Il giudice Tanisi: ‘Donne, cogliete i segnali di stalking’

// L’INTERVISTA. Lecce. Il presidente della Corte d’Assise invita a denunciare gli episodi di violenza domestica rivolgendosi alle strutture di protezione

LECCE – Giudice Roberto Tanisi, sei anni in Corte d’Appello dal 2004 al 2010, torna nel 2010 in Tribunale come presidente della II sezione penale e della corte d’Assise. Nella sua esperienza processuale, molte volte è stato chiamato a pronunciarsi su ipotesi di reati di stalking, violenza, femminicidio e addirittura di ‘tratta di esseri umani’ o tratta delle schiave. Lo abbiamo incontrato in occasione della ricorrenza del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Giudice, quali sono state le sentenze più importanti, nei processi legati al reato di “tratta di esseri umani” – un reato di recente introduzione – nei quali lei è stato presidente del collegio giudicante? “Ricordo di aver presieduto il collegio in processi di questo tipo alcuni anni fa, subito dopo l’introduzione della norma, in riferimento a donne che provenivano dall’est Europa, moldave, rumene, ucraine. E ricordo che la trafila era più o meno sempre la solita: le donne venivano qui, pensando di trovare lavoro come colf o commesse e invece venivano buttate sulla strada. Venivano reclutate da personaggi privi di scrupoli, schiavizzate e buttate sul marciapiede. Ho fatto di questi processi tanto in Tribunale, quanto in corte d’Assise. Ne ricordo in particolare uno in Corte d’Assise, che riguardava imputati albanesi e italiani, proprio dei nostri paesini, di Taviano, Racale. Quando si va in Corte d’Assise, è perché è contestato il reato di riduzione in schiavitù. La Procura contestò questo reato e gli imputati furono condannati. Qual è stata la pena? “Da otto a 20 anni è l’ipotesi base, è una pena molto elevata”. Qual era l’età media delle ragazze schiavizzate e costrette a prostituirsi? “Erano ragazze molto giovani, non minorenni, ma molto giovani, tranne una che mi sorprese, una donna già in là con gli anni, sposata e con figli, che aveva una storia molto triste, di disagi legati ad estrema difficoltà economica alle spalle, e che aveva sperato di poter far parte del gruppo di ragazze scelte pensando di poter trovare lavoro qui, in Italia, per aiutare la famiglia in Ucraina. Dalla ricostruzione dei fatti delle ragazze nigeriane per giungere alle ultime vicende note, si è evinto che queste ragazze sono maggiormente vulnerabili e suggestionabili sul versante mistico-religioso, allorquando le ‘maman’ nel suggellare l’accordo per l’espatrio dietro contrazione di un debito, le fanno giurare davanti ai pastori locali (i baba-loa). Questo rituale del giuramento, solitamente consumato in presenza delle madri, sigilla un patto che da progetto finalizzato ad un viaggio di lavoro si trasforma in sfruttamento, agito da queste figure reclutanti. Può confermarci queste ricostruzioni? “Molte delle ragazze assolutamente non erano consapevoli del rischio. Posso confermare questa ricostruzione, anche se devo precisare che la mia personale esperienza è riferita esclusivamente alle ragazze dell’est Europa. Tuttavia, colleghi mi hanno confermato che il ricatto spirituale è una costante, la minaccia del rito voodoo è qualcosa che incide molto sulla psiche di queste donne, spesso giovanissime, ed è una componente che si ritrova spesso in questi casi. La loro credenza così radicata le fa diventare facilmente ricattabili”. Sagnet è stato il giovane apripista della rivolta in Salento ad opera dei braccianti agricoli schiavizzati. In seguito a questa rivolta si è poi giunti al rinvio al giudizio per gli sfruttatori, anche qui con l’introduzione del nuovo reato di “caporalato”. A quando l’udienza? Sarà lei a giudicare? “Probabilmente sì. In effetti si è giunti al rinvio a giudizio; il gip ha fissato l’udienza il 31 gennaio di fronte alla Corte d’Assise che io presiedo, perché c’è il reato di schiavitù. Non sono ancora a conoscenza delle carte processuali, quindi conosco soltanto le notizie della stampa. La riduzione in schiavitù è ben più grave del caporalato, lo travalica. Mi risulta che il Tribunale del riesame abbia disatteso l’ipotesi della schiavitù, ma il gip l’ha rinviata a giudizio, quindi è una questione ancora molto aperta”. Caporalato e tratta di esseri umani. Come si previene il rischio di questi nuovi “spettri”? “La questione è molto complessa. Ritengo che queste vicende siano figlie in parte della situazione economica difficile che l’Occidente vive, quindi gli imprenditori senza scrupoli cercano di avere manodopera a buon mercato. Tuttavia, in queste situazioni, non si cerca neppure il ‘buon mercato’, ma il vero e proprio sfruttamento. Il problema vero è che ormai ci sono delle organizzazioni criminali che si dedicano a questo tipo di attività. La prima cosa da fare, quando un cittadino si rende conto di queste realtà, è quindi rendersi cittadino attivo, cioè denunciare, interloquire anche con associazioni, fare un’attività di denuncia pubblica. Non occorre necessariamente andare dai carabinieri o in Procura, ma se si è a conoscenza di una situazione di sfruttamento e se ne discute pubblicamente, saranno poi la Procura o i carabinieri ad intervenire e verificare. I cittadini in una società moderna e democratica non devono essere soggetti passivi, ma protagonisti della vita civile nell’associazionismo, nel volontariato, cercando di rendersi parte attiva. Anche i giornali svolgono un ruolo importante al fine di rendere di pubblica evidenza questi fenomeni. Ciò che in assoluto non bisogna fare è chiudere gli occhi”. Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, contro il femminicidio. Nell’anno in corso, sono state 101 le vittime. Come ci si dovrebbe muovere secondo lei, per debellare questa piaga? “Anche questo è un altro problema di non semplice soluzione, in quanto la violenza sulle donne non è un problema di oggi. Nei miei processi molte volte, al di là degli aspetti più gravi, mi sono imbattuto in situazioni di violenza nell’ambito domestico che spesso veniva accettata con rassegnazione da parte delle donne. Quello che è cambiato è forse l’approccio al problema. Il nostro Paese solo da pochi anni ha acquisito una maturità e una consapevolezza in merito a questi temi. Faccio un esempio: la Corte Costituzionale italiana fu chiamata a pronunciarsi nel ’61 sull’adulterio, reato che poteva essere commesso solo dalla donna. Cioè, se la donna tradiva il marito era reato; se lo faceva il marito era normale. La Corte sancì che era corrispondente ai criteri della communis opinio dell’epoca, una spiegazione povera, da ‘arrampicata sugli specchi’, nonostante fossero trascorsi 13 anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, che all’art. 3 sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e all’art. 29 che marito e moglie hanno uguali diritti. Nel’68 la Corte tornò indietro perché si ripropose il problema e questa volta finalmente affossò il reato dicendo che era incostituzionale e parlando per la prima volta di parità tra uomo e donna, ma vedendo il concetto di parità più come aspirazione che come diritto. Il ’68 ha spazzato via tante ipocrisie e anche il diritto e chi è chiamato ad interpretarlo ne ha risentito. La cosa singolare della Corte del ’61 è che i cinque giudici che avevano deciso la prima sentenza facevano parte anche della composizione della Corte che ribaltò nel ‘68 la pronuncia. Nell’81 poi fu eliminata la causa d’onore nei delitti”. Questo ci aiuta a capire come il diritto di fatto segua l’evoluzione dei tempi, arrivando sempre con un po’ di ritardo purtroppo. In questo contesto, negli anni passati, passava sotto silenzio che la donna subisse le angherie del marito. Per fortuna la consapevolezza col trascorrere del tempo è arrivata, e questi atteggiamenti sono diventati sempre più intollerabili. Rimane però il dato allarmante che, nonostante la sopraggiunta consapevolezza sul problema, esso stesso non si è risolto. 101 donne uccise nel 2012 e l’anno ancora non è finito; la maggior parte di queste donne è stata uccisa da amanti delusi, mariti traditi, da uomini che non accettavano la fine di una relazione. Giulia Bongiorno e Mara Carfagna hanno fatto una proposta che preveda l’ergastolo in caso di femminicidio, quindi la possibilità di prevedere come aggravato l’omicidio dell’ex partner, tanto più se si tratta di donne. Potrebbe essere uno strumento in più, benché io non lo creda risolutivo. A me è capitato di occuparmi di stalking e omicidio. L’esperienza mi porta a dire che quasi sempre si tratta di delitti non premeditati: nella gran parte dei casi seguono ad episodi di esplosioni di rabbia, però i segnali di ammonimento si possono cogliere. Le donne dovrebbero cogliere questi segnali, in uno dei casi dei quali mi sono occupato, ad esempio, una donna era stata più volte molestata, picchiata, resa oggetto di stalking. A quel punto si deve reagire, rivolgersi alle strutture adeguate. Ora, tra l’altro, la legge sullo stalking consente alcuni interventi di misure cautelari specifiche che fino a pochi anni fa non erano contemplati. Rimane chiaro poi, che il discorso investe una responsabilità anche culturale, richiede un cambio di mentalità riguardo alla cultura del rapporto uomo-donna che vada in una direzione di vera parità che di fatto ancora non esiste in Italia. In un recente processo di stalking, mi impressionarono le parole di una donna in lacrime: ‘Ciò che lui mi ripeteva di continuo era che io sono sua, mi diceva ‘tu sei mia’’. Questo è il concetto che nasconde un’idea di proprietà e quando la proprietà viene meno, il modo di pensare che agisce è: ‘La cosa è mia e io la distruggo’. Questo modo di pensare è qualcosa di aberrante che però è molto diffuso. La violenza non è eliminabile, ma se cambia la cultura, il fenomeno si affievolisce”.

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