Due missioni in Kosovo, dal 1999 al 2001. Poi la scoperta di avere un melanoma. Contro cui ha combattuto, fino alla fine. Da solo
“Il melanoma è molto aggressivo ma ho fiducia e mi sento forte. Ho voglia di combattere e questa credo sia la medicina giusta”. Erasmo Savino, il caporal maggiore Capo dell’Esercito, da noi intervistato lo scorso ottobre, era convinto di farcela. Era sicuro di vincere la sua battaglia più importante, quella per la vita, assieme alla sua compagna, alla famiglia, agli amici più stretti. Purtroppo qualche giorno fa si è dovuto arrendere. Dal 2010, anno in cui gli venne diagnosticato un melanoma sotto il dito del piede, per anni erroneamente considerato dai medici come una formazione callosa, un solo grande assente: lo Stato. Solo silenzi di fronte alla richiesta di riconoscimento della causa di servizio e dello status di vittima del dovere. Ripetuti silenzi. Al punto da costringere il suo legale, Giorgio Carta, a rivolgersi al Tar per ottenere una risposta dal Comitato di Verifica delle cause di servizio. Risposta che sarebbe stata negativa. Ma Erasmo non si sarebbe arreso, presentando una nuova istanza e raccontando la sua storia in videoconferenza alla Commissione d’inchiesta uranio impoverito, in una delle più toccanti audizioni svoltesi in Senato. Una storia di alto spirito di servizio e di elevatissimo senso delle istituzioni, quella di Erasmo. Ma anche di grandi delusioni ed abbandono. “Abbiamo difeso una bandiera, onorato la Patria e servito lo Stato. Sono profondamente deluso perché per tredici anni l’esercito mi ha insegnato tanto e non mi aspettavo un abbandono di questo tipo”, ci confidò qualche mese fa. Parole che abbiamo, purtroppo, ascoltato molte volte, negli ultimi anni, dai tanti (troppi!) giovani militari ammalatisi gravemente in servizio. Vittime, successivamente, della burocrazia e della totale assenza delle istituzioni. Costretti a sottoporsi, in molti casi inutilmente, a cure e trattamenti sanitari molto onerosi, senza alcun aiuto economico da parte dello Stato. Destini, di ragazzi e famiglie, decisi dal Comitato di verifica delle cause di servizio, un organismo alle dirette dipendenze del Ministero dell’Economia e delle Finanze ma integrato da ben 16 medici militari, che in questi anni non solo è arrivato ad esprimersi in modo differente, a favore o contro il riconoscimento della causa di servizio, su istanze riguardanti militari che avevano addirittura contratto lo stesso tipo di patologia dopo aver partecipato a missioni internazionali di “pace”, ma ha anche respinto la maggior parte delle richieste con motivazioni del tutto generiche. La lettera con cui il Comitato di verifica ha respinto la mia richiesta – confessò Erasmo durante la nostra intervista – mi è sembrata come un “grazie e arrivederci”. Un comitato, quindi, che si pronuncia spesso con “frettolosi e sommari rifiuti” e che in passato – come risulta dai resoconti sommari delle sedute della Commissione d’inchiesta – aveva addirittura sospeso l’esame delle istanze presentate perché non vi erano soldi sufficienti ad assicurare la retribuzione del gettone di presenza ai propri componenti. Erasmo, nonostante abbia operato in Kosovo su terreni fortemente contaminati da proiettili all’uranio impoverito, lega indissolubilmente il suo nome ai vaccini e alle possibili conseguenze che la loro multipla, obbligatoria, ravvicinata e disordinata somministrazione produce sulla salute dei militari. Se n’è andato senza alcun tipo di riconoscimento. “La sua vita sfortunata è finita – ha affermato l’avvocato Giorgio Carta – ma la battaglia perché sia fatta luce sulle cause della sua morte no”. Articoli correlati: Caporal maggiore Savino, colpito da melanoma: ‘Lo Stato mi ha abbandonato’ Uranio e vaccini. Risposte entro il 15 gennaio
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