Alle Amministrative leccesi, il centrosinistra avrebbe le maggiori chance. Ma sbaglia la scelta del nome della coalizione e spiana la strada agli avversari
L’indecoroso outing sulle abitudini sessuali di Berlusconi, la consapevolezza che la sua immoralità lo ha reso ricattabile rispetto alla peggiore feccia italica, l’uso improprio di incarichi e di risorse pubbliche per soddisfare i suoi “vizietti”, ha gettato il Paese in un clima da fine impero. La crisi economica e finanziaria sempre più drammatica, ha fatto poi precipitare tutti noi in un cupo malessere, che in taluni casi sfocia in disperazione: la cassa integrazione inizia a finire per molte famiglie e buona parte dei giovani senza lavoro hanno ormai rinunciato a cercarlo. Tra le poche facce presentabili in una Destra finto liberista, inconcludente, demagogica e maschilista, serpeggia un sotterraneo malcontento: a livello nazionale, come a livello locale, tutti stanno pagando e pagheranno il cieco asservimento alla volontà del Capo, che rischia di trascinare nel fango la classe dirigente del PdL. Nel Salento e a Lecce si aprono quindi insperati scenari per il centrosinistra. Peccato che sia anch’esso allo sbando, incapace di offrire un’alternativa credibile. La grande mamma Pd leccese rispecchia il grigiore del Bersani degli “Sgommati”: non ha una linea politica decifrabile, tanto per cambiare. Si lascia tentare dalle ritrite grandi strategie dalemiane di alleanza al centro. Un suicidio politico. Per un elettorato sfiduciato ed indignato la triade Pd, IdV, Sel ci pare quella con le maggiori chance di vittoria, capace da una parte di coagulare i vari grillini e popolo viola, dall’altro le fasce più giovani della popolazione internettiana. Però parte male e sceglie il nome “Nuovo Ulivo”: una martellata sui piedi. Basta uno studente di marketing al primo anno per spiegare a Bersani, Vendola e Di Pietro che non basta il nome “nuovo” per trasferire la percezione di novità. Continuando così alle amministrative leccesi il “Nuovo Ulivo” spianerà la strada a Poli, Perrone e al berluschino de noartri Paolo Pagliaro. Con la beffa che gli uni, invece di essere ritenuti incandidabili dai partiti e dall’elettorato, riusciranno ad essere acclamati come salvatori della patria perché la più colossale truffa ordita tra le mura comunali, quando erano rispettivamente sindaca e assessore al bilancio, non è stata completamente consumata, ma solo per metà, e l’altro riuscirà a vendere al migliore offerente la propria “verginità politica”. Che poi fuor di metafora vuol dire garantire l’appoggio mediatico della sua corazzata Telerama e del suo tg al candidato della coalizione amica. Esilarante ma geniale espressione, questa della “verginità politica”, ripetuta come un mantra dall’editore di Telerama, che non ha fatto altro che istituzionalizzare in un motto da campagna elettorale una verità universale dell’universo berlusconiano, di cui c’è già ampia rappresentanza in Parlamento: ogni donna è seduta sulla propria fortuna. Bene. Adesso sappiamo che lo sono anche i partiti. E i loro rappresentanti.
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