Sistema finanziario ‘frammentato’. Boccia: ‘Effetto della politica’

 

Roma. L’esponente del Pd commenta l’ultimo rapporto di Morgan Stanley

ROMA – Se da un lato, nel suo ultimo rapporto, Morgan Stanley sottolinea la crescente frammentazione del sistema finanziario europeo, specificando soprattutto come le banche francesi e tedesche stiano sempre più limitando la propria esposizione verso i paesi europei in difficoltà, dall’altro Goldman Sachs punta il dito contro le politiche recessive adottate da Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia. Che, secondo il colosso bancario americano, non permetteranno probabilmente il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dall’Unione Europea. Verrebbe da chiedersi: serviranno i sacrifici e le lacrime degli italiani? Dopo il danno ci sarà la beffa? Abbiamo cercato di capirne di più con l’onorevole del Partito Democratico Francesco Boccia che afferma: “Goldman Sachs si limita a scoprire l’acqua calda. Se iniziamo a ritenere i derivati non regolamentati fuori legge, se li tassiamo in tutta Europa in maniera tale che chi fa sistematicamente speculazione sui Credit Default Swap (CDS) non sia più in grado di farla, sarà possibile ripulire l’economia dalla finanza cattiva. Queste valutazioni però le grandi banche d’affari non le fanno così come non specificano quali siano le motivazioni che portano alcuni sistemi bancari ad investire su alcuni titoli piuttosto che su altri”. E conclude: “Molte di queste cose non vengono scritte per un ovvio conflitto d’interesse che investe le stesse banche d’affari”. Secondo la banca d’affari Morgan Stanley sarebbe in corso un processo di frammentazione del sistema finanziario europeo che porterebbe le banche, soprattutto quelle francesi e tedesche, a limitare il proprio raggio di azione ai confini nazionali. Quali conseguenze produce tale fenomeno sul finanziamento del debito degli stati periferici, Grecia, Irlanda, Spagna e Italia nonché sulla tenuta dell’euro? “Penso che la frammentazione del sistema finanziario europeo, cui fa riferimento Morgan Stanley, non faccia altro che ricalcare la frammentazione delle posizioni politiche dei principali paesi europei. Quando manca una regia, quando la politica non c’è o è ripiegata su se stessa, quando l’orizzonte principale, che per noi deve essere quello degli Stati Uniti d’Europa, non è l’orizzonte collettivo, è evidente che ogni comparto della vita economica e, mi permetto di dire, anche sociale tende ad alzare i muri e a difendere gli interessi precostituiti e questo succede anche per il mondo bancario. Le banche tedesche hanno ridotto, dal 2008-2009 ad oggi, di oltre 300 miliardi di euro la loro esposizione su Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda e la stessa cosa hanno fatto le banche francesi. Se ci fosse stata una regia unica in Europa, se ci fosse stata l’unione bancaria che invece oggi inseguiamo con il fiatone, se ci fossero state scelte politiche a monte come l’unione fiscale oggi probabilmente non staremmo parlando di questi fenomeni. È evidente che la crisi ha poi acuito le distanze e le banche hanno seguito i loro istinti, che, come tutti sappiamo, non coincidono con la beneficenza. Gli Stati membri sono stati poi condizionati nelle scelte successive anche dalla debolezza delle classi politiche, perché ognuno ha pensato prima alla propria rielezione e poi al costo che alcune misure comportavano. Io penso che ora siamo di fronte ad un bivio. Un bivio per la politica, per l’economia, per la finanza. L’Italia alla vigilia purtroppo di questa crisi di governo si ritrova con almeno 400 miliardi di titoli in scadenza nei prossimi 12-13 mesi. Come è noto una parte di essi riguardano investitori internazionali. Il rapporto, a tal proposito, negli ultimi 18 mesi è abbastanza cambiato, passando da un 55-45 a quasi un 60-40. Adesso siamo vicini ad una situazione in cui il nostro debito è sottoscritto per il 70% da italiani e per il 30% da investitori internazionali. Una percentuale però quest’ultima ancora cospicua, soprattutto perché è il 30% di quei 400 miliardi di cui parlavamo prima. Non è così banale e semplice far sottoscrivere oltre 100-120 miliardi di euro di titoli italiani da investitori internazionali se non si sa cosa succederà in Italia e quali impegni l’Italia si assumerà”. Negli ultimi mesi gli Stati europei maggiormente in difficoltà hanno adottato delle politiche fortemente recessive “per riconquistare la fiducia dei mercati”. Nonostante ciò Goldman Sachs ha recentemente sottolineato come sia alquanto improbabile il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per i quali gli stessi stati si erano impegnati. E’ il caso di dire dopo il danno anche la beffa? “Ciò che Goldman Sachs e Morgan Stanley dicono in questi rapporti va sicuramente bene ma le stesse banche d’affari omettono sistematicamente di dire, ed è obbligo soprattutto della politica europea far sì che non abbiano più questi problemi di memoria, quanto incidano negli assetti generali del mondo finanziario globale le fragili regole che hanno determinato la massa di carta finanziaria, quantificabile e certificata dalla Banca Internazionale dei Regolamenti in circa 650 mila miliardi di dollari, che è oggetto di buona parte delle speculazioni che avvengono sui debiti sovrani dei paesi in difficoltà. Io penso che questa debba essere la principale ossessione della politica in Italia ed in Europa, perché se iniziamo a ritenere i derivati non regolamentati fuori legge, se li tassiamo in tutta Europa in maniera tale che chi fa sistematicamente speculazione sui Credit Default Swap (CDS) non sia più in grado di farla, sarà possibile ripulire l’economia dalla finanza cattiva. Queste valutazioni però le grandi banche d’affari non le fanno così come non specificano quali siano le motivazioni che portano alcuni sistemi bancari ad investire su alcuni titoli piuttosto che su altri. Molte di queste cose non vengono scritte per un ovvio conflitto d’interesse che investe le stesse banche d’affari. Quando Goldman Sachs dice che le politiche recessive potrebbero non bastare per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica non fa altro che scoprire l’acqua calda. E per non fare più politiche recessive delle due l’una: o si aumenta ancora il debito, ma ciò non è consentito, oppure si deve redistribuire e si vanno a prendere i soldi alla finanza per abbassare le tasse sul lavoro. E quest’ultima è la strada che noi del Partito Democratico vogliamo percorrere. Quindi se dovessimo vincere le elezioni con Bersani, cosa che noi auspichiamo, è evidente che non aumenteremo il debito, per impegno nei confronti dell’Europa e soprattutto delle nuove generazioni. Per dare uno shock positivo all’economia è evidente che occorre redistribuire, aumentando la tassazione sulla finanza e abbassandola sul lavoro”. Le banche spagnole ed italiane sarebbero nel 2013 quelle maggiormente a rischio, non solo per la frammentazione del sistema finanziario europeo ma anche per una recessione che ha portato alla chiusura di molte imprese e alla inesigibilità di molti crediti. Alcuni addetti ai lavori accusano però le banche di essere corresponsabili della recessione per non aver aperto i rubinetti del credito dopo aver ricevuto prestiti dalla BCE al tasso dell’1%. Qual è allora la verità? “La verità è in mezzo. Nel senso che le banche sono nelle condizioni di molte imprese italiane, cioè a corto di liquidità. Non hanno liquidità sia le imprese che le banche. Il rapporto che da più chiara la situazione in cui ci troviamo è quello sulla differenza tra raccolta e impieghi. Noi abbiamo, dati dello scorso anno, 1600 miliardi di raccolta e 1900 miliardi di impieghi l’anno e nei due decenni che abbiamo alle spalle il numero di impieghi è stato superiore a quello della raccolta. Ora quando è scoppiata la crisi quei 300 miliardi di differenza tra raccolta e impieghi ha iniziato a ridursi perché è iniziata a mancare alle banche la liquidità necessaria per approvvigionarsi sui mercati e le stesse hanno iniziato a ridurre la forbice tra raccolta e impieghi, scaricando la difficoltà del sistema finanziario sull’anello più debole: le piccole e piccolissime imprese. Questo rapporto è chiaro che non può essere cambiato all’improvviso e per queste ragioni penso sia necessario intervenire su alcuni comparti dove l’intervento pubblico è possibile. Intanto iniziamo a sbloccare i crediti della pubblica amministrazione perché è inutile chiedere alle banche di erogare credito se non hanno soldi. Possiamo chiedere alle banche di evitare di restare così all’angolo e di aiutare il sistema a sbloccare alcune vicende. Una di queste è proprio quella dei crediti della Pubblica Amministrazione, su cui nonostante ci sia stato un decreto e nonostante siano garantite non anticipano nemmeno il 70%. È necessario che le banche dicano con chiarezza se hanno bisogno di un’altra garanzia da parte dello Stato qualora non sia sufficiente la certificazione. Poi c’è il tema più generale della necessità di consentire ai piccoli e piccolissimi imprenditori di trasformare i debiti a breve termine in debiti a medio e lungo termine, magari prevedendo un fondo di 10 miliardi di euro nella Cassa Depositi e Prestiti, la quale potrebbe utilizzare queste risorse come fondo di garanzia. Ovviamente le banche possono essere uno straordinario volano per trasformare con 10 miliardi di garanzia almeno 70 – 80 miliardi di posizioni finanziarie. Se riusciamo a far questo forse ne usciamo senza demagogia. Aggiungo che l’operazione BCE fatta all’1% è stata inizialmente necessaria per mettere in sicurezza l’intero sistema bancario europeo ma la seconda tranche di aiuti, circa 120 miliardi di euro per le banche italiane, doveva essere utilizzata per fare credito ma risulta sia stata utilizzata dalle banche per mettere a posto i propri conti economici”. Veniamo al caso concreto del Monte Paschi di Siena. La banca starebbe per ricevere dallo stato un prestito di 4 miliardi di euro per ripianare le perdite e recuperare patrimonialità. Qual è la sua posizione in merito a questa vicenda? “Non condivido quest’operazione. Credo che quando c’è una malattia sia più opportuno intervenire sulla causa della malattia e non dare degli antidolorifici. Mi auguro che questi quattro miliardi non siano degli inutili antidolorifici. Il Monte dei Paschi di Siena è un pezzo di storia del sistema bancario italiano ed è in queste condizioni per gravissimi errori gestionali commessi negli ultimi sei sette anni. Credo che l’attuale management stia mettendo mano alle problematiche prodotte dalle scelte sbagliate del passato. Se questo finanziamento servirà a rimettere in sesto il conto economico forse avrà avuto un senso. Personalmente avrei posto più condizioni ma mi risulta le stia comunque mettendo la Banca D’Italia”.

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