Omicidio Padovano: fissata l'udienza preliminare

Il gup Annalisa de Benedictis ha fissato per il prossimo 29 settembre l'udienza preliminare per l'omicidio di Salvatore Padovano, storico boss della Scu. Nove gli imputati, tra cui anche il fratello della vittima

Si terrà il prossimo 29 settembre l’udienza preliminare per l’omicidio del boss della Sacra corona Unita Salvatore Padovano, avvenuto il 6 settembre di due anni fa a Gallipoli, nei pressi della pescheria “Il Paradiso del Mare”. Nove gli imputati che dovranno presentarsi dinanzi al gup del Tribunale di Lecce, Annalisa De Benedictis. Si tratta di Rosario Pompeo Padovano, 39 anni, di Gallipoli, fratello di Salvatore; Giuseppe Barba, 40 anni, di Gallipoli; Marco Barba, 37 anni, di Gallipoli; Luciano Bianco, 27 anni, di Alezio; Cosimo Cavalera, 34 anni, di Gallipoli; Fabio Della Ducata, 44 anni, di Gallipoli; Carmelo Mendolia, 42 anni, di Desio (Milano) ma originario di Gela (Palermo), collaboratore di giustizia; Giorgio Pianoforte, 47 anni, di Gallipoli; Massimiliano Scialpi, 38 anni, di Gallipoli. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Elsa Valeria Mignone, hanno ricostruito scenari e moventi in cui l’omicidio avrebbe avuto origine. Un delitto di mafia scaturito dai contrasti sorti tra i Padovano all’indomani della loro scarcerazione. Rosario, si legge nelle pagine degli atti, “scarcerato dal carcere di Spoleto e rientrato a Gallipoli nel settembre 2007, adottava le iniziative per assumere la direzione dell’associazione e ricostruire i rapporti con gli associati di “Gallipoli vecchia” (tra cui Massimiliano Scialpi, Giuseppe Barba, Cosimo Cavalera e Fabio Della Ducata) in chiaro contrasto con la volontà del fratello Salvatore”. Quest’ultimo, scarcerato a sua volta nel dicembre del 2006 e rientrato nella città jonica, “aveva ripreso a tenere comportamenti da capo mafia, distribuendo consigli e suggerimenti per regolare contrasti e controversie, ed aveva – prendendo le distanze proprio da quei personaggi della “Gallipoli vecchia” perché ritenuti si scarso spessore criminale ed ancorati a vecchi schemi consortili – privilegiato lo storico collegamento con i monteronesi del clan Tornese, rinsaldando subito i rapporti con gli stessi”. Due linee di condotta diverse, che hanno portato inevitabilmente i fratelli a scontrarsi. Rosario, in particolare, si sarebbe sentito messo da parte, “limitato nelle sue mire egemoniche” e preoccupato “per l’attenzione delle forze di polizia al territorio gallipolino, richiamata dalla condotta spavalda e prepotente del fratello”. In quest’ottica, secondo la ricostruzione accusatoria, sarebbe scaturita la volontà di Rosario Padovano, in qualità di mandante, di far uccidere Salvatore, alias “Nino bomba”. Esecutore materiale, Mendolia, collaboratore di giustizia e già autoaccusatosi dell’omicidio. Della Ducata gli avrebbe fornito ospitalità a Gallipoli, presso la propria abitazione, e gli avrebbe consegnato, pochi giorni dopo l’omicidio (a Casamassima, in provincia di Bari), una parte dei 10mila euro di compenso pattuito, pari a 6.770 euro. Luciano Bianco, invece, avrebbe procurato lo scooter per pedinare “Nino” e l’autovettura, una Bmw, utilizzata dal killer per fuggire. Pianoforte, cugino dei Padovano, avrebbe chiamato Salvatore fuori dalla pescheria di famiglia “dicendogli che una persona gli aveva tamponato la macchina”. In realtà, ad attenderlo vi era Mendolia che l'avrebbe freddato con quattro colpi sparati con una pistola “Beretta modello 83 F”.

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