Un processo per caso

Sta per uscire in tutte le librerie l'ultimo libro-inchiesta del giornalista Alfredo Ancora. Storia paradossale (e autobiografica) di 3 amminstratori di Calimera, arrestati per una lettera di dimissioni

Pubbblichiamo in anteprima, su gentile concessione dell'autore e dell'editore, stralcio della premessa del libro. ….. Un anno dopo, a maggio del 2010, tutti gli imputati di cui si parla in questi articoli di stampa sono stati prosciolti dall’accusa di corruzione; il giudice Tommasino anche da quella per la fuga di notizie. Solo l’ex procuratore capo della Repubblica di Taranto Petrucci è stato rinviato a giudizio con l’accusa di peculato, perché avrebbe utilizzato per uso personale il cellulare di servizio. Ad ogni modo fui molto colpito dalle notizie di stampa che annunciavano l’inchiesta di Taranto, perché alcuni anni prima l’allora procuratore aggiunto della Repubblica di Lecce, Aldo Petrucci, era stato l’autore di un’inchiesta mirata e puntigliosa che aveva portato all’arresto dell’ex sindaco di Calimera, Giorgio Aprile, del suo vice sindaco Fernando Gaetani, e di chi scrive, Alfredo Ancora, allora capogruppo del Pds in Consiglio comunale. Non eravamo dei ladri, non eravamo corrotti, non eravamo accusati di nessuno dei reati per i quali in quegli anni era nata ed è poi divenuta famosa l’inchiesta milanese di “Mani Pulite”, quali concussione, corruzione, peculato, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato, etc.. No, a di tutto questo. Fummo arrestati con un’ordinanza di custodia cautelare emanata a causa di una mia lettera di dimissioni dalla carica di consigliere comunale. Una vicenda oscura e strana che aveva portato tre cittadini, i quali per anni, da postazioni e con intensità diverse, avevano combattuto contro il malaffare e la gestione allegra della cosa pubblica, a finire quasi in prigione. Solo la “magnanimità” del giudice per le indagini preliminari consentì che ci fosse risparmiata l’onta delle manette e del carcere. Finimmo però agli arresti domiciliari. Per una lettera di dimissioni per la quale una prima inchiesta era stata archiviata. Ma l’inchiesta fu riaperta dopo un anno dal procuratore aggiunto Aldo Petrucci, senza alcun fatto nuovo che non fosse la nostra attività politica e di amministratori a Calimera. Al termine di un’indagine che aveva anche visto un mandato di perquisizione e il sequestro del mio computer, quando le prove della nostra presunta colpevolezza sembravano essere state tutte raccolte, ecco arrivare l’incredibile ordinanza di custodia cautelare. Gli arresti domiciliari durarono otto giorni e furono una violenza insopportabile alla nostra coscienza di cittadini onesti. Alla fine, rinviati a giudizio, il teorema accusatorio rivelò tutta la sua inconsistenza, sia in fatto che in diritto, e cadde miseramente come un castello di sabbia. Fummo assolti. Non senza che, durante tutta quella vicenda, il procuratore aggiunto Aldo Petrucci mostrasse nei nostri confronti un forte pregiudizio che lo portò ad avere un atteggiamento che ho definito allora, e non esito a definire ancora oggi, persecutorio. Perché è bene si sappia: nonostante in quel Comune negli anni fino ad allora trascorsi fossero accaduti fatti che avrebbero meritato, quelli sì, l’attenzione della magistratura, l’unico sindaco arrestato nella storia di Calimera è stato Giorgio Aprile; gli unici amministratori arrestati di quel Comune della Grecìa Salentina siamo stati noi, che non abbiamo rubato una lira ma che, anzi, ci abbiamo rimesso di tasca nostra, sindaco e giunta più dei consiglieri. Finimmo invece arrestati per una banale lettera di dimissioni. Appropriazioni indebite, clamorosi falsi in atti pubblici, ammanchi di denaro pubblico, truffe elettorali, e una gestione allegra della cosa pubblica che avevano portato quel Comune alla bancarotta certificata da decreti ministeriali, mai avevano visto la magistratura così puntigliosa come lo fu con noi in quel caso, quando arrivò addirittura ad ordinare gli arresti. Mai una giunta comunale aveva subito tante e tali inchieste, basate tutte sul a e che portarono al a totale, ma nate tutte col solo scopo di intimidire chi aveva osato ribaltare trentennali equilibri di potere, come invece era accaduto a quella giunta, guidata prima da Giorgio Aprile e poi da Rocco Montinaro. Passata la tensione di quei mesi, una volta assolti gli imputati, la vicenda è finita nel dimenticatoio. La politica e il paese avevano bisogno di guardare avanti, a noi erano stati restituiti la serenità e l’onore che, per la verità, agli occhi dei nostri concittadini non avevamo mai perduto. Poi, dopo 15 anni, ecco questa storia del nostro inquisitore che viene a sua volta messo sotto inchiesta. E per reati molto più gravi di quelli per i quali egli ci mise sotto accusa e ci fece arrestare. Sarebbe stato facile dire, come dicevano gli antichi, che “il tempo è galantuomo”. Sarebbe stato, forse, anche un po’ meschino. Certo, non possiamo non notare come lui, il dottor Petrucci, messo sotto accusa, si sia augurato, come farebbe ogni indagato, «che nell´inchiesta non abbia trovato cittadinanza la maldicenza». Non si preoccupò però quando nella sua inchiesta di allora, che portò ai nostri arresti, la maldicenza egli la lasciò entrare, eccome. Comunque al procuratore della Repubblica Aldo Petrucci auguriamo sinceramente di avere la coscienza tranquilla almeno quanto l’avevamo noi, Aprile, Gaetani ed il sottoscritto, quando fummo arrestati e poi rinviati a giudizio; gli auguriamo che egli, nel procedimento a suo carico, dimostri, come facemmo noi, la sua innocenza e la totale estraneità anche al reato di peculato per il quale sarà sottoposto a giudizio. La giustizia italiana è fin troppo malata per potersi permettere che al suo interno agiscano magistrati sui quali pesi anche solo l’ombra di un uso distorto del loro posto di lavoro, e di potere. Resta da capire cosa avevamo fatto noi, o cosa lui pensava avessimo fatto noi, di peggio delle cose delle quali lui è stato accusato dai Pm di Potenza al punto che noi meritammo la custodia cautelare e lui no. Forse, come io ero e sono convinto, si voleva solo darci una lezione, per imparare a stare al nostro posto. Ma è inutile fare ipotesi che il lettore non capirebbe se non raccontando, carte alla mano, tutta la storia relativa al nostro arresto. Anche perché oggi, chiunque venga a sapere che tre persone furono arrestate per una banale lettera di dimissioni di un consigliere comunale, ha una reazione di sorpresa e incredulità. E in tanti mi hanno esortato: «Perché non scrivi questa storia?». E’ quanto mi accingo a fare, chiedendo perdono a quanti si vedranno scaraventati, attraverso queste pagine, in una fase della vita che essi consideravano ormai alle spalle. Anche perché dopo tanti anni il tempo ha sparigliato le carte, cambiato le vite e i pensieri di molti dei protagonisti di allora. Alcuni di loro, purtroppo, non ci sono più. Ma il passato, che piaccia o no, fa parte della nostra vita. E col passato i conti vanno fatti, senza ipocrisie. Soprattutto quando il presente sembra fornire di esso nuove chiavi di lettura.

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