Incendio nell'ex deposito giudiziario Matarrelli

Un grosso incendio si è sviluppato nel pomeriggio nell’ex deposito giudiziario “Matarrelli”, sulla strada che da Lecce conduce a Torre Chianca. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, che hanno domato l'incendio solo due ore dopo

Un incendio di vaste dimensioni si è sviluppato nel pomeriggio, poco prima delle 16, nell’ex deposito giudiziario “Matarrelli”, sulla strada che da Lecce conduce a Torre Chianca. Dalle carcasse di automobili ancora presenti all’interno della struttura, prima sottoposta a sequestro ed ora di proprietà del demanio, si è sviluppata una densa nube di fumo nero, che ha raggiunto ben presto dimensioni tali da essere visibile da diversi chilometri di distanza. Un vero inferno di fuoco e fiamme, cui ben presto si sono unite le esplosioni provocate dai resti delle auto. L’area, seppur abbandonata da anni, non è stata mai completamente recuperata e messa in sicurezza. Il vento ha spinto comunque la nube nera, tossica, lontano dal centro abitato. Sul posto sono intervenuti numerosi mezzi dei vigili del fuoco e della protezione civile, che hanno lavorato non poco per spegnere le fiamme. L’area è stata messa in sicurezza, poiché la strada lambisce uno dei muri perimetrali della struttura. Non lontano dall’ex deposito sorgono inoltre numerose pale eoliche. Agenti della polizia municipale hanno provveduto a deviare il traffico verso Frigole. Ancora ignote le cause del rogo, anche se non si esclude la matrice dolosa. Non è la prima volta, infatti, che la struttura è avvolta dalle fiamme. L’incendio è stato domato alle ore 18. Sarà ora il lavoro degli inquirenti a far luce sulle cause e le dinamiche dell’evento. Giuseppe Matarrelli, meglio conosciuto come Mauro, noto imprenditore leccese (titolare dell' Automat service, la società che con la Number One di Fabio Fiorentino ha gestito per anni il servizio di rimozione coatta per il Comune di Lecce), è nome noto alle cronache, soprattutto per due condanne per associazione mafiosa datate 1994 e 2003. Per i magistrati l’uomo, vicino al clan di Filippo Cerfeda, era l’imprenditore che faceva affari per sé e per il boss, e che garantiva i contatti con “determinati” ambienti, ad esempio quelli politici.

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