Fascismo e antifascismo. Il Salento fu indifferente

LA RECENSIONE. Lecce. Le tesi contenute nell’ultimo libro di Salvatore Coppola, “Bona mixta malis”

LECCE – “Bona mixta malis. Fascismo, antifascismo e chiesa cattolica nel Salento” (Editore Giorgiani, 2011). Questo il titolo del nuovo lavoro di ricerca firmato dallo storico Salvatore Coppola, affiancato da una giovane collaboratrice Emanuela Specchia. Il titolo (Bona mixta malis) è ricavato da un documento di Pio XI che delineava la strategia che i cattolici avrebbero dovuto seguire nei confronti del fascismo. “Bona” letteralmente significa i beni (o il bene) mischiati al male; cioè la strategia della penetrazione dei cattolici all’interno delle organizzazioni del regime (soprattutto quelle giovanili) per tentare di condizionarle dall’interno. Paradossalmente, negli stessi anni trenta, la stessa strategia che Giuseppe Di Vittorio (leader della clandestina Cgil) e Palmiro Togliatti (dirigente comunista) indicavano ai lavoratori finalizzata ad entrare all’interno delle strutture legali del regime (soprattutto nelle organizzazioni sindacali) per condizionarle dall’interno. L’obiettivo del libro di Coppola è quello di portare alla luce, sulla base di una vasta documentazione proveniente da archivi nazionali, spagnoli, vaticani e provinciali, una pagina di storia salentina che non è stata finora indagata in maniera esaustiva. L’autore si propone, analizzando le vicende del fascismo salentino (all’interno del contesto nazionale), di verificare se sia possibile parlare di un consenso di massa nei confronti del regime fascista, un concetto che è stato fissato nelle opere di Renzo De Felice; a conclusione della ricerca, l’autore ritiene di poter affermare che tale consenso, così come non ci fu nel resto d’Italia, non c’è stato neanche nel Salento, dove ci fu un sentimento di sostanziale indifferenza delle masse popolari (lavoratori agricoli e tabacchine) nei confronti del regime. Il secondo tema di cui Coppola si occupa è quello dell’antifascismo: una prima superficiale lettura della documentazione esistente potrebbe portare a pensare che l’attività antifascista dei gruppi politici organizzati non fosse estesa ed incisiva, a parte alcuni tentativi comunisti di tenere in piedi una struttura clandestina; e tuttavia, l’indifferenza della stragrande maggioranza della popolazione contadina e il suo silenzio di fronte alle parate propagandistiche, un silenzio rotto spesso dal rumore assordante delle manifestazioni e agitazioni che non poche preoccupazioni diedero ai gerarchi del regime, sono, a parere dell’autore, la prova di un diffuso antifascismo che potrà anche essere chiamato “afascismo”, ma che denota l’esistenza di una ampia e diffusa area di non consenso. L’altro argomento della pubblicazione riguarda i rapporti tra il fascismo e la Chiesa cattolica: sul tema si è scritto tantissimo e ancor più si continua a scrivere dopo l’apertura degli archivi di Pio XI; sulla base dei documenti utilizzati per il presente lavoro, l’autore ha maturato una convinzione: se a scatenare la polemica nei confronti dell’associazionismo cattolico non fossero stati gli stessi fascisti, soprattutto sulla questione della cosiddetta politicizzazione dell’Azione cattolica, la Chiesa non avrebbe contrastato in maniera decisa (come fece Pio XI, ma come non fecero la maggioranza delle gerarchie ecclesiastiche) la politica di un regime che, risolvendo la questione romana, aveva riconosciuto diversi privilegi al clero e teorizzava una politica che, su più punti, coincideva con la dottrina sociale della Chiesa (ad esempio il corporativismo). Quanto al Salento, quella dei cattolici organizzati e delle gerarchie ecclesiastiche fu una posizione che, pur potendo definirsi di sostanziale afascismo, non mancò in più occasioni di dare prova di una convinta e sincera adesione alla politica del fascismo, come si vide soprattutto a metà degli anni trenta.

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