‘Carmen’: un fiore che non appassisce

Lecce. Allestimento tradizionalista per la versione leccese dell’opera di Bizet. Di cui è stato apprezzabile il versante visivo

di Fernando Greco LECCE – Successo per tutti al termine della celeberrima “Carmen” di Georges Bizet con cui si è conclusa la 43° Stagione Lirica leccese. Premetto che non amo gli allestimenti di stampo tradizionalista: di solito preferisco che dal palcoscenico giunga un pugno nello stomaco piuttosto che un'ennesima rassicurante routine, soprattutto quando si tratta di opere strapopolari come la “Carmen”, che forse è la più popolare in assoluto, di cui suppongo che ogni melomane conosca a menadito almeno una decina di versioni. Tuttavia ho apprezzato il versante visivo di questa “Carmen” leccese, che per molti aspetti è riuscita a evitare l'effetto “figurina Liebig”, in primis grazie alle belle scene di Alessandra Polimeno. Molto gradevoli le maioliche spagnoleggianti che arricchiscono il primo e il secondo quadro, originale l'idea di ambientare il terzo atto non tra le montagne, ma in uno stanzone a tutto palco, ovvero il covo dei contrabbandieri, che lascia intravedere il paesaggio solo attraverso un portale di ferro fin troppo sontuoso sullo sfondo. L'arte scenica del cast vocale, dei coristi e delle comparse rende credibile la regia di Carlo Antonio De Lucia, che tra l’altro mostra un Don José decisamente violento (rispettando la novella di Merimée) e fa presentare Zuniga grottescamente ubriaco al termine del secondo atto. Originale il finale dell'opera, quando Josè disperato scorge davanti alla statua della Madonna una lancia lasciata come ex-voto da un torero, con la quale decide di uccidere Carmen. In più la regia inserisce qua e là gradevoli bozzetti di varia umanità, come la sigaraia che allatta il figlio o i negretti che trasportano merce (che però fanno distogliere l'attenzione del pubblico dallo strepitoso duetto tra José e Micaela del primo atto). Poco credibili i due soldatini che inerti e contenti si lasciano colpire dalle verdure durante il finale primo. Ridicolo il fiore di plastica che rimane sempre fresco e colorato (…altro che “flétrie et sèche!”). Protagonista dell'opera, il mezzosoprano Maria José Montiel (nella foto in alto) ha disegnato una Carmen a tutto tondo, bellissima e totalmente credibile nella sua sensualità e nelle sue incostanti passioni; dal punto di vista vocale va notato un timbro avvincente nei centri con qualche difficoltà nelle note acute, che talora vengono risolte un po' d'infilata. Incredibile la tenuta scenico-vocale del tenore

Jean Pierre Furlan

, forte di un formidabile registro acuto, nel temibile ruolo di Don José. Jean Pierre Furlan Nei panni di Micaela, eccezionale il soprano Donata D'Annunzio Lombardi: la perfetta aderenza scenica al personaggio e il timbro lirico pieno e sontuoso, perfettamente a suo agio in tutta la tessitura, ne fanno sicuramente la cantante migliore di questo cast.

Donata D Annunzio Lombardi

Donata D'Annunzio Lombardi Al contrario il basso croato Ivica Cikes, alle prese con l'elegante ruolo di Escamillo, si rivela eccessivamente gigione e talora non perfettamente intonato.

Ivica Cikes

Ivica Cikes Il personaggio di Zuniga è reso da questa regia come una sorta di sergente Garcia (quello di Zorro, per intenderci) con tanto di pancia debordante dalla cintura e un atteggiamento più da naione che da ufficiale, il che è reso alla perfezione dal basso Gianfranco Zuccarino, che però appare vocalmente sguaiato e orcheggiante. Non si può non amare l'irresistibile coppia dei due contrabbandieri Dancairo e Remendado, interpretati rispettivamente da Antonio Pannunzio e Orlando Polidoro, deliziosi dal punto di vista scenico e vocale, molto più delle loro compagne, le gitane Frasquita e Mercedès interpretate senza infamia e senza lode da Maria Rita D’Orazio e Sara Allegretta.

Allegretta D Orazio

Maria Rita D'Orazio e Sara Allegretta

Polidoro D Orazio Allegretta D Annunzio

Orlando Polidoro, Maria Rita D'Orazio, Sara Allegretta, Antonio Pannunzio Il baritono Nicola Ebau si disimpegna bene nel ruolo di Morales. Anche in questa occasione, come nel resto della Stagione Lirica leccese, il Coro Lirico di Lecce istruito da Francesco Pareti ha dato una grande prova scenica e vocale, in verità più sul versante femminile che su quello maschile: mentre le sigaraie hanno scolpito una “fumée” da manuale, talora i tenori si sono distinti per emissioni urlate e una dizione approssimativa. Statici e poco coinvolti scenicamente i bambini del coro “Bella Madre” istruiti da Rita Capparelli e Alfredo De Masi, i quali tuttavia sono entrati in scena mantenendo perfettamente il tempo di marcia (al contrario degli adulti) e hanno poi cantato in maniera discreta ottenendo l’applauso affettuoso del pubblico.

I bambini del coro Bella Madre

I bambini del coro “Bella Madre” La geniale partitura di Bizet è stata suonata in maniera sommaria dall’Orchestra “Tito Schipa” diretta da Filippo Zigante, con attacchi non sempre ineccepibili e alcuni scollamenti rispetto alla linea di canto. Le cose sono andate meglio nei quattro entractes, sempre applauditi singolarmente. Come già in “Gioconda” il Balletto del Sud diretto da Fredy Franzutti ha offerto una prestazione encomiabile, soprattutto all’inizio del quarto atto, dove sono stati aggiunti due ballabili bizettiani estrapolati da “L’Arlesienne” e da “La jolie fille de Perth” secondo la migliore tradizione esecutiva che arricchisce le danze per creare un’atmosfera da Grand-Opéra. Inutile aspettarsi da Franzutti flamenchi o seguidille da cartolina: anche per “Carmen” si è trattato di coreografie di matrice neoclassica, che però sono state molto ben danzate e molto fascinose.

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