Omicidio Basile. Tre anni di indagini. Nessuna certezza

LECCE – Sono trascorsi ormai tre anni da quella calda notte di inizio estate, era da poco passata l’una del 15 giugno 2008, ovvero il giorno in cui Peppino Basile, consigliere provinciale dell’Italia dei Valori, veniva massacrato con oltre venti coltellate. Da allora la macchina investigativa e quella della giustizia hanno lavorato incessantemente alla ricerca di una verità che dopo oltre mille giorni appare ancora lontana. Perché se da un lato due Procure, quella ordinaria e quella minorile, hanno indicato nei due Colitti (Vittorio e Vittorio Luigi, nonno e nipote) i presunti assassini del consigliere dell’IdV, dall’altro la giustizia processuale (l’unica a poter dare una lettura definitiva alla vicenda) sembra ancora lontana. Nel primo dei due processi già celebrati, infatti, quello nei confronti di Vittorio Luigi Colitti dinanzi ai giudici del Tribunale per i minorenni di Lecce (perché l’imputato, all’epoca dei fatti, non era maggiorenne), il più giovane dei presunti autori dell’omicidio “è stato assolto per non aver commesso il fatto”. Un’assoluzione piena, nelle cui motivazioni i giudici (presidente Aristodemo Ingusci e a latere Lucia Rabboni) hanno, punto dopo punto, demolito l’ipotesi accusatoria. Una sentenza che non ha comunque convinto l’accusa, che meno di un mese fa ha proposto appello. Il processo nei confronti del nonno, invece, si aprirà il prossimo 6 ottobre davanti ai giudici della Corte d’Assise di Lecce dopo il rinvio dello scorso 5 maggio dovuto a motivi di salute. Vittorio Colitti, che attualmente si trova agli arresti domiciliari, si sta sottoponendo ad una lunga serie di controlli medici viste le sue precarie condizioni di salute. Rimangono però molti dubbi attorno alla ricostruzione fatta dall’accusa. Innanzitutto sul movente, quello dei contrasti vicini, apparso subito fragile e che non ha mai avuto riscontri. Così come la ricostruzione dell’omicidio e il ruolo dei presunti assassini, che continuano ad apparire piuttosto complessi. Quelle sulla morte di Basile, comunque, sono state indagini difficili e piene di ostacoli, che hanno cercato a fatica di squarciare il velo di ostilità e reticenze di un’intera comunità, quella ugentina. Perché la notte tra il 14 e il 15 giugno 2008 è una notte afosa, in cui nessuno sente le urla disperate della vittima, il cui corpo giace in mezzo alla strada, ben illuminato da un lampione. Una notte tragica in cui nessuno, però, sembra aver visto a. È questa una delle peculiarità di questa vicenda, avvolta da una fitta cortina di omertà e silenzi, che nemmeno gli inquirenti sono riusciti a diradare. “Ci troviamo dinanzi a un’omertà senza precedenti – ha detto la dottoressa Simona Filoni, pubblico ministero nel processo a Colitti junior –, in un luogo dove tutti sanno e nessuno parla, pensando che forse è giusto così. In questo modo è come se Peppino fosse stato ucciso due volte: la prima dai suoi assassini, la seconda dai suoi concittadini”. Seguire le vicende giudiziarie legate all’omicidio di Peppino Basile si è trasformato in un viaggio attraverso il substrato sociale di un Sud profondo e pieno di contraddizioni, in cui la verità sembra cambiar forma in ogni istante. Un viaggio alla scoperta della vita di un piccolo paese del basso Salento, pieno di silenzi e verità sospese a metà. Non sono bastate 25 udienze, centinaia di ore di dibattimento e decine di testimonianze per squarciare il velo di silenzi e omertà che da subito è calato sull’omicidio. Un processo che si è trasformato nel viaggio a ritroso dentro il ventre di un Salento arcaico e di una terra che Sciascia avrebbe descritto proprio come la sua Sicilia: “Abbondante e povera, omertosa e pettegola, gioiosa e disperata. La terra del paradosso. Del sistema stravolto, anzi capovolto. Come se una civetta uscisse a volare di giorno”. Rimangono, oltre ogni sentenza e ogni verdetto, le verità nascoste di chi ha visto e ha taciuto, di chi pur sapendo non ha parlato, di chi ancora considera la legge come una rete fastidiosa in cui è troppo facile e scomodo rimanere impigliati. L’omicidio Basile ricalca alla perfezione il più classico dei copioni di quella provincia addormentata dove il delitto sembra la più semplice delle cose. Quelle coltellate e quel sangue rimangono, però, una ferita aperta nella voglia di giustizia e verità di tanta altra gente che non vuole dimenticare. Già, perché come ha scritto Voltaire: “Ai vivi dobbiamo rispetto, ai morti solo la verità”.

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