Sanità carceraria e sovraffollamento: quando la detenzione è disumana

Nel carcere di Lecce opera un solo oculista che presta servizio per quattro ore settimanali e deve far fronte a centinaia di richieste

Sono almeno una decina gli esposti presentati da altrettanti reclusi del carcere di Borgo San Nicola, alla periferia del capoluogo salentino, sui presunti ritardi e le carenze del sistema sanitario all’interno dell’istituto di pena. Le denunce sono confluite in un fascicolo assegnato al sostituto procuratore Giuseppe Capoccia, un magistrato che vanta tra l’altro una lunga esperienza professionale nel Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria). In particolare i detenuti lamentano liste d'attesa spesso lunghissime per le visite specialistiche, con tempi che vanno oltre un anno. Il paradosso è che in quest’arco tempi gli stessi detenuti possono essere trasferiti in un altro carcere o ottenere sconti di pena o misure alternative. A tutto ciò bisogna poi aggiungere la trafila burocratica che una visita presso una struttura ospedaliera prevede, dall'autorizzazione del magistrato competente alla necessità di reperire mezzi e uomini necessari per “accompagnare” il detenuto in ospedale. Le strutture presenti all'interno del carcere e i servizi specialistici praticati a livello ambulatoriale, non riescono a far fronte alla richiesta di una popolazione carceraria che ha raggiunto ormai le 1.500 presenze, a fronte di una capienza regolamentare prevista per 681 unità. Ad esempio, all’interno della casa circondariale di Lecce opera un solo oculista che presta servizio per quattro ore settimanali e deve far fronte alle centinaia di richieste che sono inoltrate settimanalmente. Quella della sanità carceraria, del resto, è sempre stata una delle grandi problematiche affrontate quotidianamente negli istituti di pena, resa ancor più complessa dal Decreto del presidente del consiglio dei ministri approvato il primo aprile del 2008 (entrato in vigore però alla fine del 2009) e riguardante il trasferimento al Servizio sanitario nazionale della sanità penitenziaria fino ad allora di competenza del Ministero della Giustizia. Nei giorni scorsi intanto, due detenuti di Borgo San Nicola, un 66enne di Tricase e una donna di 32 anni di Gallipoli, hanno presentato ricorso, attraverso il loro legale, l’avvocato Silvio Caroli, alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per chiedere il risarcimento del danno fisico e morale subito per detenzione inumana e degradante. Già nel luglio del 2009 l'Italia è stata condannata a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia, dividendo una cella di 16,20 metri quadri con altre cinque persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre diciotto ore al giorno. La Corte, nella sua decisione, ha rilevato come la superficie a disposizione del detenuto sia stata molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. Dati che ricordano molto da vicino quelli di Borgo San Nicola.

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