Teatro in jeans, tocca ai Dieci piccoli indiani

Lecce. Stasera al Paisiello l’esibizione della IV B del IV Circolo di Lecce. E prima dello spettacolo, un omaggio a Bodini

di Antonio Caputo Ferilli LECCE – Dieci persone che non si conoscono vengono invitate su un’isola per un fine settimana e, in seguito a varie vicissitudini, muoiono tutte. L’accaduto è un mistero. E’ da qui che prende il via il romanzo “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. E stasera (ore 20), al teatro Paisiello di Lecce, gli studenti della scuola elementare IV Circolo di Lecce porteranno il mistero in scena. La programmazione didattica dell’anno scolastico ormai agli sgoccioli prevedeva infatti, tra le altre cose, l’analisi, la comprensione e l’individuazione degli elementi che caratterizzano il testo giallo. Gli studenti hanno così letto il romanzo di Agatha Christie e hanno deciso poi di rappresentarlo con uno spettacolo teatrale, trattando la vicenda con leggerezza ed allegria. E, soprattutto, “indossando i jeans”… Lo spettacolo è infatti il terzo appuntamento della rassegna di teatro nelle scuole “Teatro in jeans”, promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Lecce. Gli studenti diventano i protagonisti della scena e rubano il palcoscenico ai “veri” attori. Oggi è la volta degli attori in erba della IV B del IV Circolo didattico. Lo spettacolo è a cura di Liliana Wieczorek, con la collaborazione di Federica, Paolo e Daniele. E siccome quest’edizione è dedicata a Vittorio Bodini, del quale nel 2014 ricorrerà il centenario dalla nascita, prima del recital, la scuola tributerà un omaggio al poeta salentino. Prendendo spunto da alcuni versi del poeta-pittore, gli alunni si sono cimentati nel tradurre in segni una frase, un verso, una parola (progetto “disegnunverso”). Di seguito il ricordo di Bodini, nelle parole di Antonio Caputo Ferilli: // Pensieri verso un segno L’uomo, prima ancora di inventare “la scrittura”, ha utilizzato il disegno per stabilire, comunicare, tramandare, i valori delle sue comunità, prova ne siano i graffiti delle grotte di Porto Badisco, fra i più importanti d’Europa. I geroglifici egizi erano l’evoluzione di quei segni arcaici; ancora oggi ogni ideogramma cinese rappresenta una situazione, evocandone l’immagine. Anche il barocco leccese, inaugurato con la facciata di Santa Croce, fu un codice di comportamento sociale; era il manifesto religioso-politico della Controriforma dopo la battaglia di Lepanto (7 ott. 1571), con la definitiva sconfitta degli ottomani; la grande balaustra, attraverso la serie di “figure-forme” che tutti ammiriamo, rappresentava la sottomissione del male, del nemico; anche le “colonne inglobate” (Santa Croce e Sedile), erano l’icona del nuovo ordine “imposto”….appunto. Tuttavia nelle forme del barocco leccese si celava, allusiva, indiretta, tutta artistica e naif (creata dalle abili mani degli artigiani locali), una reazione inconscia proprio al messaggio di quella Controriforma che aveva cancellato il rito greco-ortodosso, ancora praticato in molti centri del Salento; una reazione proprio a quel potere religioso-politico che aveva tagliato il forte legame tra il salento-grecìa e la madre-grecia, riconquistato dall’Impero Bizantino dopo la divisione dell’Impero Romano. Per secoli generazioni di Leccesi e Salentini hanno vissuto conformandosi ai comportamenti suggeriti, ispirati dai personaggi surreali di pietra sparsi per le città della penisola, come gli “angeli dalle dolci mammelle, guerrieri saraceni e asini dotti con le ricche gorgiere” (V. Bodini, “Lecce”), che possiamo vedere in “corte dei cicala”, “…un incantesimo, tra palazzi di tufo, in una grande pianura” (V. Bodini, “Foglie di tabacco”). Dopo 3 secoli, inevitabile a Lecce, nel periodo 1925-35, la fortuna artistica del futurismo, con la sua carica dirompente (“Un geniale ardente treno… e da zingaro di ferro… senza prender biglietto… fuor dal Certo dei binari… in direzione della Gioia: Dinamismo” (V.B., Poesie futuriste, 1932-33); Vittorio Bodini fu protagonista nell’esplorazione di nuove espressività sia attraverso la parola-poesia che il segno-disegno. All’inizio della sua attività fu aero-poeta futurista (“…rrRr un aeroplano capriola nel campo sportivo del cielo sul ritmo ultramoderno d’un elica-disco: VELOCITA’ ” (V.B., Poesie Futuriste 1932-33). Per Vittorio Bodini, amico del poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti il barocco leccese “non è tanto e non solo uno stile architettonico e artistico, ma una condizione dello spirito in cui si riflette un disperato senso del vuoto, che si cerca di colmare con l’esteriorità, l’ostentazione, l’oltranza decorativa, tipica delle chiese e dei palazzi leccesi”. (Il Sud di Vittorio Bodini, Antonio Lucio Giannone, 14 febbraio 2011). Bodini visse infatti a contatto con amici letterati e soprattutto pittori, per molti dei quali, dopo la nascita della figlia Valentina (12-9-1962), scrisse articoli e ne presentò i cataloghi (De Nittis, Barbieri, Spizzico, Suppressa, Toma, Calò, Cantatore, Re; “c’è quasi l’essenziale dei nomi e dei valori dell’arte pugliese di quei decenni e, in particolare, salentina” (Oreste Macrì, “Vittorio Bodini” – Besa Edirice 2010); lui stesso gran disegnatore, tanto che Oreste Macrì in uno studio del 1974 definì l’opera di Bodini “Poesia grafica”. Nelle poesie di Vittorio Bodini emerge spesso l’elemento pietra; il riferimento alla natura “calcarenitica-stratificata” della sua terra è costante “Quando riprenderai, mare, il dominio su quest’amara contea, i tuoi leggeri coltelli scrosteranno conchiglie di millenni dai nostri tufi, tuoi perduti sigilli” (“Cocumola”, in La luna dei Borboni); essenziale, caratteristico della sua opera è invece l’accostamento di parole a forte valenza grafica-cromatica (“Cordova è una dolce tempesta di bianco verde e nero….” (V.B., Omaggio a Gòngora, 1956-60). Emozioni, sentimenti, stati d’animo travagliati, “arricciolati”, impossibili da raccontare con le tradizionali “tecniche” della letteratura e della poesia; quindi… versi che sono di nuovo graffiti, geroglifici, ideogrammi.

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