Artigianato. La Puglia dimentica gli ‘artisti’

// INCHIESTA. Le piccole botteghe dei centri storici sono destinate a chiudere. In Puglia manca una legge che le tuteli. A meno che non si adeguino ai ‘criteri’. Ma non hanno i soldi per farlo

Le serrande abbassate nei vicoli dei centri storici raccontano come il Salento è cambiato. Botteghe e piccoli laboratori artigiani che hanno fatto la storia di questa terra non hanno avuto scelta. E’ la crisi, signori. I piccoli chiudono, i grandi vanno avanti. Peccato che a perdersi siano gli “antichi mestieri”, il dna del territorio. Dimenticarli significa rinunciare alla propria identità. E pensare che il Salento va di moda. Che il turista che sceglie questa terra cerca esattamente ciò che essa sta colpevolmente lasciando morire. Un posto non vale l’altro; che cosa ne sarà, allora, del volto di questa porzione di Paese quando i pub ed i tavolini della movida avranno occupato fino all’ultimo angolo di lastricato? Che aspetto avrà, quando anche l’ultima saracinesca si sarà chiusa sull’ultima antica attività artigiana rimasta in vita? La domanda è: che cosa si fa per tutelare la memoria storica ed economica del territorio? La risposta è: poco. Non ci sono in Puglia leggi che tutelino l’artigianato artistico ed i locali commerciali storici. L’unica norma in materia è una legge nazionale, la legge quadro del 1985, concepita in tutt’altro periodo storico e ormai superata dai tempi. Da allora, alcune Regioni (come Piemonte, Lazio, Marche, Lombardia) ed anche alcuni grossi Comuni (tra i quali Roma, Bologna, Firenze, Trento) si sono dati delle norme che agevolassero le piccole realtà artigiane, comprendendo che proteggere l’identità di un luogo non è un’operazione fine a se stessa, ma un investimento che può portare effetti positivi anche negli altri settori economici, turismo innanzitutto. Ed hanno previsto misure di tutela, partendo da un censimento-classificazione delle attività, per poi istituire albi, istituti, fondazioni che riunissero le attività dello stesso settore ed incentivare la creazione di reti di negozi di vicinato, consorzi, associazioni. In alcuni casi è stata prevista l’assegnazione di spazi pubblici in comodato gratuito o a canone agevolato per facilitare l’apertura di attività storiche d’arte o di commercio. In Puglia non esiste niente di tutto ciò. Ma solo una legge approvata lo scorso 16 ottobre e relativa esclusivamente alla formazione per il lavoro in artigianato. Nessuna disposizione sulla tutela delle realtà artigianali-artistiche. A parte tentativi maldestri (iniziative estemporanee e proposte di legge presentate più volte e mai discusse in Commissione) di colmare il gap accumulato con le altre Regioni. Maldestri perché invece di semplificare la vita alle botteghe per permettere agli artigiani-artisti di proseguire nella loro attività, si immaginano regole che rendono ancora più difficoltosa la sopravvivenza dei piccoli – a cui chiedono garanzie e condizioni che queste non possono avere – e gettano in un unico calderone, imprese artigiane e realtà artigianali artistiche che, pur rientrando tutte sotto la grande voce di “artigianato”, hanno natura troppo differente per essere accomunate (le imprese artigiane comprendono le attività di idraulici, falegnami, parrucchieri, ecc). Ciò che serve è una legge che faciliti la sopravvivenza alle botteghe d’arte ed ai locali storici e li spinga a diventare nuovamente, come due secoli fa, il punto da cui partire per riscoprire l’identità smarrita dei luoghi. Nel frattempo, si assiste alla veloce scomparsa dei laboratori d’arte di scultori, cartapestai, decoratori, vetrai, maestri del ferro battuto, e dei negozietti del commercio formato “piccola distribuzione”, che hanno animato i centri storici dei paesi da generazioni. Se non muoiono, si spostano, lontano dal centro, dove gli affitti (anche 2.500 euro mensili per un locale di 20 metri quadrati a Lecce) sono diventati insostenibili per le piccole realtà.

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