Affondamenti collettivi

Francesco De Gregori incrocia H. M. Enzensberger

Hans Magnus Enzensberger, ne “La fine del Titanic”, immagina di riscrivere in Germania le poesie di un fantomatico manoscritto redatto anni prima a Cuba e poi smarrito. Ad affondare, in quel libro, era il socialismo in “una sola isola”, ma appresso a quello annegava il mondo. “La terza classe/non conosce l’inglese né il tedesco, una sola cosa/non gliela deve spiegare nessuno:/che tocca prima alla prima classe,/che non c’è mai abbastanza latte e mai abbastanza scarpe/e mai abbastanza spazio per tutti nelle scialuppe”. Poi, a un tratto, sembra perfino prevedere il ritorno della tragedia in chiave ludica: “La fine del Titanic non ha avuto luogo:/era solo un film”. Quando, vent’anni dopo, mezzo mondo andò a vedere il pluripremiato “Titanic” di James Cameron, almeno mezza Italia, dopo tre ore di pellicola, avrà ricordato, se non la vecchia edizione Einaudi oggi introvabile, di certo i tre minuti di una canzone a quel libro ispirata: in terza classe, in fondo, non si sta così male, questa cuccetta sembra un letto a due piazze, sempre meglio che all’ospedale. De Gregori ne fece una sorta di nuovo canto di emigranti, quando in Italia la bilancia emigrazione/immigrazione cominciava a spostarsi. Anche per questo è ancora bella, specie qui.

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