Storia di un satellite fin troppo poetico
La luna in poesia è tema così ovvio da risultare scottante più del sole. Charles Trenet su sole e luna costruisce in pochi versi tutta una mitologia dell’amore mancato: i due astri hanno un rendez-vous, ma il sole aspetta aspetta e non la vede mai. Per trovarla ci vuole la notte, lui invece è destinato a brillare e a scacciare il buio, come accecato dalla sua stessa luce proprio quando la felicità sarebbe lì, a portata di mano. Succede anche quaggiù. Zucchero pugnala il chiaro di luna con un po’ di esibita ruvidità, raccontando che il mare, impetuoso al tramonto, salì sulla luna e… se la chiavò. Mayra Andrade (qui col sostegno di una sezione ritmica tellurica guidata da un virtuoso del basso elettrico, Etienne Mbappé) alla luna dà del tu, come il leopardiano pastore errante dell’Asia, ma con meno angoscia. Eppure le parole sono di un cantautore capoverdiano la cui parabola fu leopardianamente breve e crudele: Orlando Pantera, morto alla vigilia del successo. Messe da parte le consuete similitudini, Pantera paragona la luna alle donne della sua vita: giovane come Ricardina, rotondetta come Putchutcha, piena come il petto di Sheila… Pura poesia carnale.
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