Ancora turbolenze

Quando la tempesta arriva in Africa

Se ci attardiamo sulle turbolenze climatiche forse è a causa della dura invernata e della primavera non tanto più dolce che ci lasciamo alle spalle. Ma la tempesta in musica è un tema succulento sin dai tempi in cui la chiamavano “orrida procella”; serviva ad agitare l’orchestrazione e a sbatacchiare le ugole di tenori, soprani e castrati. Nel “Giulio Cesare” di Händel, Cleopatra paragona il cuore a una barca che, mezza scassata, giunge in porto dopo tante tempeste. La flotta di Cesare arriva veramente a salvarla dalle grinfie di Tolomeo, e Danielle De Niese è così contenta che la regia di David McVicar decide di far incazzare i cultori del genere “cantante d’opera che come scoglio immoto resta”. Cambiando lido, in quest’altra “turbulensa” orchestrata di chitarre, congas, cajón, shakers, rullanti e campanacci, il marinaio canta per trasformare il temporale in poesia. Ammiraglio di bordo è la capoverdiana Mayra Andrade, cioè una sirena con la voce velata di “amargura” come Penelope. Dicono i filosofi che con Ulisse sia nata la figura del compassato ascoltatore occidentale: non rinuncia al canto, ma mantiene le distanze. Con Mayra è difficile restar fermi anche legati al palo.

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