Crisi internazionale o lento declino dell'Occidente?

Come sopravvivere in tempi di crisi “permanente”

In tempi di crisi permanente, quali lezioni apprendere e quali strategie mettere in campo per non perdere il treno della crescita.

Dal 2008 sentiamo parlare di crisi. La crisi finanziaria americana si è trasformata in crisi internazionale e oggi, visto il protrarsi di questo stato, è lecito domandarsi se non sia più giusto parlare di crisi strutturale. Ma la crisi internazionale non è stata uguale per tutti. Rispetto alle cosiddette economie avanzate, i cui prodotti interni lordi sono mediamente diminuiti di oltre il 3%, i paesi emergenti non sembrano aver subito particolari contraccolpi dalla crisi economica: i dati del Fondo Monetario Internazionale ci dicono che la Cina è cresciuta dell’8,7 %, il Brasile oltre il 7%, l’India del 5,6 e l’intero continente africano dell’1,9. Queste realtà sono cresciute meno dell’anno precedente, ma sono comunque cresciute. E già dal 2010 hanno ripreso la loro corsa verso il benessere e verso la graduale ma inesorabile convergenza con il ‘primo mondo’. Faticosamente l’Occidente inizia ad intravedere la luce pur non essendo ancora fuori dal tunnel. Gli USA come al solito fanno da traino ad un Europa che cresce, ma sempre più lentamente. Lo scenario descritto pone numerosi interrogativi e solleva legittimi dubbi sul futuro. Abbandonarsi ad un rassegnato pessimismo o, per contro, cavalcare un superficiale ottimismo di Smithiana memoria, non aiuta. Non c’è alcuna “mano invisibile” che ci guida e che provvede a regolare sapientemente e spontaneamente il mercato. Serve un approccio nuovo alla realtà, un vero e proprio cambio di paradigma. E allora perché non imparare dai Cinesi… J.F. Kennedy, in tempi di guerra fredda, ricordava che la parola crisi in cinese è composta da due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l'altro l'opportunità. Qual è dunque l’opportunità da cogliere di fronte alla minaccia di un lento declino? La prima lezione da apprendere sta nelle due velocità con cui si muovono realtà economiche e istituzioni politiche. La maggiore interdipendenza economica richiede una risposta politica più incisiva, coerente e tempestiva ad ogni campanello d’allarme. La seconda lezione da apprendere è la necessità della politica di guardare oltre il breve termine. Per conseguire un futuro sostenibile è necessario porre mano a riforme e fare delle scelte che non sono più rinviabili. Si tratta di puntare al cuore dei problemi e dare risposte in grado di incidere sul futuro delle prossime generazioni. In questa ottica, la Commissione Europea ha presentato lo scorso marzo la Strategia Europa 2020, un documento programmatico che descrive obiettivi ed interventi per uscire dalla crisi e preparare l’economia dell’UE ad affrontare le sfide del prossimo decennio. Tre sono i capisaldi su cui si incentra la strategia:  crescita intelligente  crescita sostenibile  crescita inclusiva La Commissione individua poi cinque obiettivi o linee d’intervento per raggiungere questi traguardi: occupazione, ricerca e innovazione, cambiamento climatico e energia, istruzione e formazione, lotta contro la povertà. E mentre gli Stati Membri si apprestano a tradurre tali indicazioni in obiettivi nazionali, si tratta di utilizzare al meglio le risorse economico finanziarie già esistenti e in primis i Fondi Strutturali. In tal senso la Commissione Europea ha adottato nuove misure che mirano a semplificare le regole di gestione dei fondi strutturali e che dovrebbero facilitare le Regioni nell’accesso ai finanziamenti in questo momento di particolare pressione per i bilanci. Ma basterà questa Strategia ad evitare al Vecchio Continente lo spettro del declino? Dopo il collasso della Grecia e quello preannunciato dell’Irlanda, l’effetto-domino è da considerarsi inevitabile? Sapranno gli Stati Membri e i governi locali essere all’altezza di tali sfide? Seguiremo queste vicende da vicino e vi daremo conto.

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