira ad introdurre, sia in caso di dimissioni che di risoluzione consensuale, l’obbligo di utilizzare un modulo informatico fornito dalle direzioni provinciali del lavoro o scaricabile dal sito internet del Ministero del Lavoro, dotato di caratteristiche di anticontraffazione e antifalsificazione, di una numerazione alfanumerica progressiva e, soprattutto, di una durata temporale di 15 giorni dalla data di emissione. “Un meccanismo semplice ma, a nostro parere, estremamente efficace” precisa la Bellanova. Secondo i dati risalenti al 2009, riportati anche nella relazione illustrativa della sua proposta di legge, sono ben 18.000 le donne che si dimettono dal proprio posto di lavoro nel primo anno di vita del bambino. Dimissioni che vengono presentate come volontarie ma che molto spesso sono riconducibili alla contemporanea e obbligatoria firma, al momento dell’assunzione, di una lettera di dimissioni sprovvista di data, da utilizzare in caso di gravidanza. In che modo la sua proposta di legge cerca di ovviare a questo abuso? “La pratica delle ‘dimissioni in bianco’ consiste nel far firmare, contemporaneamente al contratto di assunzione, una lettera di dimissioni, su foglio bianco e senza data. Il meccanismo individuato dalla nostra proposta di legge obbliga, sia in caso di dimissioni che di risoluzione consensuale, a utilizzare un modulo informatico fornito dalle direzioni provinciali del lavoro o scaricabile dal sito internet del Ministero del Lavoro, dotato di caratteristiche di anticontraffazione e di antifalsificazione, di una numerazione alfanumerica progressiva e, soprattutto, di una durata temporale di 15 giorni dalla data di emissione. Un meccanismo semplice ma, a nostro parere, estremamente efficace”. L’utilizzo diffuso dello strumento delle “dimissioni in bianco” da parte dei datori di lavoro sembrerebbe attestare l’impossibilità per le donne italiane di conciliare il ruolo di madre con quello di lavoratrice. Dando uno sguardo infatti alle recenti statistiche internazionali il nostro Paese è addirittura al 19esimo posto per condizioni di lavoro delle donne e garanzia di pari opportunità. Non ritiene che anche su questo tema negli ultimi anni si siano fatte molte chiacchiere e pochi fatti? “In realtà il contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco ha una storia e delle responsabilità ben definite. La nostra proposta riprende, con alcune modifiche, un provvedimento che il Governo Prodi aveva adottato già nel 2007. Una legge, però, che non ebbe la possibilità di dispiegare tutti i suoi effetti visto che il subentrante Governo Berlusconi (2008) provvide, tra i suoi primi provvedimenti, ad abrogarla. Successivamente, il 20 aprile 2010, noi del Partito Democratico avevamo presentato una proposta di legge presso la Camera, che riproponeva il testo di legge con una sostanziale modifica: l’estensione dell’applicazione della normativa anche ai casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Tale soluzione permetteva di evitare abusi in tutte le forme di recesso dal contratto di lavoro. La proposta di legge aveva iniziato il suo iter parlamentare nel febbraio 2012, in un contesto politico profondamente mutato a seguito dell’insediamento del governo Monti. Il nuovo ministro Fornero, si era mostrata sensibile all’argomento e disponibile a intervenire affinché fossero approntati strumenti legislativi utili a combattere la piaga delle ‘dimissioni in bianco’. Ma la scelta del ministro fu quella di inserire, all’interno del provvedimento di riforma del mercato del lavoro, una serie di disposizioni volte ad affrontare il problema, alcune norme che si limitavano all’inasprimento e all’allargamento dei controlli, determinando un meccanismo a mio parere farraginoso, insufficiente e aggirabile. E infatti, approfondimenti successivi hanno evidenziato un aggravamento del dato relativo al fenomeno delle ‘dimissioni in bianco’. Nei primissimi giorni della nuova legislatura, quindi, abbiamo deciso di ripresentare la nostra proposta e in questi giorni ne ho personalmente sollecitato la calendarizzazione. Potrò anche sbagliarmi, ma a me i nostri sembrano ‘fatti’. Altri mi sembra abbiano preferito perdersi in chiacchiere”. Si parla sempre più spesso della necessità di valorizzare concretamente la componente femminile nel mercato del lavoro ma le discriminazioni salariali (e non solo) sono all’ordine del giorno e non accennano a diminuire. Quali misure possono contribuire ad invertire la rotta? “L’occupazione femminile in Italia continua ad essere penalizzata, tanto nella quantità che nella qualità. Il lavoro delle donne resta concentrato in occupazioni precarie, atipiche e a tempo parziale, e comunque resta mediamente sottopagato, anche a parità di mansioni. E questo nonostante le stesse fuoriescano dai luoghi di formazione con risultati mediamente superiori agli uomini. Sulla discriminazione di genere continuano a pesare fattori quali la divisione ineguale del carico di lavoro familiare, la mancanza di strutture per l’infanzia utili a coadiuvare la donna nel lavoro di cura. È indispensabile, quindi, mettere in atto politiche pubbliche che diano reale sostegno alla partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e servizi in grado di garantire la massima possibilità di conciliazione con l’impegno familiare. Ma serve anche, probabilmente a monte, un profondo cambiamento culturale e penso che riuscire a stroncare la pratica delle dimissioni in bianco potrebbe rappresentare un’importante tappa di questo percorso”.

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