L’arrivo delle spoglie di San Giuseppe in città ha rivitalizzato l’indole “macinnulara” dei copertinesi
di Giovanni Camisa Che l'arrivo a Copertino delle mortali spoglie del nostro Santo patrono avesse rivitalizzato l'intero tessuto sociale sembrava un'evidenza sotto gli occhi di tutti. In queste settimane in città è stato tutto un susseguirsi di iniziative di varia natura: mostre fotografiche, rappresentazioni teatrali, convegni filosofici. Tutto faceva sperare in una sorta di “rinascimento copertinese”, agevolato magari dal tocco divino. Ma ad essere rivitalizzata, oltre alla vita sociale, è stata anche l'indole antropologica dei concittadini del Santo. Indole ben rappresentata dalla “ngiuria” che da tempo immemore ci etichetta come “macinnulari”, vale a dire gente che parla e sparla per il puro piacere dell'eloquio. E' cosi che in città, e di riflesso sul web, ben presto sono cominciate a circolare le prime polemiche: dai fazzoletti miracolati “venduti” in Basilica, al rinvio della “Urteddra” (pasquetta dei Copertinesi), alla chiusura del Santuario alle visite dei fedeli durante il triduo pasquale è stato tutto un crescendo di invettive e proteste. C'era da aspettarselo, eppure qualcuno nel miracolo aveva creduto. Certo trattandosi di cose spirituali ogni certezza empirica viene meno, ma qual è l'insegnamento che la comunità ha tratto dall'illustre visita ancora in corso? Qual è l'esempio che vogliamo seguire? Quali gli insegnamenti che vogliamo trarre? Troppo presto ancora per dirlo. Di certo, come qualcuno ha distrattamente scritto sui social network, sembra proprio che la Divina Provvidenza ci abbia visto bene quando ha consegnato le spoglie del nostro S. Giuseppe a custodi fisicamente ben lontani dalle umane imperfezioni dei copertinesi, quasi a proteggerlo dai suoi stessi concittadini. S. Giuseppe volava alto allontanandosi dalle terrene insidie e un po' anche dalla sua copertinesità.